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Il Progresso

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Numero 6 del 2015

Titolo: Salute- Accendi la vista

Autore: Amalia Beltramini


Articolo:
(da «Focus» n. 272-2015)
Tsunami miopia. Così lo chiamano nei Paesi orientali, dove la difficoltà a vederci da lontano si sta diffondendo in modo esponenziale. Non si tratta di un'epidemia circoscritta, anche se in Asia è più grave: in Occidente l'incidenza nelle nuove generazioni è raddoppiata (e certo non è in calo tra gli adulti). La ricerca ha però individuato finalmente le cause di questo fastidioso difetto di rifrazione, tanto che oggi non soltanto è possibile risolverlo, grazie alla chirurgia refrattiva, ma anche prevenirlo.
L'indizio risolutivo è stato, curiosamente, una statistica che nulla ha a che fare con la salute. Rileva che l'Estremo Oriente - Shanghai, Singapore, Hong Kong e Corea - si colloca regolarmente al top delle valutazioni dei sistemi educativi di 65 nazioni compiute dal programma Pisa-Ocse. Cosa c'entra con la miopia l'eccellenza nei test in matematica, lettura e scienze? C'entra, perché gli straordinari risultati scolastici dei bambini asiatici non sono dovuti a particolari caratteristiche del sistema educativo (i giovani che emigrano continuano infatti a primeggiare anche all'estero): le ragioni del successo sono altre, come indicano i dati del Pisa, e queste sì correlate alla salute. Spinti dalla pressione a eccellere, i ragazzi dell'Asia Orientale trascorrono infatti sui libri anche gran parte del loro tempo libero. Corsi di approfondimento, compiti, studio pomeridiano... Fino a 14 ore al giorno contro le 5-6 ore degli studenti dei Paesi occidentali.
Rovescio della medaglia? Lo tsunami miopia, appunto. Se sessant'anni fa i cinesi miopi erano il 10-20% della popolazione, oggi lo sono diventati il 90% degli adolescenti e dei giovani. A Seul sono miopi il 96,6% dei diciannovenni.
Raddoppiati
Benché non altrettanto drammatico, anche il mondo occidentale registra un aumento della miopia nei giovani. Negli ultimi 50 anni l'incidenza di questo difetto di rifrazione è raddoppiata infatti sia negli Stati Uniti sia in Europa. Negli Anni 70 del secolo scorso era miope il 25% della popolazione statunitense, oggi lo è il 40%, nota Michael Chiang, dell'American Academy of Ophthalmology. L'Italia non fa eccezione: 40 anni fa era miope il 13% degli italiani sotto i 30 anni, oggi il 25-30%. Quindici milioni di italiani ci vedono male da lontano. Un esercito.
Che cos'è la miopia
L'occhio, si sa, continua a crescere fino a 20-25 anni: rapidamente da 0 a 2 anni e più lentamente fra i 3 e i 15. Alla nascita molti bambini sono ipermetropi, ma verso i 5-8 anni diventano emmetropi, cioè l'immagine si forma correttamente sulle loro retine. In questa fase, però, se il bulbo oculare si allunga troppo, la cornea e il cristallino non riescono più a compensare e il fuoco dell'immagine non cade più, come dovrebbe, sulla retina, ma davanti a essa. È il difetto di rifrazione, appunto, che si chiama miopia. Di solito è considerata benigna: occhiali, lenti a contatto e chirurgia refrattiva consentono di correggere l'errore. Ma non i danni al bulbo oculare: nei casi più gravi, da 6 diottrie in su, cioè circa nel 25-30% delle miopie, la deformazione del bulbo è tale da stirare e assottigliare le parti interne dell'occhio, aumentando il rischio di cataratta (opacizzazione del cristallino), di glaucoma (danno al nervo ottico), di distacco della retina.
Quando insomma una miopia è elevata, l'aumento della dimensione dell'occhio è tale da far crescere anche il rischio di cecità; negli anziani miopi è il quadruplo rispetto ai non miopi, con un costo sociale molto elevato. E domani sarà peggio: si calcola che nei Paesi asiatici uno studente universitario su 5 abbia una miopia tanto grave da rischiare di diventare cieco in futuro.
Certo c'è una componente ereditaria. Gli studi degli Anni 60 del secolo scorso hanno dimostrato che il figlio di due genitori miopi ha maggiori probabilità di sviluppare questo difetto di rifrazione; e se un gemello omozigote (con lo stesso patrimonio genetico) è miope lo sarà anche l'altro mentre se è miope un gemello eterozigote (con patrimonio genetico diverso) le probabilità che lo sia anche l'altro sono inferiori. Ma la genetica non può essere la risposta all'aumento esponenziale della miopia: negli ultimi 40 anni la popolazione nei Paesi asiatici non è cambiata. Deve quindi esserci una componente ambientale. E qui entrano in gioco (anche) le statistiche del Pisa.
