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Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Corriere dei Ciechi

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Numero 11-12 del 2016

Titolo: ITALIA- Parlate di noi, ma parlatene bene

Autore: Luce Tommasi


Articolo:
"Parlate di noi, ma parlatene bene". Ciechi e ipovedenti sono tutti d'accordo nel pretendere di cambiare l'approccio che, troppo spesso, molti di noi hanno ancora oggi nei loro confronti. In coro hanno alzato la voce in occasione del seminario "Persi di vista. Tra falsi ciechi e falsi miti. Come raccontare il quotidiano delle persone non vedenti". Iniziativa promossa, a Porta Futuro di Roma, dall'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti Onlus, in un inedito sodalizio con Redattore Sociale, il network fondato da Stefano Trasatti per accogliere, non a caso, punti di vista diversi. Tanto diversi, come illustra la mostra itinerante "Io ti vedo così" su ipovisioni e non visioni, proposta in occasione del seminario dall'U.O. Oculistica dell'Ospedale Bufalini di Cesena. Può infatti accadere che i confini tra "ciò che si vede" e "ciò che non si vede" possano cambiare all'improvviso come se, ad un tratto, "uno strano sortilegio si impadronisse di te". E allora, cosa dobbiamo fare quando, nella quotidianità, incontriamo persone che camminano nella direzione opposta alla nostra, ignorandoci o cercando di scansarci? Una risposta c'è ed è proprio su questa risposta che si sono concentrati gli interventi dei relatori intervenuti al tavolo di "Persi di vista", a cominciare da Raffaele Migliorini, medico legale e oculista, che ha messo a fuoco i limiti e le difficoltà nell'accertamento della cecità civile. "La scienza evolve - ha premesso - e con la scienza cambia anche la legge che affronta la definizione del campo visivo". Un terreno sicuramente complesso anche per noi giornalisti che a volte, senza conoscere, trasformiamo in notizia ciò che notizia non è. Un titolo ricorrente: "Cieco scende dalla macchina, scarica i sacchetti della spesa e infila la chiave nella porta di casa". E perché no? La vera notizia sarebbe stata se il cieco avesse guidato la macchina. Un consiglio utile per non dire sciocchezze sarebbe quello di mantenere la certezza del dubbio. Perché ci sono tante azioni che ciechi e ipovedenti possono fare, proprio come noi vedenti, grazie a modalità che, con l'abitudine, sono riusciti a rendere possibili. Dunque bando a pietismo e compassione perché anche una vista inesistente o imperfetta può consentire il raggiungimento di traguardi comuni a coloro che ci vedono bene. "Una lacrima non fa informazione" ha detto in parole e in musica Flavio Vezzosi, giornalista e pianista, che non ha proprio mandato giù quella puntata, su Rai 1, di "Ti lascio una canzone", condotta da Antonella Clerici, che ha presentato una giovane pianista cieca, Luciana, mentre suonava con le mani appoggiate sopra quelle della maestra, in totale dipendenza dal movimento della sua guida. "Messaggio fuorviante e sbagliato - ha commentato Vezzosi - perché, per chi ha studiato il Braille, non si è mai presentata la necessità di stare sulle ginocchia di qualcuno". Insostituibile Braille - è stato sottolineato più volte nel corso del seminario - strumento modernissimo che, pur avendo 200 anni di vita, si integra perfettamente con le nuove tecnologie, dando indipendenza culturale a ciechi e ipovedenti e rendendoli liberi di competere ad armi pari. Cosa dire, in proposito, del collega Maurizio Molinari, addetto stampa del Parlamento Europeo in Italia, che ha collaborato con prestigiose testate, a cominciare dalla BBC e dalla Radio Svizzera italiana? "Soltanto nel nostro Paese - ha detto - oltre il 75% dei ciechi è disoccupato, percentuale che è ancora più alta fra i giovani, mentre alla BBC ho conosciuto almeno una dozzina di non vedenti che facevano i giornalisti". E ha ricordato che, in Inghilterra, tutto è stato codificato in una legge che prevede, tra l'altro, ausili ad hoc, mentre in Italia le norme vengono spesso disattese da quelle aziende che, anziché adeguare le loro strutture, preferiscono pagare multe irrisorie. Avanti con le nuove leggi allora, i soli strumenti in grado di colmare i vuoti culturali che non riescono a vedere