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Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Corriere dei Ciechi

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Numero 2 del 2015

Titolo: INTERVISTE- Federico Borgna, sindaco di Cuneo

Autore: Maurizio Crosetti


Articolo:
Federico Borgna è, nell'ordine: sindaco di Cuneo, presidente della Provincia, promotore finanziario, dottore in Legge. Tra le sue caratteristiche fisiche, a domanda risponde: "Sono alto, ho un po' di pancia ma poca, sono cieco". La sua cecità non fa quasi più notizia, e questa è una notizia. "In campagna elettorale, qualche anno fa, ci furono timidi e un po' patetici riferimenti alla mia disabilità, allusioni al fatto che non sarei forse riuscito ad esercitare in pieno il mio ruolo di sindaco. Sciocchezze, naturalmente. Come farà a leggere gli atti? Come si renderà conto dei cantieri? Come potrà sposare le persone? Cosa gli faranno firmare? Qualcuno ipotizzò che sarei stato un sindaco teleguidato, invece sono un sindaco e basta, come tutti i miei colleghi".
Non è un'apologia della cecità, non è un esercizio di retorica, né una prova di edulcorato buonismo. Federico Borgna, quarant'anni, vive la sua condizione come dev'essere, non la ostenta, non la usa. La vive. E la racconta.

Le persone che hanno a che fare con lei, i cittadini che amministra, i suoi collaboratori, i suoi avversari: come si rapportano, oggi, con la sua cecità?
"La cosa più bella è che, alla fine, non gliene importa niente a nessuno. Il momento della curiosità o dello scetticismo è passato. La mia disabilità è diventata solo un aspetto, e di certo non centrale, della mia persona e del lavoro che svolgo. Vengo valutato, politicamente e non, per quello che dico e per quello che faccio, non per come vedo o non vedo il mondo: era il mio obiettivo, adesso posso definirlo un risultato pieno, entusiasmante e semplice. Dev'essere così ed è sempre stato così, dal momento in cui sono diventato cieco. Perché io non lo sono dalla nascita. Da cieco ho concluso gli studi, ho avviato una professione, sono entrato nel mondo dell'associazionismo, sono stato assessore al bilancio, patrimonio e politiche sociali nel comune di Bernezzo, il mio paese di origine nel Cuneese, ho scelto di entrare in politica e, infine, da cieco, esercito la mia funzione di sindaco. Nulla di più e nulla di meno. Quotidianità, non eroismo. Con i problemi di tutti".

Qual è il primo inciampo, il primo gradino da superare quando ci si rapporta con un disabile?
"Penso sia soprattutto un problema di comunicazione. L'inciampo è non sapere. E di questo siamo responsabili tutti, anche noi ciechi che forse non sappiamo raccontare davvero la nostra condizione. Poi, come ognuno di noi sa benissimo, si creano situazioni d'imbarazzo che non hanno senso. Tipo le persone che ti dicono "bè, allora ci vediamo domani" e subito si correggono, mentre tu magari ci stai ridendo sopra. Questo imbarazzo, però, dà la misura e il senso delle cose, compresa la paura di far male al disabile con le parole. I riguardi e la sensibilità vanno bene, però non è questo il problema".

I limiti di comunicazione, da parte del disabile, fanno parte della sua ritrosia, addirittura della sua paura?
"Un po' sì. Io, come dicevo, sono diventato cieco nel tempo, ammalandomi di retinite pigmentosa a undici anni. Nel 2004 mi sono aggravato, diventando cieco al cento per cento. Non esiste il momento in cui passi di colpo dalla luce al buio, si procede per gradi e può essere terribile. Giocavo a calcio, e a un certo punto mi sono accorto che non potevo più. Ho capito che non avrei più potuto camminare senza bastone, e ne provavo vergogna. Comunque, sono ben contento di avere avuto la vista e di poterlo ricordare".

Qual è stata la sua prima reazione alla cecità?
"Camminavo come un deficiente per le vie di Cuneo con il mio bastone telescopico chiuso in mano. Quel bastone era un macigno, lo vivevo e lo portavo come il segno della mia diversità: questa storia è andata avanti per un mese. Ci ho messo un po' a capire che le cose avrei potuto farle lo stesso, solo in modo diverso. In quei momenti non valgono neppure le parole di chi ti vuole bene ma ci vede, i parenti, gli amici: serve solo l'esempio di qualche cieco come te, qualche modello concreto".

Nel suo caso, chi ha svolto questo compito?
"Molte persone, preziose e carissime, che non smetterò mai di ringraziare: devo a loro se ho capito molto della vita e di me stesso. Non potendo elencarle tutte, ne scelgo due: Franca Baravalle, presidentessa dell'Unione Ciechi di Cuneo e Lino Blengino, che purtroppo non c'è più. Dell'Unione Ciechi era consigliere, ma soprattutto era una persona che non ha mai smesso di vivere una vita perfettamente piena e completa".

