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Il Progresso

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Numero 10 del 2013

Titolo: Salute- Finiamola con questo dolore

Autore: Redazionale


Articolo:
(da «Focus» n. 252-2013)
Alain Serrie è presidente e fondatore di Douleurs sans frontières. E della sofferenza ci ha detto che...
E' un campanello d'allarme vitale, può diventare una sensazione insopportabile. Ma ci si può liberare del dolore? Ne abbiamo parlato con Alain Serrie, che lo studia da scienziato, lo affronta ogni giorno da medico e pensa che si possa - e si debba - sconfiggere.
Il dolore è ancora il motivo principale delle richieste di consulto medico?
«Senza dubbio, è la prima causa delle visite, insieme a febbre e affaticamento. Studi francesi recenti mostrano che il 31,7% della popolazione soffre di dolori cronici: si tratta di circa diciotto milioni di persone. Rivelano anche che il dolore cronico è ancora poco indagato, in Francia come in Europa».
A quale stadio di un dolore è opportuno rivolgersi al medico?
«E' importante segnalarlo per ricercarne la causa e curarlo prima possibile. Se si tratta di un dolore acuto, è utile, è un campanello d'allarme. Avverte che è in corso un'aggressione, un malfunzionamento dell'organismo, e aiuta a definire una diagnosi. Questo dolore di breve durata può essere più o meno intenso, ma si calma facilmente con le terapie disponibili e si elimina curando la causa. Più si prolunga, però, più rischia di perdurare e radicarsi; oltre i tre mesi viene considerato cronico, diventa una malattia vera e propria, che influenza la qualità della vita del paziente».
Perché un dolore acuto diventa cronico?
«Alcuni derivano da malattie prolungate, altri sono provocati da dolori acuti trascurati, altri ancora sono strascichi di incidenti o di operazioni. Nel decidere un'azione terapeutica o nel fare una diagnosi delicata, i medici curanti devono tenere a mente che qualsiasi dolore si può prevenire. Già eliminando quelli acuti si può bloccare l'insorgere di certi dolori cronici».
Come si trattano i dolori cronici?
«Con terapie a lungo termine. Occorre innanzitutto passare del tempo con il paziente, perché ogni sofferenza è specifica. Abbiamo tutti lo stesso sistema nervoso, ma l'espressione del dolore è diversa per ognuno di noi, così come lo è l'efficacia delle cure. E' necessario identificare le ripercussioni sulla vita quotidiana, determinare ciò che rischia di alterare in modo duraturo la qualità della vita: l'ansia, la sensazione di malessere, la stanchezza, i disturbi del sonno... Poi si fissano gli obiettivi, non necessariamente ambiziosi, ma credibili. Così miglioriamo lo stato generale e riusciamo a diminuire l'intensità del dolore».
I farmaci disponibili sono efficaci?
«Per i dolori infiammatori o meccanici disponiamo di armi terapeutiche come antalgici, codeine, oppiacei, adattate all'intensità del dolore e alla risposta del paziente. Sono state migliorate, con compresse dagli effetti prolungati, e sono apparsi anche antidolorifici da assumere per via transmucosa o come spray nasali, con effetti molto rapidi. Senza dimenticare le miscele gassose, come il protossido d'azoto e d'ossigeno, spesso impiegate per il trattamento dei dolori nei bambini, ma anche negli adulti».
Che cosa si fa quando il dolore si dimostra refrattario ai trattamenti classici?
«E' il caso dei dolori detti neuropatici, che resistono agli antidolorifici classici e persino alla morfina. Hanno caratteristiche particolari: durano da mattina a sera e si manifestano con bruciore, formicolio, pizzicore... Sono conseguenti a disfunzioni o lesioni del sistema nervoso periferico (nervi, radici nervose) o centrale (midollo spinale e corteccia) e insorgono dopo interventi chirurgici nei quali vengono lesi piccoli nervi, oppure dopo traumi o patologie che interessano il cervello, come l'ictus e il Parkinson... Ma sono anche provocati da malattie come il diabete o il cancro».
Che cosa proponete a chi ne soffre?
«Il primo approccio, il più frequente, è prescrivere antidepressivi o antiepilettici, in dosi moderate, e quindi indicati come antidolorifici. I recenti cerotti con anestetici, da applicare localmente per 12 ore su 24, facilitano l'assunzione e limitano gli effetti secondari. Si può anche ricorrere a metodi di stimolazione con elettrodi; vengono posizionati sulla pelle nel punto del dolore e alimentati da un apparecchio non più grande di un telefonino.
Vi sono poi metodi di stimolazione più elaborati, chiamati di neurostimolazione interna, che consistono nell'impiantare degli elettrodi a livello del midollo spinale; inviano una corrente elettrica che attiva i neuroni specializzati nell'inibizione del messaggio dolorifico. Ma questa tecnica, che comporta un intervento chirurgico, non è adatta a tutti i pazienti ed è costosa. Esistono anche metodi non farmacologici, come agopuntura, mesoterapia, tecniche cognitive e comportamentali, kinesiterapia e ipnosi, che contribuiscono ad alleviare qualsiasi dolore cronico. Anche se non scompare del tutto, si può ridurne l'intensità anche del 30-50%».
E' vero che usate anche un cerotto al peperoncino?
«Si tratta di un cerotto imbevuto di capsaicina, sostanza estratta dai peperoncini rossi, che va messo sulla parte dolente. Un'applicazione di un'ora fa diminuire il dolore per tre mesi nel 50% dei casi, quasi senza effetti secondari. Il cerotto permette di evitare o diminuire l'assunzione quotidiana di antiepilettici e antidepressivi, limitando gli effetti collaterali come deficit di attenzione, aumento di peso, sonnolenza».
Quali sono le strade contro il dolore che le sembrano più promettenti?
«La prima riguarda i metodi non farmacologici, dei quali dobbiamo comprendere meglio meccanismi ed effetti. All'ospedale Lariboisière abbiamo depositato un progetto di ricerca sulla chirurgia del cervello a paziente sveglio, o meglio, sotto ipnosi. Uno studio ha dimostrato che, dopo un intervento realizzato sotto ipnosi, l'80% dei disturbi comportamentali (angoscia, incubi, paura della solitudine) diminuiscono, mentre aumentano nel 60% dei casi dopo un'anestesia totale. Siamo anche fiduciosi sull'arrivo di nuove molecole, soprattutto di antidepressivi e antiepilettici più mirati e con meno effetti collaterali.
D'altronde, la ricerca sperimenta nuovi approcci, ad esempio con test su molecole che intervengono sulla trasmissione del messaggio doloroso al cervello. C'è chi studia poi come intensificare potenza e durata d'azione delle encefaline, morfine endogene presenti in natura nell'organismo».
Il trattamento del dolore in ospedale le sembra oggi efficace?
«Negli anni è notevolmente migliorato. Ricordo che pochi decenni fa si pensava che i neonati avessero un sistema nervoso immaturo e che non potessero soffrire... Ora i centri antidolore si sono moltiplicati e per tutti, medici e popolazione, il dolore non è più accettabile. Ma resta molto da fare».
Quali sono le priorità?
«Dobbiamo sensibilizzare tutti gli attori della società civile. Il dolore ha incidenze socio-economiche di primaria importanza ma la sua gestione non è prioritaria. La prevenzione dei dolori indotti dalle cure è insufficiente e sono trascurati quelli degli anziani nelle case di riposo o dei pazienti con patologie mentali. I «dimenticati» del dolore restano ancora troppo numerosi».



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