le risorse della persona cieca, ma soltanto i limiti. Per avere l'approccio giusto - è stato detto a più voci durante il seminario - occorre partire da "quello che il cieco sa fare" e non da "nonostante non ci veda" perché tutto è possibile con i necessari accorgimenti. Antonella Cappabianca, critica televisiva, fotografa, avvocata, ha un marito, non vedente come lei, e una figlia di quattro anni. "Una famiglia come tante" l'ha definita, citando una vecchia serie televisiva in cui, finalmente, il disabile non era né il protagonista né l'emarginato, ma semplicemente uno del gruppo. E la sua Asia ha saputo dimostrare come i bambini abbiano una naturale capacità di relazionarsi con i genitori, non diversi, non speciali, ma prima di tutto genitori. Sì, perché anche i ciechi e gli ipovedenti hanno diritto all'affettività, una delle dieci cose che, forse per pudore, non ci sono state mai dette. Lo ha fatto Katia Caravello, psicologa-psicoterapeuta, che ha perso la vista a 20 anni e che, proprio per questo, è esperta di luoghi comuni e di falsi miti. "Le buone intenzioni spesso non servono - ha detto - a dare informazioni veritiere quando non mettono al centro la persona, ma il suo handicap". E ha aggiunto: "Chi decide di condividere la vita con noi non è né un santo, né un badante e quindi non dobbiamo dirgli grazie". Spazio dunque a famiglia, lavoro, tempo libero, nella consapevolezza che la disabilità esiste e non va mascherata con formule come "diversamente abile". Certo, ognuno ha il suo percorso, ma corpo, mente ed emozione sono i tre elementi comuni ad abili e disabili, nella consapevolezza che, nella libertà di scelta, tutti possiamo essere in grado di evolvere. Linda Legname, componente della Direzione nazionale dell'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, e lei stessa ipovedente dalla nascita, ha fatto del suo limite il suo punto di forza, scoprendo di avere tante capacità in grado di abbattere infiniti ostacoli, a cominciare dal più grande nemico dell'ipovisione, l'incomprensione sociale, che non capisce dove comincia il cieco e dove finisce il vedente. Il motivo? Pochi conoscono le difficoltà di un ipovedente, che vede e non vede, a seconda delle condizioni esterne: cieco al buio, normodotato davanti alla Tv, ipovedente quando esce per strada. E la domanda sorge immediata: sarà pigro, distratto, imbroglione? In teoria, un rebus; in pratica, un "diverso" sia dai "normali" che dai "diversi". Il segreto per combattere i pregiudizi sociali, a cominciare da quelli di alcuni genitori che impediscono ai figli di crescere, è non adottare lo schema dei vedenti. Questa la strategia proposta da Mauro Marcantoni, sociologo, giornalista e autore di numerose pubblicazioni sui limiti sensoriali e il loro superamento. "Il cieco - ha spiegato - è una persona che costruisce la sua normalità su quattro sensi e non su cinque". E la parola d'ordine è: "Vietato copiare, ma riprogettare con i propri mezzi". Ma per fare questo è necessaria una sfida continua contro una cultura potente e difficile da combattere. Alcuni strumenti pratici? "Un bastone bianco e un cane guida". Ne ha parlato Ada Ammirata, che ha perso la vista a 15 anni, ma non ha rinunciato a laurearsi in Scienze della Formazione e a praticare sport. "In Italia - ha detto - c'è una cultura non cinofila e si pensa che un cane non possa lavorare". E ha aggiunto che un cieco deve poter essere libero di andare ovunque con il suo bastone e la sua guida a "quattrozampe", senza sentirsi dire "Qui il cane non può entrare". E lo sport? "Fa bene a tutti - è stata la risposta - e non soltanto agli atleti paralimpici a caccia di medaglie, ma a chi lo pratica, come me, nella vita di ogni giorno". Tutti, vedenti, ciechi e ipovedenti, senza eccezioni. Perché, come dice la collega Chiara Giorgi, che illumina da anni noi giornalisti sull'impegno dell'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, "la disabilità si può raccontare in tutti i suoi aspetti, se l'informazione è ben fatta". Nessuna censura quindi, partendo dalla consapevolezza che la diversità è ricchezza. E poiché siamo tutti diversi, questa è l'unica possibilità che offre, a ciascuno di noi, la speranza di poter dire: "Ci eravamo persi di vista, ma ora ci siamo ritrovati".

