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Il Progresso

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Numero 10 del 2013

Titolo: Politica interna- Con questa riforma basta leggi lumaca

Autore: Luca Antonini


Articolo:
(da «Panorama» n. 40-2013)
Il gruppo dei 42 esperti, sotto la presidenza di Gaetano Quagliariello, ha approvato la relazione conclusiva sulla riforma del nostro assetto istituzionale. Paragonando l'oggi con il domani, si intravede, a dispetto di un conservatorismo costituzionale solo necrofilo, il possibile vantaggio di efficienza.
L'oggi. Nell'attuale bicameralismo paritario e perfetto, con oltre 900 parlamentari, i tempi medi per una legge sono due anni: il doppio degli altri paesi europei. Entrambe le Camere accordano la fiducia al governo, ma le leggi elettorali sono diverse: sono possibili, come oggi, maggioranze divergenti. Nel 1947 questo modello fu voluto per evitare che il vincitore delle prime elezioni politiche potesse schiacciare gli altri. Sono ragioni lontane anni luce da quelle dell'oggi, dove la riforma del Titolo V ha decentrato forti competenze senza un'adeguata sede di raccordo. Dal 2001 la Corte costituzionale ha risolto 1.640 conflitti tra Stato e regioni: non c'è legge statale o regionale che non debba attendere il verdetto della Consulta. Conservando il nostro bicameralismo, che non ha più nessuno stato al mondo, si è distrutta la certezza del diritto.
Se nella Prima Repubblica la vita media dei governi è stata di 11 mesi, nella Seconda la situazione non è migliorata molto: 18 mesi. Ma all'interno di un bipolarismo troppo manicheo, con le riforme di sinistra che hanno buttato a mare quelle di destra e viceversa; nel paradosso di un immobilismo frenetico, la mancanza di stabilità ha impedito di consolidare le riforme colpendo le culture parassitarie e si è ingigantito il potere dei corpi burocratici: l'ennesima anomalia italiana.
Il possibile domani. La relazione finale degli esperti indica come tornare ad avere governi stabili come gli altri grandi paesi europei. Prospetta, all'interno di varie ipotesi tra cui quella del semipresidenzialismo, la soluzione del governo primo-ministeriale, dove l'elemento chiave è il potere di chiedere e ottenere lo scioglimento della Camera, eliminando i ribaltoni.
Una legge elettorale, con soglia di sbarramento e un limitato premio di maggioranza, basata sul doppio turno di coalizione, permetterebbe, oltre al superamento delle distorsioni del «Porcellum», di identificare con chiarezza un vincitore. Il numero dei parlamentari è fortemente ridotto, il bicameralismo paritario è superato collocando solo alla Camera il rapporto di fiducia e assegnando al Senato la rappresentanza degli enti territoriali. Le leggi sono approvate prevalentemente dalla sola Camera, salvo rare leggi bicamerali.
Il Titolo V viene incisivamente corretto, ricentralizzando materie come grandi reti di trasporto o energia e quelle in cui le regioni, più che legiferare, hanno usato la competenza per porre veti. Si prevede una clausola di interesse nazionale, si stabiliscono dimensioni minime per i comuni, si rinforza il principio di responsabilità, anche costituzionalizzando i fabbisogni standard. Se questo diventasse l'assetto della Terza Repubblica, l'Italia avrebbe finalmente istituzioni efficienti (condizione essenziale per la produttività, ristrutturare la spesa e agganciare la ripresa): governi stabili, leggi in tempi ragionevoli e un sistema delle autonomie che, come in Germania, potrebbe diventare un fattore di competitività anziché di complicazione.



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