Logo dell'UIC Logo TUV

Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Il Progresso

torna alla visualizzazione del numero 6 del Il Progresso

Numero 6 del 2015

Titolo: Politica estera- La giustizia privata delle multinazionali

Autore: Joseph Stiglitz


Articolo:
Gli Stati Uniti e il mondo sono impegnati in un grande dibattito sui nuovi trattati commerciali. Un tempo questi negoziati erano chiamati «accordi di libero scambio», anche se non erano affatto liberi, ma cuciti su misura per gli interessi delle multinazionali, soprattutto degli Stati Uniti e dell'Unione europea. Oggi si parla più spesso di partnership, come nel caso della Trans-pacific partnership (Tpp) e della Transatlantic trade and investment partnership (Ttip). Ma non sono rapporti tra pari: sono gli Stati Uniti a dettare le condizioni. I partner, però, stanno cominciando a fare resistenza.
Non è difficile capire perché. Gli accordi non si limitano al commercio, ma riguardano anche gli investimenti e la proprietà intellettuale, e impongono modifiche fondamentali alle leggi dei singoli paesi senza l'intervento delle istituzioni democratiche. La parte forse più odiosa (e disonesta) è quella sulla tutela degli investitori. Naturalmente, gli investitori vanno protetti dal rischio di esproprio da parte dei governi. Ma non è di questo che si parla negli accordi. Ci sono stati pochissimi espropri negli ultimi decenni, e gli investitori possono assicurarsi presso l'Agenzia multilaterale di garanzia degli investimenti, un'affiliata della Banca mondiale. Eppure Washington pretende che queste garanzie siano inserite nei trattati, anche se molti paesi firmatari già tutelano la proprietà e hanno sistemi giudiziari evoluti quanto quello degli Stati Uniti.
Il vero scopo di queste misure è intralciare tutte le norme sanitarie, ambientali e finanziarie che servono a difendere l'economia e i cittadini. Le multinazionali possono denunciare i governi e pretendere un risarcimento se temono che una nuova norma ridurrà i loro profitti. Non è solo una possibilità teorica. La Philip Morris ha già denunciato l'Uruguay e l'Australia per aver imposto che i pacchetti di sigarette mostrino degli avvisi sui rischi per la salute. La campagna sta funzionando: sta scoraggiando il fumo. E così la Philip Morris vuole essere risarcita. In futuro, se si scoprirà che un altro prodotto comporta problemi per la salute, il produttore potrà denunciare il governo perché gli impedisce di ammazzare più persone. E potrebbe succedere la stessa cosa se un governo dovesse imporre regole più severe per tutelare i cittadini dagli effetti delle emissioni di gas serra.
Quando ero consigliere dell'amministrazione di Bill Clinton, gli antiambientalisti provarono ad applicare una misura analoga, chiamata regulatory takings. Se fosse entrata in vigore, le misure per proteggere l'ambiente sarebbero state bloccate, perché il governo non avrebbe potuto permettersi di pagare i risarcimenti. Fortunatamente l'iniziativa fu respinta.
Ora però quegli stessi gruppi vogliono aggirare il processo democratico inserendo misure simili nei trattati commerciali, i cui contenuti vengono tenuti in gran parte nascosti all'opinione pubblica, ma non alle multinazionali. Se sappiamo cosa sta succedendo è solo grazie alle indiscrezioni di alcuni funzionari.
Uno dei pilastri dello stato è un sistema giudiziario imparziale, basato sui princìpi della trasparenza e della possibilità di ricorrere in appello. Tutto questo viene messo da parte nei nuovi accordi, che invocano il ricorso ad arbitrati privati, non trasparenti e molto costosi. Oltretutto, il sistema crea conflitti d'interesse: l'arbitro può fare da giudice in un caso ed essere parte in causa in un altro.
I procedimenti sono così costosi che l'Uruguay è stato costretto a rivolgersi a Michael Bloomberg e ad altri filantropi per difendersi contro la Philip Morris. E mentre le multinazionali possono sporgere denuncia, altri non possono: se c'è una violazione di altri impegni previsti dall'accordo (per esempio sugli standard ambientali o sul lavoro) i cittadini, i sindacati e la società civile non possono fare ricorso.
È difficile immaginare un meccanismo di risoluzione delle controversie più unilaterale e contrario ai princìpi del diritto. I sostenitori degli accordi sottolineano che finora gli Stati Uniti sono stati denunciati pochissime volte e non hanno mai perso una causa. Ma le aziende stanno ancora imparando a sfruttare le norme a loro vantaggio. Le multinazionali dei paesi industrializzati hanno un'arma in più: possono creare delle società controllate nei paesi firmatari e usarle per investire in patria ed eventualmente denunciare il governo.
Se ci fosse davvero bisogno di più tutele per gli investitori e se questo meccanismo privato di risoluzione delle dispute fosse davvero superiore al sistema giudiziario, allora la legge andrebbe cambiata non solo per le multinazionali, ma anche per i cittadini e le piccole imprese. Norme e regole determinano il tipo di economia e di società in cui viviamo. Incidono sul potere contrattuale e sulla disuguaglianza sociale. La domanda è se possiamo permettere alle multinazionali di sfruttare i trattati commerciali per decidere come vivremo nel ventunesimo secolo. Spero che i cittadini di Stati Uniti, Europa e del Pacifico rispondano con un sonoro no.



Torna alla pagina iniziale della consultazione delle riviste

Oppure effettua una ricerca per:


Scelta Rapida