Ecco alcuni dei commenti lasciati da chi ha partecipato al seminario "Persi di vista"

"Grazie per le vostre testimonianze e per questa opportunità; attraverso le vostre parole capisco ancora di più quanto il nostro lavoro di giornalisti debba necessariamente allontanarsi dai sensazionalismi e avvicinarsi invece a ciò che è più importante: la persona, il suo vissuto, la sua vera realtà".
"È importante sensibilizzare l'opinione pubblica come è stato fatto oggi, con personale "addetto ai lavori", personale competente che è riuscito a fare informazione e istruzione".
"Più integrazione tra non vedenti e persone, diciamo, normali. Tutto questo perché penso che conoscerci meglio sia la chiave per migliorare il livello di vita in comune".
"Finora pensavo ai ciechi come a persone sfortunate, tristi, piene di problemi, emarginate dalla società. Ho conosciuto invece una città diversa: persone normali, che vogliono vivere una vita normale e le uniche barriere sono i pregiudizi e quelle di una società che progetta i servizi senza renderli inclusivi".
Dice il film: "ora che ho perso la vista ci vedo di più". È vero: ci vedete di più".
"La vita quotidiana delle persone cieche è stata raccontata in modo efficace fornendo ai giornalisti elementi su cui costruire i loro articoli. Il prossimo step potrebbe essere esaminare il tema delle violazioni dei diritti e le modalità con cui costruire campagne di opinione per affermare i diritti delle persone disabili".
"Questo seminario mi è parso molto prezioso. Un'occasione "bella" di incontro e di condivisione. Grazie davvero".
"Ringrazio gli organizzatori per l'opportunità di approfondimento di un tema troppo spesso offuscato dai luoghi comuni. L'ignoranza andrebbe annoverata tra le barriere "architettoniche" più difficili da abbattere!".
"Ci avete fatto "vedere" benissimo, e anche sentire, cose che troppo spesso sfuggono allo sguardo".
"Il corso di formazione per giornalisti più interessante che ho frequentato. Un argomento che conoscevo poco. Dopo questa giornata mi sento culturalmente e socialmente più ricco. Grazie!".
"Ho apprezzato molto i contenuti del seminario: credo sia questo il modo più corretto per affrontare la disabilità. C'è bisogno di un cambiamento culturale e, a mio giudizio, questa è la giusta direzione".
"È stato uno dei corsi di formazione più belli e interessanti. Complimenti! Istruttiva ed interessante la mostra fotografica "Io ti vedo così", dedicata alle ipovisioni e non visioni".
"Per far conoscere il mondo dei ciechi bisogna parlarne in modo corretto. Ma occorre anche minore autoreferenzialità da parte dei ciechi, promuovendo occasioni di dialogo e di incontro con i normodotati, per far crescere una cultura inclusiva".
"È stato utile per molti giornalisti che di disabilità parlano solo in modo pietistico o che ne parlano solo per segnalare disservizi e truffe".
"Ben vengano seminari come questo: veramente interessanti e utili per imparare a comunicare questi temi. Andrebbero incentivati ai livelli dirigenziali di chi si occupa di informazione".
"Nella professione c'è sicuramente ignoranza e superficialità nel trattare questi temi, ma contano anche molto le condizioni e i tempi di lavoro, soprattutto radio e tv, che rendono difficili le verifiche sulle notizie riguardanti la disabilità. A volte i nostri pezzi si basano solo sui comunicati senza avere il tempo di approfondire".
"Penso che oltre all'aspetto normativo, sia importante raccontare le storie dei ciechi e degli ipovedenti che hanno vinto limitazioni e pregiudizi".



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