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Il Progresso

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Numero 10 del 2013

Titolo: Politica estera- Ancora lei

Autore: Luciano Santilli


Articolo:
(da «Panorama» n. 40-2013)
Angela Merkel resta alla guida della Germania, e a plasmare il futuro dell'Europa, perché la sua cautela è stata più forte delle critiche, ha salvato l'euro, ha bloccato i profeti della spesa pubblica facile... E adesso piace, oltre che ai tedeschi (pure a quelli che non la votano), ai mercati. Il suo programma è pronto: ecco i cinque punti più importanti di «Mutti 3.0»
«Buttati!». Ma sul blocco di partenza della piscina Angela Dorothea non sa decidersi. Nell'ora di educazione fisica i tuffi sono una novità, lei rimugina e non si lancia. Finché dopo 45 minuti, alla fine della lezione, dopo aver ponderato e riconsiderato la questione... splash. E' una storia della giovanissima Merkel, allora alle elementari nella Germania dell'Est. L'episodio ben riassume il carattere del cancelliere tedesco, di volta in volta accusata di essere troppo recisa nei suoi no o troppo titubante nei suoi sì. Però così è sempre stata Merkel. Non per fifa, anche se di sé ha confessato alla biografa Margaret Heckel: «Non sono spontaneamente coraggiosa». E' che sempre, prima di decidere, confronta, soppesa, valuta e rivaluta pro e contro, un tempo a scuola e nuovamente all'ultimo piano della cancelleria a Berlino dopo la probabile rielezione di domenica 22, visti i risultati delle elezioni locali in Baviera e i sondaggi: il suo partito Cdu al 39-41 per cento, la Spd al 25-28. Evita ogni scelta d'impulso o, peggio, ideologica. Stima e riconsidera ogni possibile imprevisto. Finché la decisione è presa, anche a costo di pagarne un prezzo di impopolarità (quella volta il tuffo ritardato le costò un votaccio).
Questo stile ha marcato la sua politica durante quattro anni di crisi drammatica per l'Europa, apparentemente ondivago (niente salvataggio della Grecia, sì, no, sì; niente fondo salvastati europeo, sì, forse, sì ma rallentato; niente unione bancaria, forse sì, vedremo in futuro), alimentando le turbolenze sui mercati finanziari, anziché placarle. Ma, a tirar le somme, mentre la bufera è costata la testa a tutti gli altri leader europei che governavano i paesi maggiori nel 2010, per Merkel questi anni turbolenti sono stati quelli che l'hanno fatta crescere di peso insieme al suo paese. L'Europa non s'è sfasciata, la sua cautela ha pagato, c'è odor di ripresa, dicono gli indici della Ue e del Fondo monetario, e lei con la rielezione si godrà una soddisfazione: ve l'avevo detto...
Perché la tattica Merkel, se pure appare tatticismo, sostiene obiettivi strategici. E gli elettori tedeschi, che non esitarono a silurare l'artefice dell'unificazione Helmut Kohl dopo due mandati, e riservarono la stessa sorte a Gerhard Schröder, iniziatore del secondo miracolo economico tedesco, affideranno un terzo mandato alla loro cara leader rassicurati dalla promessa mantenuta: un passaggio indolore attraverso la tempesta dei mercati come per gli ebrei attraverso il Mar Rosso. Come la gran maggioranza dei tedeschi la pensa il 62 per cento dei broker finanziari (sondaggio al seminario del Forex a Cernobbio), per i quali con Merkel al comando i mercati resterebbero quieti come negli ultimi mesi; il 28 per cento pensa addirittura a un miglioramento di scenario. E in ogni caso non soltanto gli elettori della maggioranza Cdu-liberali sono grati che «Mutti» (Mammetta) abbia difeso i loro interessi e patrimoni: l'indice di gradimento oscilla nella Repubblica Federale fra 57 e 63 per cento, ben oltre quello per il suo partito. I tedeschi si sono affezionati alla sua faccia paciosa ma con qualche ruga già profonda (è del 1954), alle sue mani in posa con le punte delle dita che si toccano a rombo, alla sua camminata poco istituzionale nei vertici più importanti del mondo, al carrello della spesa con cui si è fatta sorprendere dai fotografi, alla Golf che guida in privato, e pure ai suoi tailleur da casalinga vestita per la festa con cui gira in pubblico, incurante e risparmiosa.
