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Il Progresso

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Numero 10 del 2013

Titolo: Psicologia- Non perdiamo il filo

Autore: Daniela Cipolloni


Articolo:
(da «Focus» n. 252-2013)
Ritrovare (e conservare alta) la concentrazione è sempre più difficile? Ecco come tenere a bada il cervello
Un effetto collaterale tipico, al rientro alla scrivania o sui banchi: il cervello stenta a riprendere l'attività. Che fatica fare attenzione, durante le lezioni o sul lavoro! E, per di più, in mezzo a mille distrazioni: i colleghi che parlano, le telefonate, le email, la voglia di mangiare qualcosa. Fondamentale, quindi, mantenere la concentrazione. «Una buona dose di concentrazione è indispensabile per apprendere volontariamente qualcosa e memorizzarne il contenuto» sottolinea Maria Antonella Brandimonte, docente di psicologia dei processi cognitivi all'Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Eppure, quante volte vi è capitato di rileggere la stessa pagina perché avevate la testa da un'altra parte? La concentrazione è infatti un'abilità tanto preziosa quanto limitata, dal punto di vista qualitativo (in termini di performance) e quantitativo (per il tempo in cui si resta focalizzati).
Divagare. Ma perché concentrarci ci sembra spesso così difficile? In parte, è il nostro cervello che... rema contro. «Non esiste mente umana che non possieda la naturale tendenza a sabotare l'attenzione procurandosi motivi di distrazione» afferma Brandimonte. Gli esperti lo chiamano «mind-wandering», la divagazione del pensiero. Due ricercatori della Harvard University, Matthew Killingsworth e Daniel Gilbert, monitorando 2.250 volontari hanno calcolato che trascorriamo fino al 46,9% delle giornate con la testa fra le nuvole, pensando a tutto fuorché a ciò di cui dovremmo occuparci, e almeno il 30% durante ogni attività.
Ignorare tutto. «Concentrarsi, cioè orientare l'attenzione dei neuroni della corteccia prefrontale su un certo compito, richiede di selezionare - cioè ignorare - in ogni secondo la moltitudine di stimoli corporali, ambientali ed emozionali che competono contemporaneamente per catturare l'attenzione stessa» spiega Leonardo Chelazzi, docente di neurofisiologia dell'Università di Verona. Distrarsi quindi non è mancanza d'attenzione, quanto il dirigerla verso altri bersagli. «Nei bambini l'effetto è amplificato all'ennesima potenza, perché ogni oggetto, ogni scoperta, ogni novità distoglie la mente» dice Paolo Legrenzi, docente di psicologia all'Università Ca' Foscari di Venezia. E anche gli anziani fanno più fatica a filtrare le distrazioni: ricercatori del centro Baycrest (Canada) hanno per esempio rilevato una eccessiva attivazione in aree della corteccia uditiva e della corteccia prefrontale, associate con il monitoraggio dell'ambiente esterno, negli anziani che dovevano concentrarsi su un compito con un rumore di sottofondo.
Comunque, all'origine dei nostri limiti c'è una ragione evolutiva. Essere assorti infatti ci serve, ma rischia di farci perdere di vista il contesto (basti pensare a un famoso esperimento degli psicologi Daniel Simons e Christopher Chabris, in cui metà delle persone impegnate a contare i passaggi della palla tra giocatori di basket non notava un personaggio vestito da gorilla che attraversava la scena). E ciò potrebbe essere pericoloso. «Siamo programmati per non astrarci a lungo, perché per i nostri antenati era molto più vantaggioso tenere gli occhi aperti sui pericoli dell'ambiente» conferma Legrenzi. E l'attenzione è destinata a calare. «E' dimostrato che fluttua tra alti e bassi» dice Brandimonte. Nel 1948 lo psicologo britannico Norman Mackworth pubblicò i risultati dei suoi studi sulla vigilanza - la capacità di mantenere l'attenzione a lungo - negli addetti a radar e sonar. Dimostrò che dopo 30 minuti l'attenzione aveva già un calo, e continuava a scemare lentamente nell'ora e mezza successiva.
Da piccoli. Ma oggi - più che stare all'erta - per noi è più utile sviluppare l'arte della concentrazione. La buona notizia è che si può imparare a evitare le distrazioni e «allenare» la mente a concentrarsi. In fondo, secondo una ricerca della University of London, già all'età di 11 mesi i bambini possono essere «addestrati» alla concentrazione: il training dei bebè consisteva nell'inseguire con gli occhi una farfalla svolazzante su un monitor ignorando altri elementi di disturbo. Dopo 15 giorni, i bimbi dimostravano capacità maggiori e più durevoli di focalizzare l'attenzione. E, come ha sottolineato uno dei ricercatori, Sam Wass, «più un bambino riesce a concentrarsi su qualcosa, come un libro, ignorando le distrazioni, meglio imparerà».
Strategie anti-distrazione
Prepararsi alla full immersion
Prima d'iniziare un'attività è meglio sbrigare le impellenze fisiologiche: andare in bagno, esaudire fame e sete... Altrimenti, le necessità dell'organismo prenderanno il sopravvento sull'attenzione. E conviene anticipare i prevedibili disturbi (come una telefonata programmata): uno studio di Chelazzi e colleghi dell'Università di Milano ha constatato che la sola aspettativa di una distrazione (anche se non sopraggiunge) peggiora del 10% le performance.
Fare una cosa per volta
Il multitasking è un mito. «Non si può prestare attenzione cosciente a più cose se non a prezzo della qualità del risultato» dice Brandimonte. «Possiamo fare due compiti se uno è automatizzato (prendere appunti mentre ascoltiamo). Ma non concentrarci su due cose che richiedono elaborazione cognitiva (capire un testo e ascoltare un discorso)».



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