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Numero 06 del 2019

Titolo: All'Istituto Italiano di Tecnologia: UVIP day.

Autore: Marco Pronello.


Articolo:
All'Istituto Italiano di Tecnologia: UVIP day.

Di Marco Pronello.

Lo scorso 27 marzo si è tenuta a Genova, presso l’Istituto Italiano di Tecnologia, la prima edizione dell'UVIP day. Il gruppo UVIP (Unit for Visually Impaired People) è nato all’interno dell’Istituto Italiano di Tecnologia nel 2015 da una sinergia tra psicologi ed ingegneri esperti in tecnologia umanoide, cioè tecnologia al servizio dell’uomo.

L’idea di fondo è quella di far comunicare la psicologia evolutiva e dell’apprendimento con l’ingegneria per sviluppare tecnologie che, in base alla concreta conoscenza del modus operandi del cervello umano nell’apprendere, nell’evolversi e nel ritenere informazioni, possa essere utile alle persone, bambini, ma anche adulti, con minorazione visiva per la vita di tutti i giorni. Questo, nella filosofia di UVIP, fa la differenza: spesso infatti, molti produttori di ausili che vorrebbero essere innovativi e risolutivi, in realtà forniscono prototipi che alla prova sperimentale non sembrano particolarmente utili ai disabili visivi, perché danno informazioni troppo ridondanti ed ingenerano confusione, essendo stati concepiti senza un confronto sia preliminare che in corso d'opera con gli utenti finali.

Quindi, lo scopo di UVIP è quello di intercettare i bisogni delle persone con disabilità visiva e capire, partendo dalla scienza, come modellare la tecnologia per venire incontro a questi bisogni.

Con il gruppo collaborano UICI, I.Ri.Fo.R. e molti enti finanziatori, istituti di riabilitazione e molte università in Italia e all'estero, ma soprattutto collaborano persone non vedenti e normodotate che volontariamente testano i dispositivi concepiti dall’unità UVIP e che forniscono consigli e strategie concrete per il miglioramento delle tecnologie.

Questa giornata è stata pensata, ha dichiarato la dottoressa Monica Gori, psicologa e team leader dell’unità UVIP, per incontrare le persone che da più di dieci anni collaborano con l'Istituto Italiano di Tecnologia, per illustrare lo stato dell’arte dei progetti, e anche per far conoscere questa realtà a chi ancora non la conosce e che potrebbe unirsi in futuro ai già molti collaboratori.

Retina artificiale.

All’interno dell’Istituto Italiano di Tecnologia ci sono anche altri gruppi di lavoro che si occupano di disabilità visiva. Uno di questi, che ha aperto i lavori di questo open day, è l'unità guidata dal professor Fabio Benfenati, con la quale collaborano tra gli altri Guglielmo Lanzani dell’IIT di Milano e i chirurghi e oftalmologi Grazia Pertile e Maurizio Mete, e che si occupa di nanotecnologie e attualmente ha allo studio un progetto di retina artificiale atto a impiantare i fotorecettori in retine con degenerazioni da retinite pigmentosa o, in futuro, maculari legate all’età.

La novità rispetto ad altri progetti paralleli, ha spiegato il prof. Benfenati, è che qui vengono usati i polimeri di carbonio, utilizzando quindi quella che si chiama l’elettronica organica, che rispetto al silicio, cioè all’elettronica inorganica, ha il vantaggio di essere biocompatibile con la retina non causando rigetti, di essere in grado di attivarsi autonomamente alla luce a contatto con i neuroni della retina e quindi di non necessitare di telecamere, computer e cavi di alimentazione.

La risoluzione è paragonabile agli impianti non organici, ossia garantisce la possibilità di orientarsi seguendo una linea sul terreno e di vedere flash luminosi, ma di fatto non di distinguere chiaramente le forme. Ci si trova in una fase ancora sperimentale su ratti e maiali, ma si spera di poter presto iniziare la sperimentazione sull’uomo.

Un ulteriore sviluppo prevede di aumentare la risoluzione e portarla, quantomeno nei soggetti ipovedenti, ad un livello paragonabile a soggetti normovedenti, riducendo questi polimeri in nanoparticelle che possono essere iniettate sotto la retina. Gli esperimenti sui ratti ipovedenti hanno dimostrato che l’impianto si diffonde molto bene decorando tutta la retina senza essere distrutto dall’organismo ospitante.

Blindpad.

Ora veniamo nello specifico alle attività di UVIP, all'interno del quale c'è un team, guidato dal professor Luca Braida e con il quale collaborano diversi centri di riabilitazione tra cui il Chiossone di Genova, l’Istituto dei Ciechi di Milano e l’Istituto Cavazza di Bologna, nonché il centro di riabilitazione dell'Asl 1 di Cuneo e l'Istituto Giuseppe Garibaldi di Reggio Emilia, che ha sviluppato e sperimentato un dispositivo hardware che si chiama Blindpad.

