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Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Corriere dei Ciechi

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Numero 6 del 2018

Titolo: RUBRICHE- Il lavoro fa per me!

Autore: a cura di Marco Pronello


Articolo:
Collocamento mirato: una rivoluzione a metà
Quando fu promulgata la legge 68/1999, l'istituto del collocamento mirato delle persone con disabilità aveva un sapore quasi rivoluzionario: fino ad allora si era parlato solo di collocamento obbligatorio.
Tra l'altro, proprio in quel periodo io mi stavo rassegnando a cercare lavoro come centralinista, nonostante una laurea ed un master, e quindi pensai che questa rivoluzione concettuale stesse arrivando al momento giusto: magari sarei riuscito ad entrare in azienda con un'altra mansione, ad esempio all'ufficio legale, all'ufficio marketing o risorse umane, oppure sarei entrato come centralinista, ma poi avrei avuto le porte aperte, se lo avessi meritato, ad un cambiamento di mansione e magari, visti i miei titoli, ad un avanzamento di carriera.
C'è però un comma che fa espressamente salve le leggi sul collocamento obbligatorio delle persone non vedenti nelle professioni tradizionali e questo lo capii subito, rende il concetto di collocamento mirato di fatto lettera morta per noi. Se, almeno de jure, questo dettato normativo poteva cambiare la concezione del lavoro delle persone con disabilità, questa espressa eccezione fa sì che per noi sia stata un'occasione persa, e quindi ciò che poteva essere un cambiamento epocale è stata solo una rivoluzione a metà.
Tralasciamo qui il discorso dei massofisioterapisti, che comunque devono avere un titolo a livello universitario, devono essere capaci e fanno una professione che porta in sé una grande responsabilità, e parliamo della legge 113 per il collocamento al centralino. È chiaro che rimanendo vigenti sia la legge 68, sia la legge 113, per le aziende è molto più comodo continuare ad assumere i non vedenti come centralinisti, con buona pace di chi avrebbe titolo a maggiori aspirazioni.
Adesso, a diciannove anni di distanza, sentiamo e leggiamo sempre più spesso della crisi del centralino, soppiantato dall'informatica, e della necessità di ricerca di nuove professioni per i non vedenti.
Quindi, ammesso e non concesso che allora i tempi non fossero ancora maturi per abrogare le norme sul collocamento al centralino, adesso lo sono; e secondo me non si tratta di novellare la legge 113 inserendo, in quell'impianto normativo, accanto o al posto del centralino nuove "gabbie occupazionali" come operatore di telemarketing o quant'altro: si tratta proprio di rivedere a fondo la legge 68. In che modo?
Si dice che il diritto positivo è sempre un passo indietro rispetto alla mentalità e alla cultura della società, ma a volte non è così e le norme hanno sopravanzato la cultura strutturale, per poi piano cambiarla nella pratica.
Allora l'Unione, come associazione maggiormente rappresentativa dei disabili visivi in Italia, dovrebbe lavorare su due fronti. Da un lato, dovrebbe farsi promotrice di una nuova concezione normativa del collocamento mirato che abroghi le norme obsolete sull'assunzione obbligatoria al centralino, pur facendo salvo il diritto di concorrere ad avere un lavoro anche in capo a chi ha la scuola dell'obbligo (ci mancherebbe!), contestualmente, si dovrebbe concepire un sistema di incentivi alle aziende per assumere secondo un vero collocamento mirato, cioè in base alle competenze reali del candidato e alle sue aspirazioni, prevedendo anche norme che, in attuazione della recente Convenzione ONU sulle persone con disabilità e delle previsioni comunitarie contro la discriminazione sul posto di lavoro, favoriscano una reale inclusione lavorativa dall'assunzione all'avanzamento di carriera nel settore pubblico e privato dei disabili visivi e dei disabili in generale.
Dall'altro lato, è necessaria una battente campagna di informazione, anche mediatica nei confronti dell'opinione pubblica, e di cambiamento culturale da parte dell'Unione nei confronti dei datori di lavoro pubblici e privati, che spesso non sono informati del fatto che i non vedenti possono fare sempre più cose con l'aiuto della tecnologia che si evolve ad una velocità esponenziale.
Ultimo, ma non ultimo, un arduo compito dell'Unione e di tutti noi come singoli dev'essere quello di cambiare in primis la nostra cultura, che spesso e volentieri è ancora molto assistenzialista. Dobbiamo imparare che il lavoro non ci è dovuto solo perché siamo non vedenti, dobbiamo imparare a metterci in gioco nel mercato del lavoro con quello che siamo e che sappiamo, dobbiamo fare in modo che i giovani siano invogliati a studiare e a fare esperienze, perché sanno che dopo possono concorrere alla pari sul mercato del lavoro e dobbiamo creare una mentalità imprenditoriale, che tra i disabili visivi risulta alquanto carente.
È importante che chi ha delle idee abbia anche il coraggio di metterle in gioco. Dobbiamo crearci il lavoro, dobbiamo essere protagonisti sul mercato. Certo, ci vogliono i capitali, ci vuole un'organizzazione, ci vuole capacità imprenditoriale e l'Unione dovrebbe sostenere chi ha voglia di concorrere. Molti di noi pensano che tutto questo non sia possibile: invece lo è eccome. Esploriamo le nostre possibilità, che sono molto più grandi di quello che immaginiamo.



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