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Corriere dei Ciechi

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Numero 2 del 2019

Titolo: RUBRICHE- Occhio alla Ricerca

Autore: a cura di Andrea Cusumano


Articolo:
Il convegno Macula Today 2018 della Macula & Genoma Foundation Onlus
Parte III

Macula Today è il convegno annuale organizzato dalla Macula & Genoma Foundation Onlus, fondazione non a scopo di lucro che promuove la ricerca nell’ambito delle patologie oculari dedicando particolare attenzione alle patologie vitreo-retiniche. Macula Today riunisce ogni anno scienziati tra i più attivi nella lotta contro la cecità con il fine di promuovere lo scambio di dati e conoscenze scientifiche tra “addetti ai lavori” e contestualmente offrire ai pazienti e ai loro familiari informazioni chiare, esaurienti e rigorose sulle nuove terapie disponibili e sui traguardi terapeutici che si spera potranno essere raggiunti nel prossimo futuro. Anche quest’anno Macula Today ha presentato i risultati di ricerche all’avanguardia svolte nell’ambito di diverse branche dell’oftalmologia, mostrando risultati promettenti per la cura di pazienti affetti da diverse patologie retiniche.
Vediamo qui di seguito il contributo del Prof. Henry Klassen dell’Ophthalmology School of Medicine, UC Irvine, del Prof. Richard Kramer, dell’University of California di Berkeley, e del Prof. Benedetto Falsini dell’Università Cattolica Sacro Cuore e Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli di Roma, in questa occasione rappresentato dal Dott. Jacopo Sebastiani della Fondazione Macula & Genoma Foundation Onlus.
Le cellule progenitrici retiniche nella cura della retinite pigmentosa
Il Prof. Henry Klassen, dell’Ophthalmology School of Medicine, UC Irvine, Stati Uniti, ha illustrato un nuovo approccio terapeutico per la retinite pigmentosa basato sull’utilizzo delle cellule progenitrici retiniche, che hanno la capacità di rigenerare diversi tipi cellulari della retina. Le cellule progenitrici retiniche vengono studiate per esplorare la possibilità di rigenerare i fotorecettori persi a seguito di un processo patologico, ma anche per la funzione trofica e protettiva che sembrano esplicare nei confronti dei fotorecettori. Le cellule progenitrici hanno potenzialità ridotte rispetto alle cellule staminali, ma presentano notevoli vantaggi: possono essere indotte a "trasformarsi" nel tipo cellulare desiderato con minore difficoltà e non sono tumorigeniche o teratogene. Per questi motivi molti ricercatori hanno preferito focalizzare la loro ricerca sulle cellule progenitrici anziché sulle cellule staminali. Studi scientifici hanno dimostrato che in determinate patologie degenerative della retina la morte dei bastoncelli porta alla morte dei coni anche se questi non esprimono un gene mutato nocivo; sulla base di queste osservazioni alcuni gruppi di ricerca mirano a preservare i fotorecettori residui sfruttando l’azione protettiva che le cellule progenitrici retiniche hanno nei loro confronti anziché rimpiazzare i fotorecettori perduti.
Il Prof. Kramer e il suo gruppo di ricerca hanno condotto degli esperimenti preclinici per testare la potenziale tossicità e l’impatto del trapianto delle cellule progenitrici retiniche e hanno dimostrato che le cellule impiantate sono sopravvissute all’interno dell’umor vitreo e hanno prodotto fattori di protezione nei confronti dei fotorecettori, preservandone la funzionalità. In seguito a questi risultati l’FDA ha dato l’approvazione per condurre studi clinici sull’uomo.
Il primo studio clinico effettuato dal Prof. Kramer ha preso in esame due gruppi di pazienti, uno con disabilità visiva grave e uno con disabilità visiva minore. Lo studio, terminato nell’agosto del 2017, ha dimostrato la sicurezza e l’efficacia della procedura. Il trasferimento delle cellule non ha infatti determinato complicanze legate al trasferimento di per sé (semmai, in rari casi, alla procedura dell’iniezione intravitreale). Non ci sono stati casi di formazione di tumori o membrane retiniche e la comparazione dell’acuità visiva degli occhi trattati con quella degli occhi non trattati (controllo) ha dimostrato un netto miglioramento per gli occhi dei pazienti trattati. Questi risultati promettenti hanno attirato molta attenzione sul progetto e hanno permesso di ottenere sia l’approvazione dell’FDA per un secondo studio clinico sia nuovi fondi per la ricerca. Nel secondo studio clinico, di fase IIb, sono stati presi in esame 3 gruppi di trattamento: un gruppo di controllo, un gruppo a cui è stata somministrata una dose di cellule progenitrici retiniche uguale a quella dello studio precedente e un gruppo a cui è stata somministrata una dose doppia. Per questo studio sono stati arruolati 84 pazienti ed è previsto un follow-up di un anno. Si spera che i risultati della nuova sperimentazione saranno pronti per la prossima estate.
Optogenetica e optofarmacologia