Purtroppo non è stato possibile visionarlo sul momento, ma il prof. Braida si è dichiarato disponibile a farlo provare a chi fosse interessato in futuro. Si tratta di un tablet dotato di puntini piezoelettrici come quelli delle barre braille, che è in grado, mediante un suo software a bordo, di rappresentare in rilievo contenuti grafici. L’impiego è molteplice: dall’apprendimento delle forme geometriche e delle mappe da parte dei bambini, alla visualizzazione in rilievo delle mappe di Google riportate nella memoria del dispositivo, alla rappresentazione di grafici, allo studio del braille in età scolare, ecc.

Il vantaggio rispetto alla modalità tradizionale su supporto cartaceo o in termoform è che su una sola superficie possono apparire le raffigurazioni che servono sul momento, risparmiando spazio, eliminando gli sprechi, riducendo i rifiuti e, una volta ammortizzati i costi, abbattendo le spese. Stando alla descrizione, e riservandomi se possibile di vederlo in concreto, direi che sarebbe interessante poter implementare una caratteristica che al momento non è prevista, cioè quella di selezionare e visualizzare una parte dell’immagine a schermo intero, isolandola dal resto, in modo da renderla più chiara mettendola in primo piano. Questo sarebbe utile in caso si visualizzassero mappe stradali grandi e complesse che, allo stato attuale delle cose, verrebbero necessariamente visualizzate per intero con le dimensioni della superficie, risultando probabilmente poco chiare. Quindi in sostanza auspicherei una maggiore dinamicità del dispositivo che tuttavia mi sembra che parta da una buona idea di base.

Il progetto Blindpad è cofinanziato dall’Unione Europea, è ancora in fase di prototipo e si presume che, una volta in produzione, dovrà costare dai 2.000 ai 3.000 euro.

Disegnare col suono.

Disegnare è un'operazione intuitiva per chi vede, ma non per chi non ha mai visto e non ha idea dei colori e della trasposizione dal tridimensionale del tatto al bidimensionale di un'immagine. Il disegno per un bambino vedente è un ottimo modo per prendere coscienza dello spazio riproducendo, e quindi memorizzando, un ambiente.

UVIP ha sviluppato un prototipo per "disegnare col suono": è un tablet con molte casse, ognuna delle quali al tocco riproduce un suono. Il bambino può quindi imparare a memorizzare la posizione dei singoli suoni sul tablet e, in una versione più avanzata, può anche toccare più casse contemporaneamente, riproducendo veri e propri paesaggi sonori con varie combinazioni di più suoni. A mio parere per avere un più completo godimento di questo "soundscape" e per acquisire una migliore cognizione spaziale, sarebbe l'ideale potere ascoltare il disegno con degli auricolari stereofonici, in cui ogni suono occupa una posizione nello spettro acustico.

Con questo tablet è possibile anche ricreare versioni sonore di giochi tradizionalmente visivi, come il gioco del memory, che nella sua versione originale è fatto con le carte.

ABBI.

ABBI è un braccialetto sonoro, la cui concezione parte dall'idea che la percezione dello spazio sia da migliorare costantemente, sia nelle persone non vedenti che nelle persone vedenti. Dietro ABBI c'è l'unione tra il movimento e il suono: aiuta le persone con disabilità visiva a muoversi meglio nello spazio, ma direi soprattutto a sapere esattamente dove si trovano altre persone od oggetti rispetto a loro. È un'evoluzione del classico braccialetto con i campanellini che suonano quando chi lo indossa si muove.

ABBI può servire molto ai bambini che devono imparare a conoscere il proprio corpo e la sua allocazione nello spazio, per esempio ad imparare la destra e la sinistra. La sperimentazione di questo dispositivo fatta all'istituto Chiossone è consistita infatti nel far indossare il braccialetto al bambino in modo da insegnargli, facendogli muovere il braccio con ABBI che emetteva un suono, a distinguere il braccio destro e il braccio sinistro.

In linea più generale, questo braccialetto può essere applicato ad oggetti della vita quotidiana per saper immediatamente identificare la loro posizione. In questo senso, è stata attivata anche una convenzione con il comitato paralimpico per utilizzare questa tecnologia negli sport: pensiamo per esempio al calcio per ipo e non vedenti, in cui questa tecnologia applicata alla palla la rende assolutamente identificabile in campo, anche quando è ferma, e permetterebbe un miglior rimbalzo rispetto ad una palla piena di campanellini metallici; oppure pensiamo al baseball, in cui si deve correre verso le basi che potrebbero essere dotate di questo dispositivo elettronico.

