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Corriere dei Ciechi

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Numero 2 del 2019

Titolo: RUBRICHE- A lume di legge

Autore: a cura di Giulia Cannavale


Articolo:
Il diritto alla cultura nel disegno costituzionale
Il fattore culturale è al centro della riflessione più recente sui diritti, sia quando esso viene in discussione come tratto costitutivo dell'identità personale o collettiva di soggetti vulnerabili o minoritari (diritti culturali), sia quando esso è riferito alle variabili organizzative che incidono sull'accesso e sulla fruizione dei beni del patrimonio culturale.
Il diritto alla cultura, nelle sue diverse dimensioni, costituisce l'esito della convergenza e della fusione tra il compito di promozione affidato dall'art. 9 Cost. alla Repubblica e la libertà positiva dell'arte e della scienza per come deve ricavarsi da una lettura sistematica dell'art. 33 Cost. il carattere fortemente indeterminato dell'art. 9 Cost., per molto tempo, non solo non ne ha consentito la potenzialità applicativa, ma ha anche ostacolato la capacità di porsi come principio di riferimento per i diritti e le libertà comunque afferenti alla sfera culturale.
I problemi costituzionali della cultura e dell'arte, viste non più nell'ottica della libertà di espressione (artistica o scientifica) ma in quella dell'incentivazione e della promozione delle relative attività, da un primo punto di vista, questi svolgimenti, uniti ad una crescente consapevolezza dell'importanza dei beni oggetto di protezione nell'articolo in questione (in primis cultura e paesaggio), hanno condotto ad una rivalutazione della portata autenticamente "di principio" del primo comma dell'art. 9 Cost. Ad esso, infatti, è stata progressivamente attribuita una efficacia precettiva non minore di quella del secondo comma, tradizionalmente ritenuto più idoneo a offrire precise direttive al legislatore e al giudice in virtù del suo apparente limitarsi a compiti di tutela più che di promozione.
Una volta superata la frattura tra tutela e promozione, si è ritenuto che entrambi questi poli dovessero essere valorizzati "in una traiettoria circolare"; l'attività promozionale, di intervento attivo, presuppone necessariamente che venga tenuta viva la memoria delle espressioni culturali del passato attraverso la loro tutela e la loro valorizzazione, mentre è auspicabile (anche se non garantito) che quale esito dell'attività di promozione e incentivazione delle attività culturali possano derivare beni e testimonianze meritevoli, in futuro, di essere oggetto di tutela e di valorizzazione perché ormai rientranti nel "patrimonio storico e artistico della Nazione".
Il presunto conflitto tra la componente statico-conservativa, da un lato, e quella promozionale, dall'altro lato, appare in via di risoluzione man mano che dalla loro reciproca integrazione vengono fatti scaturire nuovi significati e nuove potenzialità interpretative. Una volta, infatti, che i due commi vengono letti congiuntamente per consacrare l'ingresso, tra i principi supremi dell'ordinamento, del valore estetico-culturale, ciò fa sorgere anche un onere funzionale nuovo in capo ai poteri pubblici. Questi ultimi, infatti, sono chiamati a improntare la loro azione regolativa nel senso di garantire la prevalenza e l'autonomia del valore in questione rispetto ai rischi di appropriazione ad opera delle maggioranze sociali e politiche o del mercato, mettendolo al servizio dello sviluppo della personalità individuale e del percorso di costruzione dinamica di un'identità civica condivisa.
Ciò ha conseguentemente posto, da un ulteriore punto di vista, il problema di come si potessero conciliare la funzione interventista e promozionale posta a carico dei pubblici poteri e la preservazione di uno spazio di libertà dell'arte e della scienza, ritenuto che il significato essenziale del primo comma dell'art. 33 Cost. coincide con la necessità che queste possano "esteriorizzarsi, senza subire orientamenti ed indirizzi univocamente e autoritativamente imposti. Il percorso di valorizzazione del primo comma dell'art. 9 Cost. ha infatti messo in una diversa luce i termini del suo rapporto con gli artt. 33 e 34 Cost., anche e soprattutto in relazione alla configurazione di un possibile "diritto alla cultura".
Se precedentemente questo rapporto era stato sostanzialmente svalutato, perché i due ultimi articoli traducevano in termini di libertà dell'arte e della scienza tutto quello che dal principio dell'art. 9 cit. si poteva ricavare, successivamente il nesso tra i due poli della "promozione" e della "libertà" è stato costruito nei termini di una reciproca implicazione, nel senso che mentre la promozione dello sviluppo della cultura è rivolta finalisticamente a garantire la libertà delle varie forme in cui essa si manifesta (arte, scienza, insegnamento, istruzione), la libertà in questione non deve essere limitata al suo versante difensivo, come garanzia rispetto alle intromissioni statali nella sfera artistica e scientifica, ma acquista una dimensione più ampia, in cui a venire in gioco è l'uguale godimento di quelle libertà, con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di riequilibrio tra forme di produzione artistica e culturale ritenute minoritarie o comunque non in grado di accedere alle risorse economiche in grado di garantirne l'autonoma sopravvivenza.