Il Prof. Richard Kramer, dell’University of California di Berkeley, ci ha parlato di optogenetica e optofarmacologia, due branche della ricerca medica relativamente giovani che mirano a "trasformare" le cellule della retina interna, che nella maggior parte delle patologie degenerative della retina sopravvivono alla degenerazione dei fotorecettori, in cellule fotosensibili.
Le cellule della retina interna sono neuroni in grado di trasmettere un segnale nervoso ma non di generarlo, come fanno i fotorecettori, quindi in assenza di fotorecettori la percezione della luce e la visione risultano impossibili.
L’optofarmacologia studia la possibilità di rendere le cellule ganglionari capaci di rispondere allo stimolo luminoso generando un segnale nervoso similmente a come fanno i fotorecettori. Ciò è possibile riuscendo a inserire nelle cellule ganglionari dei particolari tipi di molecole denominate "photoswitch" che, a seconda della presenza o assenza di luce, cambiano conformazione attivando o disattivando canali ionici presenti sulla superficie cellulare delle cellule ganglionari generando uno stimolo nervoso.
Mediante la somministrazione di molecole photoswitch le cellule ganglionari possono quindi acquisire la capacità di "percepire" la luce e generare un segnale nervoso in grado di giungere al cervello, similmente a quanto accade con i fotorecettori. Oggi sono in esame diversi tipi di molecole in grado di adempiere a questa funzione, come ad esempio il DENAQ, il BENAQ, il BMS-493 etc., in grado di funzionare a lunghezze d’onda compatibili con il processo visivo e non nocive per l’occhio.
Sono in corso diverse ricerche finalizzate al ripristino della funzione visiva perduta in seguito a patologie retiniche degenerative sfruttando l’optofarmacologia. Esperimenti preclinici hanno provato la validità dell’approccio terapeutico, dimostrando che la somministrazione intraoculare di determinati photoswitch in modelli sperimentali murini hanno ripristinato la sensibilità alla luce in animali che l’avevano persa; ciò ha dato il via a studi clinici nell’uomo i cui risultati saranno disponibili già tra pochi mesi.
Nel caso dell’optogenetica, invece, le cellule retiniche residue vengono rese "sensibili" alla luce facendo in modo che esse esprimano una proteina di membrana derivata da organismi fotosensibili quali alcune alghe e alcuni batteri. Le proteine esogene vengono "inserite" nelle cellule grazie alla terapia genica e tale inserimento conferisce ai neuroni la capacità di generare un impulso nervoso in risposta a uno stimolo luminoso, analogamente a quanto accade nei fotorecettori. Anche in questo caso la ricerca di base ha dato risultati molto promettenti e tali da ottenere l’autorizzazione per eseguire studi clinici sull’uomo. I risultati dei primi studi clinici sono attesi per l’anno prossimo.
L’elettrofisiologia e il suo ruolo nelle terapie emergenti delle patologie retiniche
Il Prof. Falsini, dell’Università Cattolica Sacro Cuore e della Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli di Roma, ha presentato tramite la voce del Dott. Jacopo Sebastiani il ruolo dell’elettrofisiologia nell’applicazione delle terapie emergenti per le patologie eredo-familiari, alle quali il Prof. Falsini ha dedicato molti anni di studi e ricerca, in particolare per quanto riguarda la retinite pigmentosa e le sue varianti quali la malattia di Usher.
Le tecniche presentate sono utilizzate sia per la diagnosi molecolare precoce sia per l’attuazione delle terapie.
Il Prof. Falsini sostiene da anni il ruolo fondamentale dell’esame elettrofunzionale (ERG) "Fotopico Scotopico mfERG" nella diagnosi della retinite pigmentosa, il test è infatti oggettivo, di semplice esecuzione (veloce, non invasivo e indolore) e permette di fare una diagnosi precisa già nelle fasi iniziali della patologia, quando ancora non si evidenziano alterazioni organiche mediante altri esami strumentali quali l’OCT, la fluorangiografia e l’autofluorescenza. Ed è proprio nelle fasi iniziali della retinite pigmentosa che il Prof. Falsini reputa più utile intervenire mediante un approccio terapeutico che si avvale di un nuovo farmaco, l’NGF (anche noto come "il farmaco della Montalcini"), ancora in via di sperimentazione presso il Policlinico Universitario A. Gemelli, dove il Prof. Falsini ha condotto uno studio pilota. Lo studio, della durata di 30 giorni, ha testato gli effetti della somministrazione dell’NGF tre volte al giorno per 10 giorni in pazienti con diagnosi molecolare genetica nota di retinite pigmentosa (recessiva, dominante e sporadica). Il follow-up, eseguito mediante esami strumentali quali l’ERG, l’OCT, il campo visivo manuale, ha dimostrato un incremento statisticamente significativo della funzionalità visiva recettoriale e del campo visivo, indicando l’NGF uno strumento farmacologico valido per combattere la retinite pigmentosa.
Ulteriori studi dovranno valutare i risultati su un campione di pazienti più ampio.



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