ABBI, assicura UVIP, quando sarà in produzione avrà costi contenuti, grazie alla tecnologia semplice, alle sue dimensioni piccole, alla sua facilità di produzione, alla piccola batteria ricaricabile in circa due ore ed alla facilissima app dedicata per smartphone con la quale si può accendere e spegnere il dispositivo. Sarà anche biocompatibile, quindi se un bambino piccolo lo mette in bocca non causa nessun tipo di infezione.

È sicuramente un dispositivo versatile che può avere vari usi anche in ambito domestico. I suoni possibili non sono assolutamente invasivi per l'orecchio, poi ovviamente dipende dai singoli decidere come usarlo per ottenere le massime performance.

Simile ad ABBI è un piccolo dispositivo indossabile al dito che serve ai soggetti affetti da scotoma (sostanzialmente un buco nel campo visivo) ad individuare in quale punto del campo visivo questo si trovi. Questo dispositivo emette un suono ed è dotato di led: il soggetto segue con lo sguardo il led e quando non sarà più in grado di vederlo, ma sentirà ancora il suono, allora vuol dire che è arrivato al punto dove si trova lo scotoma.

Insegnare ai bambini a programmare.

La programmazione informatica è stata da poco tempo introdotta nella scuola italiana. UVIP si sta anche attivando da pochi mesi nella progettazione di un software che insegna ai bambini a programmare o comunque a risolvere alcuni problemi con l'uso dell'informatica.

Si è visto che se i bambini imparano l'uso dell'informatica in tenera età allenano di più il cervello ed hanno voti più alti a scuola, quindi l'idea di questo progetto ancora in fase embrionale è quello di prendere softwares di programmazione già esistenti ed adattarli in modo che anche un bambino non vedente possa imparare validamente a programmare. Sappiamo che i non vedenti possono essere degli ottimi programmatori, se messi nelle condizioni adatte: l'esperienza ce lo dice. Aspettiamo quindi di conoscere gli sviluppi di questo progetto.

Il piano cartesiano.

All'interno del progetto europeo We Draw, appena conclusosi, che ha per oggetto l'insegnamento della matematica e della geometria ai bambini mediante sensi diversi dalla vista, nascono alcune tecnologie per l'apprendimento del piano cartesiano.

La prima tecnologia si basa sulla realtà virtuale aptica ed uditiva: con una pennetta si esplora un campo virtuale dove ci sono dei palloncini, sempre virtuali. Ognuno di questi palloncini ha delle coordinate, quindi quando li si individua con la pennetta, questi scoppiano e una voce recita le ascisse e le ordinate corrispondenti.

L'ho provato e devo dire che, forse perché io ho una forma mentale tutto sommato visiva, riuscendo in qualche modo a visualizzare nel suo complesso un'immagine aptica che tocco fisicamente su una superficie, non ho trovato questo dispositivo particolarmente efficace per capire cos'è un piano cartesiano. Potrebbe essere una buona idea ludica per sviluppare l'orientamento spaziale, come una sorta di battaglia navale, ma non per lo studio della geometria. Io a suo tempo l'ho imparato sul tecnigrafo e sui fogli plastificati in rilievo e così lo so visualizzare, penso, fotograficamente. In questo modo, con informazioni solamente uditive e non potendo toccare una superficie reale, se non sapessi com'è fatto concretamente un piano cartesiano, cosa sono gli incroci, come si presenta un grafico, non lo avrei capito. Per apprendere validamente un piano cartesiano vedrei più adatto l'utilizzo del Blindpad, come evoluzione dei disegni su termoform e comunque, visto che facendo si impara, è fondamentale che il bambino lo disegni lui in prima persona e tocchi letteralmente con mano il risultato.

La seconda tecnologia sui piani cartesiani è una versione per gli ipovedenti, sempre in realtà virtuale, che consiste in una sorta di tiro con l'arco in cui si deve tirare una freccia e colpire un bersaglio, entrambi segnalati con colori molto vividi, e il bersaglio avrà le sue coordinate che vengono visualizzate quando viene colpito.

Conclusioni.

Ci sono ancora tanti altri progetti in itinere che UVIP sta sviluppando, sempre tenendo come prerogativa fondamentale l'ascolto dei bisogni e la loro trasposizione in scienza e tecnologia. L'auspicio dei ricercatori del gruppo è che questo primo open day possa servire a sviluppare nuove idee partendo dalle necessità espresse dal gran numero di persone che hanno voluto prendere parte a questa giornata. A tal fine ci saranno altre giornate di confronto nell'arco dell'anno. Continueremo a seguire lo stato dell'arte degli studi di UVIP: la collaborazione continua.

Per informazioni ed approfondimenti, visitare il sito del gruppo UVIP www.iit.it › Home › Ricerca › Linee di Ricerca.

Per avere ulteriori e più dettagliate informazioni, contattare Marco Pronello



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