AIDS: ci si ammala ancora. Per superficialità e ignoranza.
Di Daniela Mattalia.
Se ne parla poco, eppure il virus circola ancora, e colpisce soprattutto gli eterosessuali sopra i 40 anni. Intervista all'infettivologo Mauro Moroni.
Di Aids, oggi, si parla poco. Eppure il virus circola ancora, eppure la malattia è sempre diffusa, eppure ci sono ancora persone che si contagiano per superficialità, per ignoranza. Per questo parlare di Aids è importante, così come lo è finanziare la ricerca. Lo fa Convivio, la mostra mercato benefica che a Milano, dall’8 al 12 giugno (alla Fieramilanocity) offre la possibilità di comprare a metà prezzo abbigliamento e oggetti delle più grandi case di moda, design, cosmetica (e più di 50 personaggi del mondo dello spettacolo hanno offerto la loro immagine per farsi fotografare con la maglietta Convivio). Il ricavato sarà devoluto alla sezione lombarda dell’Anlaids. Panorama ha intervistato Mauro Moroni, infettivologo e presidente di Anlaids Lombardia, che ci spiega chi oggi rischia il contagio e come si può (e si deve) prevenirlo.
Chi si ammala di Aids, nel 2012?
Quello che è accaduto, da dieci anni a questa parte, è che l’infezione è ormai uscita dalle vecchie «categorie a rischio», cioè i gay e i tossicodipendenti, per attraversare tutte le età e gli strati sociali, almeno nei paesi ricchi e industrializzati. L’Aids è diventata la più temibile delle infezioni a trasmissione sessuale. La più temibile perché, una volta contratta, non è più eliminabile.
In base agli ultimi dati, l’età media del contagio è salita, si tratta spesso di persone sui 40 anni... Come mai?
Sono persone adulte che dovrebbero conoscere il rischio. In teoria. Nella realtà l’insidia di questa infezione è che gioca sull’emotività: una persona magari è in viaggio di lavoro, lontano dalla moglie e dalla famiglia, incontra una collega, o fa una conoscenza occasionale, e tradisce. E certo in quel momento non chiede il certificato di buona salute. In questo caso il contagio è tipico di individui facoltosi, intelligenti, che viaggiano, conoscono il mondo... e poi si ammalano per superficialità.
Sono ancora numerosi i casi di contagio dal marito alla moglie?
Sì, capitano ancora spesso. Il trend epidemiologico di questa malattia nasce dal maschio e poi si estende alla coppia. Il problema è che il maschio non ritiene che il suo comportamento sia pericoloso, non fa il test, sta bene per anni e poi arrivano i primi sintomi. A quel punto però il contagio alla donna è già avvenuto. A far salire l’età di chi si contagia sono poi anche i farmaci contro l’impotenza, che permettono di svolgere attività sessuale fino a età avanzata. E di fare turismo sessuale, un business estremamente diffuso, e non solo in Italia.
E i giovanissimi, sanno cos’è l’Aids, come si previene?
È un disastro. Andiamo nelle scuole a fare prevenzione e ci rendiamo conto che ne sanno davvero poco, c’è molta ignoranza. I ragazzini non hanno idea del rischio, non sono nemmeno sfiorati dal pensiero che dietro a un compagno che ha un aspetto sano e allegro potrebbe esserci il virus. Invece il picco dell’infezione, oltre che sui 40-50 anni, è tra i giovanissimi.
I genitori non li mettono sull’avviso?
L’Aids è finito nel dimenticatoio. Anche in famiglia non se ne parla spesso, magari per un senso del pudore. Magari hanno altre paure, il motorino, un incidente d’auto, fare troppo tardi la sera... E poi c’è sempre il retropensiero che questa cosa non possa mai succedere a loro. Quando noi medici ci troviamo in ambulatorio con una famiglia, la frase tipica è: “Non avrei mai pensato che questo potesse accadere a mio figlio, o a mia figlia”. Invece, per una sorta di esperimento, per vedere se ce la fanno prima di un vero rapporto sessuale, spesso gli adolescenti fanno sesso con una prostituta. E questo è pericoloso.
Come viene accolta oggi una diagnosi di Aids?
Quasi sempre con sorpresa: ma come, non sono gay, non mi buco, com’è possibile? Ho avuto rapporti, certo, ma con persone perbene, ben vestite... Non si ha la percezione del rischio. Un po’ come passare quando il semaforo è rosso.
Questa malattia però non è più una condanna a morte...Ma spesso non lo sanno, siamo noi medici a farlo capire. E comunque c’è sempre bisogno del supporto di un’équipe di psicologi, bisogna ricostruire un po’ la personalità di queste persone. Che non devono interrompere gli studi, devono continuare a lavorare, a progettare il loro futuro. Ma è complicato. Devono dirlo al partner, ma poi non sanno se devono comunicarlo anche ai figli, ai parenti, agli amici, al datore di lavoro.
In ogni caso, i farmaci hanno cambiato il destino di chi si ammala.
Sì, certo, oggi poi la terapia è molto meno complicata di una volta, due pastiglie al mattino e due alla sera. Non conosciamo però, non ancora almeno, gli effetti a lungo termine di questi farmaci, cosa succede dopo 40 anni di bombardamento chimico all’organismo? Oggi la nostra attenzione è puntata proprio su questo aspetto, ed è fondamentale finanziare la ricerca in modo che si scoprano gli eventuali effetti indesiderati della terapia nel lungo periodo. Quella contro l’Aids è una guerra di trincea, la guerra finale ancora non è vinta, ma si possono vincere le battaglie. Si devono vincere.
Daniela Mattalia.