Il DNA ora si può scrivere (e riscrivere) come un floppy disk.
Di Fabio Deotto.
A Stanford un gruppo di scienziati è riuscito a codificare informazioni in una stringa di DNA di una cellula vivente. Un passo in avanti verso i biocomputer.
La tecnica si chiama RAD (Recombinase Addressable Data module), un termine che in slang americano significa “grandioso” o “fico”, e in effetti consente di fare qualcosa di straordinario: utilizzare il DNA come supporto biologico per l’immagazzinamento di dati.
Non è la prima volta che qualcuno prova a “scrivere” una sequenza di DNA. Già in passato, alcuni ricercatori ci erano riusciti, ma le informazioni incluse nella sequenza risultavano poi indelebili. Oggi, un’equipe di ricerca dell’Università di Stanford è riuscita nell’intento di codificare, immagazzinare e all’occorenza cancellare informazioni da una stringa di DNA.
Per ottenere un simile risultato è stato necessario trovare il modo di convertire le sequenze di nucleotidi in un supporto per la codificazione binaria. La quadra è stata trovata sfruttando enzimi capaci di invertire l’orientamento di piccole sequenze di DNA all’interno di un cromosoma. Dopo tre anni e 750 tentativi a vuoto, attraverso un calibratissimo dosaggio degli enzimi serina integrasi e serina excisionasi, Jerome Bonnet e colleghi sono riusciti a scrivere, e soprattutto riscrivere, all’interno dei genomi di batteri E. Coli.
Questo, in parole più semplici, significa che gli scienziati della Stanford hanno trovato il modo di invertire a piacimento l’orientamento di specifiche sequenze di DNA all’interno di un genoma, in modo da codificare un’informazione binaria (uno dei due orientamenti corrisponde a “1”, l’altro a “0”). Per comprovare questi risultati, Bonnet e colleghi hanno sfruttato particolari sequenze che producevano un tipo di fluorescenza diversa (rossa o verde) a seconda dell’orientamento che veniva scelto. Così facendo, hanno dimostrato che le informazioni codificate nel DNA batterico erano in grado di persistere anche dopo 100 duplicazioni della cellula.
Ma insomma, vi chiederete voi, a che pro fare tutta questa fatica? Progresso scientifico a parte, cosa ci guadagniamo dalla possibilità di scrivere e riscrivere stringhe di DNA come fossero memorie digitali? Domande legittime, che trovano immediata risposta se si conoscono le proprietà dell’acido desossiribonucleico (per gli amici, DNA). Prendete un normale Blu-Ray, soppesatelo sulla vostra mano e riflettete sul fatto che in quello spazio ristretto sono stipati qualcosa come 50 gigabyte di informazione. Poi pensate al fatto che in ogni singola cellula del vostro corpo c’è una copia del vostro genoma, e che questo minuscolo groviglio di basi azotate trasporta la bellezza di 800 gigabyte di informazioni. L’equivalente di 16 Blu-Ray, contenuti in un nucleo cellulare con un diametro pari allo spessore di un filo di ragnatela (7 micron).
“Siamo in grado di scrivere e cancellare dati sul DNA di una cellula vivente” spiega Bonnet “Questo significa che ora possiamo portare la logica computazionale all’interno della cellula stessa”
Questo significa che di qui a pochi anni la nostra collezione di Blu-Ray e chiavette USB sarà sostituita da una coltura di microbi? È altamente improbabile. Anche se, nel lungo periodo, questa innovazione potrà permettere di sviluppare memorie non volatili che non richiedono costi energetici, l’applicazione più plausibile dell’importante risultato di Bonnet e soci infatti riguarda le frontiere che potranno essere aperte in campo biomedico e bioinformatico. L’inclusione di informazioni all’interno del DNA delle cellule infatti potrà essere sfruttata per studiare fenomeni come l’invecchiamento, inoltre si intravede già la possibilità di poter impiegare queste tecniche per bloccare in tempo la proliferazione delle cellule tumorali.
Fabio Deotto.