Il disabile è ancora una persona sola?
"A volte sì. Invece non dovrebbe mai temere di mescolarsi agli altri, e penso anche all'impegno politico. Bisogna sporcarsi le mani, ovviamente in senso metaforico: bisogna misurarsi, esserci. La politica è un servizio, è fare qualcosa per gli altri, per la collettività, accettando anche gli intoppi e le cose che non ci piacciono. Per un disabile, candidarsi a una carica pubblica significa accollarsi un rischio culturale oltre che politico, perché gli oppositori potranno far leva sull'handicap. In questi giorni, ed è solo un banale esempio, a Cuneo c'è una polemica che riguarda gli abbaini delle case: non la capisco, è una cosa abbastanza assurda, però si tratta di un fatto della città, non ha nulla a che vedere, come dicevo all'inizio, con la mia condizione fisica: giusto così. Ripeto spesso che un sindaco, prima di tutto, deve sapere ascoltare. Poi deve conoscere, presupposto essenziale per capire. Infine, deve saper decidere. In nessuna di queste azioni, la vista c'entra qualcosa. Oggi impiego più tempo per recarmi a piedi da casa mia al Municipio e viceversa, ma questo perché la gente mi riconosce, mi parla e mi chiede le cose, specialmente quelle legate alla vita quotidiana della città, ai problemi concreti. E io, nei limiti del possibile, cerco di ascoltare. Per poi poter comprendere e decidere".

Lei non ha paura di chiamare le cose col loro nome. Per questo le domando: può capitare che un disabile si nasconda dentro la sua limitazione? Che la usi come scusa?
"Sì, può capitare. Ed è umano. Il disabile teme l'insuccesso come e più di tutti. Lo ripeto: non è un fenomeno, non è un alieno. È una persona con qualche punto debole più evidente, dunque più esposto. Questo aumenta la sua fragilità, che ritengo sempre più psicologica che fisica. Però, quando capisce che la disabilità non inficia la qualità della sua esistenza e del suo lavoro, ma al massimo lo rallenta, ecco che scattano reazioni insospettabili, ecco che il disabile trova una forza che neppure immaginava di avere".

Lo si nota in modo clamoroso con gli atleti paralimpici.
"È vero, loro sono un esempio classico. La gente pensa che si tratti di superuomini o superdonne, però non è così. Sono soltanto persone che conoscono le proprie potenzialità al cento per cento. Anche un limite, in questo senso, può diventare una potenzialità".

Per un sindaco, come funziona questo meccanismo?
"Intanto, esiste la tecnologia: dai tempi della scuola utilizzo un sintetizzatore vocale che mi permette di leggere: prima i libri, ora anche gli sms e la posta elettronica. Sono connesso anch'io con il mondo, come tutti, quasi senza interruzione, a meno che non scelga io il contrario. I documenti li scannerizzo, rendo tutto digitale, e comunque ho collaboratori bravissimi. Questo è sorprendente se si pensa che la firma dei non vedenti è legale solo dal 1985. D'altro canto, avere qualche tempo tecnico più lento rispetto a un normodotato mi ha insegnato a delegare meglio, a fare davvero squadra: in politica è essenziale, si chiama economia e valorizzazione delle risorse. Gli accentratori non vanno bene, vedenti o ciechi non fa differenza".

Quanto conta il coraggio personale?
"Ti fa sentire in gioco. È un problema di approccio. Se una cosa non mi piace, ho due possibilità: provare a cambiarla o chiamarmi fuori. Nel secondo caso, però, non avrò più nessun diritto di lamentarmi. Nel primo caso, invece, tenterò di dare un contributo alla causa, e secondo me è già un atto politico".

In molti le avranno detto che lei è un punto di riferimento per tanti che si trovano nella sua condizione: cosa significa?
"Sono sincero: provo a non pensarci troppo, altrimenti mi sento inadeguato. Perché, grazie al cielo, sono una persona piena di limiti, non sono mica Superman. Poter essere un esempio mi riempie anche d'ansia, allora vado oltre, provo a fare ogni cosa meglio che posso. E qui scatta un meccanismo importante: il disabile vive la sua vita senza nulla di straordinario, cercando quella parità di condizioni e di opportunità che fa davvero la differenza. Ecco perché a me piace parlare più di parità che di uguaglianza".

Tuttavia, volente o nolente, Federico Borgna resta un esempio.
"Mi piace che un cieco possa pensare: se ce l'ha fatta lui, ce la posso fare anch'io che sono come lui. Non mi sento un modello irraggiungibile, proprio no, semmai la prova che studiare, laurearsi, lavorare, avere una vita piena di relazioni umane e affettive, al limite anche fare politica, è possibile".

Questo può avere conseguenze importanti anche nel mondo del lavoro.
"Certo. Almeno qui a Cuneo, nella nostra provincia, credo che un cieco possa ormai sostenere un colloquio di assunzione senza sentirsi chiedere cosa non sa fare. Perché lui, nel caso, potrebbe anche rispondere: posso fare il sindaco".

Sperava che accadesse?
"Sì, lo confesso. Era un mio obiettivo strategico. E se proprio non commetterò imperdonabili fesserie, se riuscirò a non essere il peggior sindaco della storia, magari aprirò qualche porta. E potrò ripresentarmi di fronte agli elettori, tra due anni, per essere giudicato da loro: come amministratore pubblico, non come cieco. Anzi, come amministratore pubblico che, tra le altre cose, è anche cieco".



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