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Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Corriere dei Ciechi

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Numero 4 del 2017

Titolo: ITALIA- Crescere insieme

Autore: Maria Panariello


Articolo:
Il progetto UICI e CNOP si racconta partendo dal lavoro in Campania e in Calabria
Un pool di 150 psicologi suddivisi in cinque aree geografiche (Nord, Sud, Centro, Sicilia e Sardegna), guidati da 10 coordinatori regionali-territoriali. Diventa operativo il progetto "Stessa strada per crescere insieme", che vede coinvolti l'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti e il Consiglio Nazionale Ordine Psicologi. L'obiettivo è quello di costruire dei presidi di supporto psicologico per le famiglie dei ragazzi ciechi ed ipovedenti su tutto il territorio nazionale, dai luoghi di maggiore sviluppo e modernità alle piccole province, arretrate e con pochi strumenti.
Superata la fase di formazione degli operatori del progetto, adesso si passa alla conoscenza dei singoli territori. Solo così si potrà capire il tipo di intervento da mettere in campo e le alleanze da tessere - istituzionali e professionali - per non restare isolati.
Nei prossimi mesi, noi de "Il Corriere dei Ciechi" seguiremo l'avanzamento dei lavori nelle diverse aree regionali, parlando con i vari responsabili.
In questo numero, vi proponiamo l'intervista alla dott.ssa Nadia Massimiano, coordinatrice del progetto per l'area Campania-Calabria.

D. Dottoressa Massimiano, come si è avvicinata al mondo della disabilità visiva e in particolare all'UICI?
R. La mia collaborazione con l'UICI nasce nel 2015, in occasione dei campi estivi dell'Irifor. In quell'anno infatti, l'Unione aveva avuto l'idea di inserire uno psicologo tra gli altri operatori, pensando che potesse essere d'aiuto sia ai ragazzi che alle famiglie. Grazie a questa figura infatti, le persone disabili e i loro parenti sono stimolati a cercare delle risorse in loro stessi. E i soggiorni sono diventati occasioni importanti per l'intero nucleo familiare, per dialogare e conoscersi un po' di più. Noi siamo rimasti entusiasti! L'iniziativa infatti ha avuto un grande successo, ecco perché si è pensato di elaborare un progetto che potesse supportare i parenti dei ragazzi ciechi tutto l'anno, oltre i mesi estivi. È nato così "Stessa strada per crescere insieme".

D. Chi sono gli altri psicologi che lavorano al progetto e come sono stati selezionati?
R. Gli altri colleghi sono stati selezionati sulla base di un test e poi sul curriculum. Nel 2016 quasi 1.200 professionisti in tutta Italia hanno manifestato il loro interesse a partecipare a questa iniziativa, compilando un modulo online sul sito del CNOP. Essi hanno partecipato ad un corso di formazione a distanza, attraverso la piattaforma dell'Irifor. Tra loro sono stati selezionati 150 psicologi, che hanno seguito una formazione in presenza, al Nord, al Centro, al Sud, in Sicilia e in Sardegna. Dei 150 professionisti, a completare il percorso professionalizzante, sono arrivati in 140. Da quest'ultimo gruppo sono stati selezionati infine 10 coordinatori territoriali. I colleghi che lavorano con me hanno tutti già lavorato e ancora lavorano con persone disabili, alcuni con la stessa UICI.

D. Di quante persone è composto il suo team? Riuscite a gestire la mole di lavoro in due Regioni così grandi?
R. A lavorare nell'area Calabria-Campania siamo in 10, forse i meno numerosi a livello nazionale e siamo distribuiti anche in modo poco omogeneo, 7 in Campania e 3 in Calabria. Chiaramente non è per niente facile monitorare un territorio così esteso in così poche persone. L'UICI e il CNOP hanno fatto il possibile per selezionare, durante la formazione, psicologi che fossero rappresentativi di quasi tutte le province italiane, ma non è stato sempre possibile farlo. Io però vivo a Sapri, un comune in provincia di Salerno all'estremo sud della Campania, vicinissimo alla Calabria, quindi riesco a muovermi in tutte e due le Regioni in modo abbastanza agile. Credo che anche questo sia stato un fattore che la commissione ha valutato, per eleggermi coordinatrice di area.

D. Qual è il rapporto che ha con i suoi colleghi? Sono entusiasti quanto lei?
R. Crediamo tutti nella necessità di questo progetto, altrimenti sarebbe impossibile lavorare insieme. Stiamo parlando di una iniziativa difficile, complessa, perché "Stessa strada per crescere insieme" non ha una struttura rigida anzi, deve essere adattata alle singole situazioni territoriali. È questo il vero valore dell'idea su cui lavoriamo, che poi deve entrare nella realtà, conoscerla ed interrogarla. E mi sembra, sebbene i lavori stiano iniziando adesso, che con i miei colleghi ci sia un'assoluta uniformità di vedute. Io discuto con loro le informazioni che mi arrivano dall'alto, ma anche le segnalazioni che mi arrivano dal basso e insieme cerchiamo di sviluppare la migliore strategia da attuare.

