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Corriere dei Ciechi

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Numero 7-8 del 2016

Titolo: TV- Il bello e il brutto della TV

Autore: Antonella Cappabianca


Articolo:
Tema: La stagione televisiva appena conclusa, riflessioni, bilanci e aspettative.
Quando andavo a scuola non proponevano mai tracce così intriganti, magari da svolgere durante le vacanze estive in uno di quei pomeriggi che sembrava non dovessero finire mai. I miei professori spaziavano dal classico "oggi è l’ultimo giorno di scuola, rifletti sull’anno appena trascorso con insegnanti e compagni", a temi di carattere più spiccatamente storico o letterario. Questo tema, che allora avrei svolto con entusiasmo, perché di televisione mi nutrivo quanto e forse più che di libri, mi trovo a svolgerlo oggi, con la necessità di dover parlare di una tv che in gran parte non mi piace e che, comunque, non mi accontenta. Una distinzione però è d'obbligo, quella tra canali generalisti e canali tematici: incorreggibili i primi, con spunti interessanti i secondi.
Sì, forse sono di troppe pretese, ma non posso fare a meno di chiedermi come sia possibile che la vuotezza di Amici sia arrivata all'ennesima edizione, che Don Matteo non sia ancora diventato cardinale o almeno vescovo e che la squadra antimafia sia ancora lì a combattere i cattivi, il tutto mentre dal 2000 si cucinano a tutte le ore piatti della tradizione italiana, piatti esotici, piatti dagli abbinamenti più impensabili ed inquietanti, che stupiscono soprattutto per quello che nella cucina in tv manca, l’odore del piatto, i rumori della sua cottura e, alla fine, il suo sapore, che noi spettatori al di là della scatola televisiva non conosceremo mai. Braccialetti rossi, che ha avuto il merito, nonostante la trama cervellotica e forse qualche fantasma di troppo, di far riflettere gli assetati di dolore altrui sulla disabilità e sulla sofferenza, è già alla terza serie.
Montalbano, invertendo il normale corso delle cose, ha iniziato da vecchio e poi è ringiovanito, con qualche problema per i lettori divoratori del Camilleri scritto, che già a fatica avevano digerito un Fazio giovanotto nella versione televisiva in sostituzione del cinquantino dei romanzi.
I reality e i talent show sono l’altra disgrazia del momento: i primi vogliono per forza spacciare per vera una realtà che vera non è, che è costruita, posticcia, artefatta. I secondi fabbricano tante finte stelle che però non brillano, se non di una luce fioca destinata a spegnersi presto. Sto esagerando? Provate a cantare o fischiettare il motivetto di un vincitore dell’ultimo Sanremo, provate a richiamare alla mente il suo nome. Il buio totale, e lo stesso è per le precedenti edizioni più recenti, monopolizzate da vincitori di talent show. Quello che emerge dal talent show non è il talento autentico, quello vero e inconfondibile che lascia in ombra tutto ciò che ha intorno, ma un talento costruito, falso come quello dei cibi light, che non reggono, alla prova sapore, il confronto con cibi normali.
Mi resta da dissacrare il racconto televisivo che, non so perché, proprio non riesce ad essere mai verità. Quando ho iniziato a studiare i fondamenti del diritto privato ho letto una pagina del manuale di istituzioni che mi ha procurato grande angoscia. C’era scritto, in sostanza, che quello che era importante era arrivare ad una verità giudiziaria certa ed intangibile, pazienza poi se questa verità non coincideva con la verità dei fatti. Al sistema, al diritto, importa solo di pervenire ad una certezza, e che si tratti di una certezza ingiusta e basata su erronei presupposti conta poco.
La televisione, nel raccontare storie, sembra aver adottato, oggi più che mai, la stessa filosofia che muove il diritto.
Che cosa voglio dire? Prendiamo un tema, per esempio quello della disabilità, e pensiamo a come le storie vengono raccontate: il disabile, poverino, anche se è disabile sa fare questo o quello. Per l’ultima giornata dedicata alla consapevolezza dell’autismo, lo scorso aprile, si cercavano storie da raccontare in tv, ma solo storie a lieto fine. Questo, però, non è il modo di raccontare la verità, la verità è fatta di storie a lieto fine, di storie di chi a fatica arranca e resta a galla e delle storie di chi affonda e tutte le storie meritano di essere raccontate. La tv generalista, invece, vuole storie belle strappacuore per far piangere un po’, ma con moderazione, oppure vuole la storia di denuncia ma non troppo forte, perché va bene far riflettere un po’, ma senza turbare. Ci sono, poi, storie che fanno troppo male e quelle no, davvero non si possono raccontare. Anche l'informazione è votata spesso all'intrattenimento. La formula del talk show è molto usurata. Nei vari salotti, che si succedono dalla mattina alla tarda sera, si siedono sempre le stesse poche persone, politici o gente dello spettacolo perlopiù. Sono d'obbligo una battuta di spirito come poi una litigata.
Osservando poi la struttura di certi Tg si può notare che sono ormai diventati "un film a lieto fine", pieni di cronaca nera e nel finale di notizie rosa e di inutili curiosità spacciate per fatti di costume, non fanno più vera informazione. Allora è tutto da buttare e non c’è niente da salvare? Alcune novità positive ci sono. Saranno forse degli specchietti per le allodole, ma la circolare di Rai3, che invita i conduttori a vestire in modo sobrio e la rimozione degli spot dai canali Rai per i più piccoli sono simbolicamente meritori. I canali tematici poi offrono appunto quegli approfondimenti e quella ricerca della verità senza la fretta di ridere o litigare, che mancano in quelli generalisti. Penso a Rai Storia, a Rai5 e alle novità della rete della Feltrinelli. Una parola meritano le serie tv. Ce ne sono su tutti gli argomenti e per tutte le fasce di pubblico. Sono davvero una nuova forma di comunicazione e mettono a tema i vari aspetti della vicenda umana, dalla politica alla scuola, dall'economia alla cronaca: non solo adolescenti in crisi insomma. Anche sul piano dell'interattività, la televisione inizia a muoversi. Molte reti offrono una app, in molti casi anche accessibile in parte ai disabili visivi. È possibile seguire i programmi in differita e interagire con le redazioni tramite commenti e messaggi. C'è infine la grande novità di Netflix, i cui programmi, film, serie tv, documentari e cartoni sono tutti audiodescritti. È proprio quanto manca alla tv generalista, rivolta ad un pubblico stanco e passivo.



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