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Corriere dei Ciechi

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Numero 7-8 del 2012

Titolo: RUBRICHE- A lume di legge

Autore: a cura di Paolo Colombo


Articolo:
a cura dell’avv. Paolo Colombo coordinatore del Centro di Documentazione Giuridica

Figlio utilizza il pass del padre invalido: nessun reato Nessun reato per il figlio che utilizza il pass del padre invalido. È quanto stabilito dalla Seconda sezione penale della Corte di Cassazione, nella sentenza 30 novembre 2011 - 29 febbraio 2012, n. 7966. Il caso riguardava A. P. imputato dei reati di sostituzione di persona e truffa continuata, per avere indebitamente utilizzato il permesso per invalidi rilasciato al padre, nonché il telepass, esponendoli sul parabrezza della sua automobile in assenza dell'invalido. Il suddetto contrassegno consentiva al soggetto de quo, di accedere tramite corsie preferenziali e porte telematiche alla ztl ove parcheggiava gratis, attribuendosi falsamente lo status di "accompagnatore al servizio". Il Giudice dell'udienza preliminare dichiarava il non luogo a procedere ed avverso tale decisione, il Pubblico Ministero proponeva ricorso per Cassazione. La Suprema Corte, pronunciandosi su casi analoghi a quello esaminato, ha più volte sostenuto che "non integra il delitto di sostituzione di persona, né quello di truffa ai danni dell'ente territoriale che esercita la vigilanza della viabilità, la condotta di colui che, al fine di accedere all'interno di una zona a traffico limitato, e percorrere le corsie preferenziali di un centro urbano, esponga sul parabrezza dell'auto un contrassegno per invalidi, rilasciato ad altra persona che non si trova a bordo del veicolo". Sposando l'orientamento giurisprudenziale prevalente, il Collegio ha puntualizzato che il reato di sostituzione di persona, prevede un comportamento attivo del soggetto agente nell'induzione in errore, mentre la condotta contestata all'imputato non integra gli estremi del reato in questione, atteso che, la sola esposizione del "permesso invalidi" sul parabrezza dell'autovettura, è un comportamento del tutto neutro. In effetti, non vi è stata alcuna attribuzione di una qualifica soggettiva, neppure indiretta, da parte dell'imputato. Per quanto concerne il reato di truffa, è assente l'atto di disposizione patrimoniale che costituisce l'elemento intermedio derivante dall'errore ed è causa dell'ingiusto profitto con altrui danno. Inoltre, il reato non sarebbe comunque ipotizzabile perché manca la necessaria cooperazione della vittima. Tra l'altro, se il profitto conseguito dall'imputato era quello derivante dalla circolazione "abusiva" dell'autovettura al servizio dell'invalido, esso era un fatto del tutto neutro agli effetti, in quanto tale condotta non era destinata a spostare "risorse" economiche dal soggetto in ipotesi "truffato" all'autore di tale condotta. Alla luce delle suesposte considerazioni, il Collegio ha rigettato il ricorso, rilevando che la deprecabile e diffusa condotta di uso indebito ed abusivo dell'autorizzazione alla circolazione rilasciata a persona invalida, costituisce non un illecito penale, bensì un illecito amministrativo, disciplinato nell'articolo 188 Codice della strada. Tale disposizione prevede tutte le ipotesi di abuso delle strutture stradali riservate agli invalidi, dalla loro utilizzazione in assenza di autorizzazione o fuori delle condizioni e dei limiti dell'autorizzazione, all'uso improprio dell'autorizzazione. Pertanto, in virtù del principio di specialità di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689, articolo 9, nel caso in oggetto sarà applicabile la sola disposizione che prevede una sanzione amministrativa. I genitori che hanno un figlio disabile possono adottare I genitori che hanno già un figlio disabile possono comunque adottare. È quanto ha stabilito la Corte d'Appello di Milano che ha ribaltato così il provvedimento del Tribunale dei minorenni che aveva negato ad una coppia l'idoneità all'adozione internazionale perché il loro figlio naturale è disabile. Per i giudici di secondo grado, anzi, i due genitori sono già "preparati alla diversità" e quindi pronti ad affrontare le possibili difficoltà legate all'adozione. Per questo hanno accolto il reclamo della coppia in cui si contestava come "il giudizio di non-idoneità non tenesse conto dell'evoluzione culturale nell'approccio alla disabilità e fosse frutto di pregiudizi". "Siamo di fronte a una vittoria importante per quanto riguarda i diritti delle persone con disabilità. Il riconoscimento del diritto ad avere un figlio anche quando all'interno del nucleo familiare c'è una persona con disabilità è un passo in avanti significativo. La presenza di un bambino con disabilità deve essere considerato un valore positivo e non un impedimento". La coppia, che vive in provincia di Varese, era stata valutata positivamente dai servizi sociali e dalla Asl del territorio, per i quali la presenza di un figlio affetto dalla Sindrome di Dravet (una rara forma di epilessia), non rappresentava un "fattore ostativo" alla possibile adozione di un bambino straniero. Nell'atto di intervento si evidenzia come il provvedimento del Tribunale dei minorenni di Milano sia fondato "su un approccio alla disabilità ormai superato e contrastante con i nuovi principi giuridici introdotti dalla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, ratificata con Legge 18 del 2009". Una lettura che è poi stata accolta e fatta propria dai giudici di secondo grado. Cassazione: sì all'invalidità civile agli immigrati regolari Se gli immigrati sono in regola con il permesso di soggiorno hanno diritto all'assegno di invalidità civile. È quanto afferma la Corte di Cassazione (sentenza numero 4110/2012) che ha dato ragione ad una donna divenuta cittadina italiana solo a partire dal gennaio 2009. L'assegno di invalidità gli era stato riconosciuto ma solo per il periodo successivo alla data in cui gli era stata riconosciuta la cittadinanza italiana. Per il periodo precedente, i giudici di merito le avevano negato ogni diritto. La donna, che prima del 2009 era comunque in possesso di regolare permesso di soggiorno, si è rivolta così alla Suprema Corte che le ha dato ragione rinviando il caso alla Corte d'appello di Genova e facendo notare che già nel 2008 la stessa Corte di Cassazione aveva affermato che "al legislatore è consentito subordinare non irragionevolmente l'erogazione di determinate prestazioni alla circostanza che il titolo di legittimazione dello straniero al soggiorno nel territorio dello Stato ne dimostri il carattere non episodico e di non breve durata". Se quindi gli immigrati sono regolari, spiega Piazza Cavour, non si possono discriminare "stabilendo nei loro confronti particolari limitazioni per il godimento dei diritti fondamentali della persona riconosciuti invece ai cittadini". Bocciata anche la tesi dell'Inps secondo cui per ottenere il diritto all'invalidità sarebbe stata necessaria una permanenza in Italia dell'immigrato di almeno cinque anni.



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