D. Il progetto è partito da pochissimo. A livello professionale, qual è la priorità che vi state prefiggendo in questa fase?
R. Al momento siamo ancora in una fase di riunioni territoriali. I colleghi si stanno occupando di fare una mappatura del territorio, per capire quali siano le reali esigenze delle aree. Stiamo imparando molto dall'esperienza di alcuni gruppi partiti nelle province di Reggio Calabria, Caserta, Napoli e Avellino, grazie a bandi dell'Irifor sul sostegno alla genitorialità. In ogni provincia ci sono 5-6 coppie di genitori che seguono il progetto, che vengono assistite dagli stessi colleghi di "Stessa strada per crescere insieme". Grazie a questi gruppi, stiamo cercando di comprendere le esigenze dei parenti di una persona cieca o ipovedente. Questi vengono coinvolti in incontri divulgativi, come sulla psicologia dello sviluppo e sulla disabilità e poi in incontri di assessment, cioè momenti individuali, in cui le coppie hanno un primo approccio al sostegno psicologico. Queste azioni permettono non solo di diventare subito operativi, ma anche di compiere un'analisi della domanda e capire cosa manca sul territorio; quali sono i bisogni di queste persone e quali sono i professionisti con cui interloquire. Il progetto infatti prevede la creazione di una sorta di network di professionisti, soprattutto oculisti, pediatri e medici di base, che sono a contatto con la persona cieca sin dall'infanzia, a cui far conoscere il nostro lavoro e il servizio che offriamo. Dobbiamo partire da qui, per ritagliarci spazi all'interno delle strutture sanitarie.

D. In cosa consiste il vostro lavoro di supporto? Quanto questo differisce dai normali colloqui terapeutici di supporto psicologico?
R. Normalmente gli psicologi che seguono le famiglie seguono anche i ragazzi, ma in modo diverso. Sui ragazzi disabili l'intervento psicologico è identico alle persone normodotate, eccetto quando siamo in presenza di una pluridisabilità anche intellettiva. In quel caso, non è possibile operare un intervento psicoterapeutico, bensì psicoeducativo, che consiste nell'individuare risorse nel soggetto e nel tentativo di fortificarle attraverso la famiglia ad esempio.

D. In un territorio come quello campano e calabro, non deve essere facile rompere il muro di pregiudizi e paure di persone che vivono a contatto con la disabilità. Quali sono i problemi che i genitori incontrano più facilmente? Quanto il territorio in cui voi operate cambia o può cambiare il modo di affrontare la disabilità?
R. Nell'area di mia competenza, oltre a problemi materiali, di assenza di mezzi, è soprattutto questo l'ostacolo che incontriamo più spesso: lo scetticismo della gente nei confronti del nostro lavoro. Specialmente nei piccoli paesi, la figura dello psicologo viene associata necessariamente ai malati mentali e viene guardata con diffidenza. Inoltre, molto spesso il disabile non è nemmeno concepito come una persona che abbia dei bisogni. La persona disabile diventa cioè lo strumento che consente alla famiglia di sostenersi. Noi incontriamo moltissime famiglie che sembrano essere prigioniere del loro figlio cieco o ipovedente. Queste non sanno di avere bisogno ad esempio di un corso di autonomia, che consentirebbe a loro e al ragazzo quanto meno di tentare di condurre una vita normale. Invece molti padri e madri appaiono come "incastrati" in queste situazioni, da cui pensano non esista una via d'uscita. Con questo tipo di persone cerchiamo di lavorare quindi sulla presa di coscienza della vicenda familiare, domandando loro che bisogni hanno, che esigenze, da quelle più banali a quelle più profonde.

D. Chiaramente se vivi in una piccola provincia, dove non ci sono strutture in cui portare il proprio figlio disabile, la percezione delle famiglie non può che essere questa. Giusto?
R. Sì, esatto. Io ho lavorato con famiglie che mi dicevano di non sapere dove lasciare il proprio figlio, anche per una, due ore. Non solo. Specialmente coloro che vivono in piccoli centri spesso sono costretti a percorrere chilometri prima di raggiungere il centro di riabilitazione più vicino o semplicemente una palestra ad esempio. E solo in pochi riescono a farlo. Chi non ce la fa, resta appunto in trappola.

D. Una situazione complessa, che però grazie al vostro supporto potrebbe cambiare. Lei è ottimista? Se potesse esprimere una lista di desideri, in ordine di priorità, cosa sognerebbe?
R. Sì, spero vivamente che questa situazione cambi. Per questo, mi auguro innanzitutto che questo progetto trovi lo spazio che merita. E poi sogno che si risvegli nelle persone la sensazione di essere fragili, la reale consapevolezza di avere bisogno dell'altro. Ogni tanto dovremmo scoprirci tutti un po' più vulnerabili e capire che tu hai bisogno di me come io ne ho di te. Basta con questa esibizione di forza a tutti i costi! Ormai è chiaro che è solo una difesa.



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