L'impresa del terzo incarico alla cancelleria, salvo imprevisti, incide il nome Merkel nel Guinness della politica tedesca: il cancelliere più duraturo per il paese d'Europa diventato durante i suoi due mandati il più rilevante del Continente. Oggi c'è una risposta alla vecchia domanda-battuta di Henry Kissinger: se chiamo l'Europa, chi alza la cornetta? Adesso c'è Angela, che sempre più ha forza e titolo di interlocutore per l'America, la Cina, i paesi emergenti Bric.
Barbie con la sua faccia
Mutti non ha superato l'avversaria Spd tanto su temi di politica interna, ma proprio sulla politica europea, che sempre del resto l'ha interessata di più. Polemicuzze, in confronto al futuro dell'eurozona, al costo dei salvataggi dei paesi fragili, sono apparse quelle sul controllo degli affitti, i prezzi dell'energia, come pure il tema del salario minimo da portare a 8,50 euro orari secondo l'Spd, delle tasse (l'opposizione vorrebbe alzare l'aliquota massima dal 42 al 49 per cento).
Se ci fosse almeno una punta di segreta civetteria sotto la scorza della ex militante politica nella Rdt comunista tutta impegno e sobrietà (però le capitò di sbronzarsi con acquavite di ciliegie), poi nella Cdu sotto l'ala di Kohl già prima della caduta del Muro, di severa educazione protestante (il padre era pastore) ma fan del Papa, di ostentata sobrietà e onestà (anche se dopo il divorzio dal primo marito, rimasta senza casa, ne occupò brevemente una sfitta forzando la serratura), di studi impeccabili (1, cioè 100 centesimi, alla maturità, poi laurea in chimica quantistica e dottorato), di ostinata linearità di ragionamento (sebbene il mondo lineare non sia), si potrebbe immaginare Angela compiaciuta dai simboli mediatici del suo potere. Donna più potente nella classifica di «Time». Meglio: modello della Barbie lanciata nel 50o anniversario della bambola, con le sue fattezze, come esempio per le brave bambine che vogliono diventare donne impegnate e di successo. Magari, più seriamente, per quel paragone ricorrente con Margaret Thatcher, per la sua resistenza contro la spesa pubblica facile, l'invito a riordinare i conti pubblici di mezza Ue e a mettere confini al welfare. Merkel cita sempre questi numeri: quanto a lungo potrà l'Europa, col 7 per cento della popolazione mondiale, e il 25 per cento del pil, assorbire il 50 per cento della spesa sociale sul pianeta?
La cancelliera può rivendicare di avere bloccato l'effetto domino della crisi economica; molte macerie, certo, ma euro salvo e spread in frenata. Deve parecchio a Wolfgang Schäuble, 71 anni, ministro delle Finanze, europeista granitico di cui Merkel segue diligentemente ogni consiglio, perché è l'uomo che più stima. Ma questi successi non sono forse venuti a spese degli altri, dei paesi stremati dal rigore, dai disoccupati, dalle innumerevoli imprese chiuse?