La diversa tematizzazione del disegno costituzionale di una "politica culturale" siffatta produce quindi una prima, significativa, conseguenza sulla rilettura, in particolare, dell'art. 33, primo comma, Cost., che accanto al suo originario significato negativo, di presidio alla libertà di formazione del convincimento artistico o scientifico, assume progressivamente i contorni di una libertà anche positiva, di un diritto sociale, mirante a qualificare lo spazio e i termini dell'esercizio individuale della libertà attraverso i nessi comunitari che si traducono in politiche redistributive funzionalizzate al perseguimento di un'uguaglianza di chances.
In particolare, all'art. 33 Cost. vengono attribuite funzioni nuove, legate ad una sua vocazione "conformativa" della funzione giuridica di promozione: il suo versante positivo sta, in particolare, nell'indicare il fine, l'orizzonte di senso che determina e orienta l'assetto teleologico del potere di promozione.
L'equilibrio tra promozione e libertà deve essere di volta in volta delineato sulla base dell'esigenza di salvaguardare la stretta inerenza del fenomeno culturale, nei vari versanti in cui esso si manifesta (fruizione e produzione, arte e scienza, libertà e patrimonio), al libero sviluppo della personalità dell'individuo così come desumibile dall'art. 2 Cost. La libertà di arte e scienza, infatti, non è altro che uno svolgimento di questo principio supremo in un ambito che, per sua natura, tocca aspetti primari della personalità e quindi richiede ancora di più che del rispetto di essa si dia primariamente cura l'azione pubblica di incentivazione e promozione.
Un perno di quel disegno razionalizzatore deve, poi, essere individuato nella garanzia del principio di uguaglianza, inteso anch'esso come direttiva costituzionale che orienta il senso e la direzione dell'intervento pubblico in materia culturale. Quest'ultimo deve essere rivolto a consentire il raggiungimento delle finalità di cui all'art. 3, comma 2, Cost. e pertanto impone un compito di riequilibrio rispetto alle asimmetrie prodotte
"In altri termini, la promozione culturale - cui la Repubblica si impegna a norma dell'art. 9 Cost. - ha lo scopo di correggere le disfunzioni provenienti dal rapporto che la cultura intrattiene con la prassi; mira insomma a decondizionarla dagli influssi che si annidano nel corpo stesso della società civile e che ne distorcono la libera espressione".
Il dibattito che si è registrato sull'argomento, come è facilmente intuibile, investe essenzialmente il significato del riferimento alla "Repubblica" all'interno dell'art. 9 cpv. Cost. e, a partire da qui, si riflette anche sull'assetto delle competenze legislative tra Stato e Regioni nelle materie in vario modo "culturalmente" connotate; si pensi all'esiguo spazio lasciato all'autonomia regionale nel testo dell'art. 117 Cost. precedente al 2001, che ad essa riservava solamente, tra le materie di competenza concorrente, i musei e le biblioteche degli enti locali. Pur costituendo il pluralismo istituzionale un valore di indubbia rilevanza nella materia in questione, l'assenza di un diaframma ulteriore nella parte organizzativa della Costituzione rispetto alla scarna dicitura dell'art. 117 vecchio testo ha spinto a ritenere che, nella sostanza, la questione della diffusione dei relativi poteri restasse in fondo irrisolta, perché affidata di volta in volta a quanto stabilito dalle relative norme sulla competenza legislativa approntate dal legislatore di revisione costituzionale.
Rispetto a questo orientamento, sembra potersi sostenere che, seppure non sia del tutto convincente l'idea di trarre dalla sola nozione di "Repubblica" di cui all'art. 9 cpv. tutte le conseguenze necessarie in termini di pluralismo istituzionale, resta il fatto che quella spinta all'articolazione territoriale e funzionale dei compiti di promozione culturale può essere ricavata non solo da un'interpretazione sistematica estesa ad altre norme di principio della Costituzione, prima fra queste l'art. 5 Cost., ma anche dalla presa d'atto che, a seguito della riforma del 2001, l'estensione delle competenze legislative delle Regioni in materia culturale (con riferimento alla "valorizzazione dei beni culturali" nonché alla "promozione e organizzazione di attività culturali" di cui all'art. 117, terzo comma, Cost.) testimonia la realizzazione di un disegno pluralistico iscritto nel testo costituzionale del 1948 ed oggi giunto ad un grado adeguato di compimento.



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