Tutti al sole
Una decina di anni fa due oculisti australiani, Kathryn Rose dell'University of Sydney e Ian Morgan dell'University of Camberra, hanno selezionato 2.367 studenti di Sydney di 12 anni: li hanno sottoposti a visita oculistica e a un questionario sulle loro attività diurne. Il tempo trascorso sui libri non era particolarmente significativo. Il tasso più basso di miopia era però associato al numero maggiore di ore trascorse all'aperto, mentre il tasso più elevato di miopia si trovava fra i bambini che trascorrevano meno tempo fuori casa e molto tempo dentro. L'attività sportiva al chiuso non aveva invece alcuna influenza positiva sulla vista. Lo studio fu pubblicato nel 2008 sulla rivista scientifica Ophtalmology e da allora tutti quelli successivi hanno continuato a confermare che maggiore è la durata della permanenza all'aria aperta e minore è il rischio di sviluppare la miopia.
«Che cosa c'è «fuori» che «dentro» non c'è, e con quale meccanismo modifica la lunghezza dell'occhio?», si sono chiesti i ricercatori. Marita Feldkaemper, del centro di oftalmologia dell'Università di Tubinga, in Germania, studia la neurobiologia dell'occhio e in particolare il ruolo di un neurotrasmettitore, cioè un postino chimico presente nella retina, la dopamina. «Le concentrazioni di questa sostanza aumentano con la luce e seguono il ritmo circadiano», dice Feldkaemper. «In pratica l'occhio esposto alla luce produce più dopamina nella retina e questa a sua volta inibisce la crescita eccessiva dell'occhio». Si è provato, per averne la controprova, a iniettare nell'occhio dei polli lo spiperone, una sostanza che inibisce l'azione della dopamina, e si è scoperto che così si contrasta l'effetto benefico della luce (e il bulbo oculare continua a crescere). La luce, quindi, ha un effetto protettivo contro la miopia. Ma quanta ce ne vuole?
Luminosità
L'unità di misura dell'illuminamento è il lux. Un lux equivale alla luminosità di una candela a 3 metri di distanza. La lampadina da 100 watt fa brillare 190 lux; negli uffici e nelle classi di solito ce ne sono da 300 a 500. Morgan calcola che, per proteggerli dalla miopia, bisogna che i bambini stiano all'aperto almeno tre ore al giorno esposti a una luminosità di 10 mila lux, quelli misurabili all'ombra di un albero in una giornata estiva di sole brillante indossando occhiali scuri: all'aperto la luce va da 32 mila a 100 mila lux. Un cielo coperto non arriva a 10 mila lux.
Basta un anno di esposizione o di non esposizione per fare la differenza: uno studio condotto a Taiwan ha confrontato la vista dei bambini di due scuole: quelli di una hanno trascorso gli 80 minuti dell'intervallo all'aperto per un anno, nell'altra, al coperto: fra i primi l'incidenza della miopia era dell'8%, fra i secondi del 18%. Per contrastare perciò la miopia giovanile in luoghi come il Circolo polare artico, dove il giorno è di breve durata e la luce scarsa, si pensa di esporre i bimbi a 10 mila lux di origine artificiale. Ma questa terapia ai piccoli italiani non serve, basta lasciarli giocare all'aperto, dove ricevono tutta la luce naturale necessaria (e così si riduce anche l'obesità).
Correzione
E se si arriva troppo tardi per contrastare la miopia infantile? Nell'adolescenza, per rallentare l'evoluzione del difetto, si possono indossare le lenti rigide per ortocheratologia, approvate dall'Fda, l'ente preposto negli Usa: si portano di notte e modificano la curvatura della cornea riducendo la miopia diurna. Dopo i 25 anni c'è sempre la correzione definitiva con la chirurgia refrattiva. Le tecniche più diffuse sono quattro (Lasek, epi-Lasik, Prk, Lasik): hanno in comune l'uso del laser, differiscono invece per la profondità dell'intervento. Lavorando più o meno in superficie, il laser toglie tessuto della cornea fino a ridurre la lunghezza del globo oculare e riportare la messa a fuoco corretta sulla retina. Questi interventi sono compiuti in anestesia locale e in day surgery. In mani esperte lasciano solo per qualche giorno la sensazione di bruciore e la vista offuscata. Complicanze gravi e rare? Infezioni, ulcere della cornea, aumento della pressione intraoculare e glaucoma. Di queste terapie, tuttavia, non si conoscono ancora i risultati a lungo termine. Meglio prevenire.



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