Sconfitta dei keynesiani
Il «Wall Street journal» ha sintetizzato questo nodo della politica europea con una battuta: i keynesiani, ovvero i sostenitori della spesa pubblica e della creazione di moneta per contrastare la recessione, «non le perdoneranno mai di avere ragione». L'inflazione, hanno ribadito Merkel e Schäuble anche nei momenti critici della bufera finanziaria, è iniqua, pela i deboli. Contro l'espansione monetaria, in sostanza contro i deficit di bilancio senza controllo, hanno fatto muro seguendo i principi dell'ordoliberalismo (liberalismo ordinato). Facile dunque immaginare che Merkel, se pure potrà accettare altri compromessi parziali, non acconsentirà anche nel prossimo mandato alla pratica «primum vivere e spendere», perché si dovrebbe seguire una politica «non ferma solo al rigore», per usare recenti parole del presidente del Consiglio Enrico Letta. Secondo lei una certa pressione dei mercati, cioè il fiato sul collo dei paesi meno determinati a riformare e a controllare i conti, è utile. Né vorrà riconsiderare l'idea che il modo per tenere insieme paesi in attivo e stati in deficit sia il debito pubblico comune, cioè gli eurobond garantiti dai paesi più forti. I francesi potranno ancora sbertucciare «Frau Nein» nelle vignette sulle prime pagine, i greci infuriati dipingerla con due baffetti, gli antipatizzanti effigiarla come Caterina la Grande di Russia, nata tedesca, illuminata e lungimirante ma dura e sanguinaria (copertina dello «Spiegel»), gli spagnoli come domina sadomaso che frusta il leader Mariano Rajoy... Non servirà a smuoverla.
Egoismo? Quello vero si è visto nella campagna di Alternative für Deutschland, il partito della rottura dell'euro, che sottrarrà voti alla destra della Cdu, ma inutilmente perché c'è Mutti a garantire contro l'ansia dei tedeschi di dover pagare per tutti. In Germania per di più hanno a mente un elenco di decisioni prese dal cancelliere che in Italia, Francia, Spagna si tende a dimenticare. Frau Nein, non altri, ha deciso di usare centinaia di milioni della cassa depositi e prestiti locale (Kfw) per sostenere aziende medie e piccole in Spagna, Portogallo e perfino Grecia. Il cancelliere, non altri, mentre teneva il punto sul rigore dei conti, chiudeva gli occhi per la decisione Ue di lasciare tempo alla Francia per ridurre il deficit e all'Italia per frenare il debito. Anna di Ferro, non altri, si è morsa la lingua e ha taciuto per la colossale iniezione di liquidità della Bce alle banche europee, anzitutto italiane e spagnole, che l'hanno in buona parte usata per comprare Bot e Bonos pubblici. Non è poi così rigida, a ben vedere.
Ma, in concreto, la Germania vorrà o no guidare un più incisivo processo di riforme nei meccanismi dell'eurozona, per esempio e prima di tutto l'unione bancaria, favorendo la circolazione di capitali verso il Sud Europa? E vorrà aprire un po' il portafoglio, rendendo operativo il fondo salvastati da 500 miliardi? E quanto conterà, per questo ammorbidimento, il risultato degli alleati liberali (Fdp), bastonati dagli elettori in Baviera, che se non entrassero nel Bundestag renderebbero probabile quella «grosse Koalition» che la maggioranza dei tedeschi nei sondaggi preelettorali ha detto di preferire, e che il cancelliere si è lasciata come opzione, grazie a impercettibili spostamenti verso sinistra (sul nucleare, su temi sociali come l'aumento degli affitti), con tattica da «Merkiavelli»? La politica del cancelliere è delineata, fondata sul mantra: solidarietà, sì, ma costruita sulla solidità. Cinque i punti.
Primo: l'euro è per sempre, «resta il simbolo dell'unità europea» ha scandito Merkel sulla «Frankfurter Allgemeine Zeitung» «è un progetto per il futuro nell'età della globalizzazione. Anche la Germania ne ha bisogno»; «l'euro assicura posti di lavoro, l'euro assicura la nostra prosperità» ha insistito in campagna elettorale. L'uscita dalla moneta unica sarebbe infatti per la Germania «una catastrofe»: realistico riconoscimento, quello di Schäuble, visto che per lo stato federale la tenuta della valuta unica, unita ai costi irrisori di emissione dei Bund grazie allo spread, produce risparmi stimati in 40-41 miliardi fino al 2014. Non basta: con l'euro si è abbassato il costo del denaro per le imprese e per i privati (mutui, prestiti al consumo).
Secondo obiettivo: «dare un lavoro a più gente possibile», pur se 3 milioni di disoccupati in Germania sono già un grosso successo rispetto ai 5 di quattro anni fa, e pur se non è chiaro se si potrà ridurre il divario tra protetti e precari. Se la disoccupazione è diventata drammatica per i giovani europei, 3,6 milioni senza posto, la sua ricetta è sbrigativa: muovetevi! Ovvero: venite qui, in Germania mancano 6 milioni di persone di buona qualificazione. La base della forza tedesca conservata anche nella crisi è la riforma salariale e normativa del lavoro. Un pacchetto che porta il nome del predecessore di Angela, Schröder: meno garanzie e salari più bassi per impieghi precari di personale non particolarmente qualificato. In sostanza, una antipatica suddivisione fra dipendenti di serie A e serie B. Non è certo un modello entusiasmante lavare le scale, o riordinare gli scaffali dei supermercati, fare insomma mestieri ingrati come capita a 3 milioni e mezzo di tedeschi che hanno un minijob per 700-800 euro. Ma un cattivo lavoro è peggio o meglio di nessun lavoro?
Basta finanza senza regole
Terzo (un chiodo fisso di Merkel): la Germania invecchia rapidamente, entro il 2030 perderà 8 milioni di persone al lavoro secondo statistiche ufficiali. E ancor prima sarà terremotato il sistema pensionistico. Quindi alzare ancora, oltre i 67 anni fissati nel 2007 dalla «grosse Koalition», l'età pensionabile e sfruttare il patrimonio di conoscenze dei sessantenni.
Quarto: l'era della finanza che riesce a imporre i suoi interessi in barba alle regole deve finire. Ha detto Merkel all'ultimo G20 a San Pietroburgo: «Abbiamo notato in che modo i mercati finanziari eludono il nostro controllo, ma possiamo dire di aver raggiunto un progresso per quel che riguarda l'evasione fiscale, soprattutto delle multinazionali... ci sono aziende che in nessun paese al mondo pagano le tasse».
Il quinto punto è un sentimento-convincimento profondo: finito lo scontro fra capitalismo e comunismo, il duello è e sempre più sarà fra sistemi aperti e autocrazie, di cui, a partire dalla Cina, si vedono i formidabili punti di forza e di minaccia per il nostro sistema. Nel nuovo scenario la Germania svolge con Merkel un ruolo di «potenza geoeconomica», termine apparso nello studio della rivista di strategia «The Washington Quarterly»: il peso economico può servire a promuovere un modello di relazioni internazionali in cui prevalgano le libertà occidentali e le regole dello stato di diritto. Tuttavia, questo modello non sempre coincide con le scelte dell'America, della Nato. Merkel ha detto sì all'intervento in Afghanistan; però ha detto no, come Schröder contro il secondo intervento in Iraq, a un coinvolgimento in Libia e Mali, e oggi in Siria, con una secca presa di distanza da Usa, Gb e Francia.
E' come se in Germania si andasse indebolendo un assioma della politica estera fin dal dopoguerra, il legame con l'Occidente («Westbindung»). Inevitabilmente sono i forti gruppi di interessi economici a influenzare certi rapporti bilaterali non ortodossi per la fedeltà atlantica: le aziende energetiche quelli con la Russia, i costruttori di automobili quelli con la Cina, i colossi elettrici quelli con l'Iran... Merkel pensa a una Germania europea, o forse a un'Europa «made in Germany», certo non a un'Europa tedesca, come già paventava lo scrittore Thomas Mann. Dunque non bisogna temere uno stato muscolare come i Reich del secolo scorso, ma piuttosto una «potenza riluttante», termine usato in una sua copertina dall'«Economist», che la settimana scorsa si è poi spinto a raccomandare una sua rielezione. Riluttante, probabilmente, come quella ragazzina che non si decideva a tuffarsi in piscina.



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