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Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Corriere dei Ciechi

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Numero 10 del 2019

Titolo: SOSTEGNO PSICOLOGICO- Muoversi, che fatica!

Autore: Katia Caravello


Articolo:
Più volte abbiamo affrontato in queste pagine il tema dell’autonomia delle persone con disabilità, e, in particolare, con disabilità visiva, questa volta però voglio concentrarmi su un aspetto specifico di questo complesso e delicato tema: la mobilità autonoma, ossia la capacità di muoversi da soli per la strada.
Essere liberi di recarsi in un certo luogo - che sia il posto dove si lavora o si studia, la palestra o il punto dove ci si è dati appuntamento con i propri amici o un negozio - senza dipendere dalla disponibilità di qualcun altro è un desiderio molto frequente tra le persone cieche ed ipovedenti. Arrivare a tale livello di autonomia non è cosa semplice... e non solo per l’inciviltà delle persone che parcheggiano sul marciapiede biciclette, motocicli e addirittura automobili, o della presenza di pali della luce in luoghi a dir poco inappropriati, o ancora la mancanza di semafori sonori ed annunci vocali sui mezzi pubblici. Tutti questi sono senza ombra di dubbio degli ostacoli che rendono l’andare in giro per strada un’impresa talvolta ardua, ma la vera difficoltà sta a monte.
Per decidere di muoversi in autonomia è necessario superare la resistenza verso il bastone bianco! Per alcuni un prolungamento della propria persona, un oggetto dal quale non si separerebbero mai, per altri un elemento che li rende visibili, troppo visibili agli occhi degli altri... ed è questo il problema!
Più ancora del timore per la propria incolumità fisica - più che comprensibile, soprattutto nelle grandi città - la barriera psicologica da abbattere è la paura dello sguardo altrui.
Il bastone bianco, così come il braille, rappresenta un elemento distintivo delle persone cieche e questo fa paura, specie se la perdita o la forte riduzione della vista è sopraggiunta in età adulta. Prima di approcciarsi a questo importante ausilio, quindi, è necessario aver fatto i conti con il proprio essere ciechi o ipovedenti: finché il desiderio principale è quello di non rendere evidente la propria condizione, difficilmente si riusciranno ad acquisire quelle abilità che comportano il contatto e/o la relazione con altre persone (quindi non solo la capacità di muoversi in autonomia, ma anche quella di sapersi relazionare con chi si ha intorno... abilità indispensabile per arrivare ad una piena inclusione sociale).
Percorrere un tratto di strada con un bastone bianco per la prima volta è un’esperienza ad elevata intensità emotiva; ci si sente tutti gli occhi puntati addosso, si ha l’impressione che la gente non faccia altro che fissarci, pronti a deriderci o compatirci al primo inciampo. Anche se è molto più probabile che le persone che camminano per la strada abbiano gli occhi incollati allo schermo dello smart phone o siano perse nei propri pensieri! Questa sensazione - per quanto infondata - è l’ostacolo invisibile che impedisce di camminare con naturalezza. In questa prima fase, poco serve l’esempio degli altri: di fronte al racconto o all’incontro con chi il bastone lo utilizza quotidianamente, i pensieri più frequenti sono "io non ci riuscirò mai", "io non ho le sue stesse capacità" e così via; quando si arriva a comprendere razionalmente che non servono doti eccezionali per andare in giro con un bastone - perché questo prima o poi accade - e ci si convince a provare, nel momento in cui si prende in mano questo famoso oggetto, tutte le certezze e le convinzioni che si era pensato di aver fatto proprie scompaiono immediatamente, lasciando spazio ad un unico pensiero: "oddio mi stanno guardando tutti!".
Già da quanto scritto sin qui si può intuire quale ruolo significativo può avere lo psicologo. Nella prima fase - quando la disabilità è insorta da poco o, comunque, nel momento in cui si inizia a consapevolizzare la cosa (per chi è nato cieco o ipovedente, ciò accade in adolescenza) - la consulenza psicologica ha l’obiettivo di supportare la persona nel doloroso percorso di accettazione della propria condizione di cieco o ipovedente. Partendo dalla stessa familiarizzazione con queste parole, che possono essere vissute come delle vere e proprie sentenze.
Nel momento in cui si è fatto questo primo passaggio - o quanto meno quando il processo di accettazione è avviato - il passo successivo è quello di far concretamente sperimentare cosa significhi essere non o ipovedente. Restando nell’ambito affrontato in questo articolo, una volta che la persona ha iniziato ad accettare il fatto di non vedere, o comunque di avere una vista molto compromessa, il passo successivo è quello di convincerla ad iniziare un corso di Orientamento e Mobilità al fine di acquisire la capacità di muoversi nel traffico con l’ausilio di un bastone bianco, aiutandola ad elaborare la paura di mostrarsi per quel che si è e il timore per lo sguardo altrui.
Quando anche questo risultato è stato raggiunto, e la persona ha iniziato il corso di OM, si è a metà dell’opera... sì, a metà, perché le difficoltà non sono finite! Imparare ad usare il bastone bianco è un’attività molto impegnativa, sia per le energie mentali che consuma, sia perché si devono affrontare tutti quei piccoli grandi problemi pratici e quella preoccupazione per la propria incolumità che sino a questo momento erano rimaste sullo sfondo, oscurate dalle paure e dai blocchi di cui abbiamo parlato nelle righe precedenti. Lo psicologo, affiancando l’istruttore di Orientamento e Mobilità, dovrebbe accompagnare la persona, sostenendola durante questo faticoso percorso ed intervenendo nei momenti più difficili per aiutarla ad esplorare ed elaborare i vissuti emotivi da essi generati.
Ma, in quest’ambito come in altri, lo psicologo dovrebbe lavorare, oltre che con il diretto interessato, anche con il suo contesto familiare. Non è infatti infrequente che genitori e familiari, per timori propri, ostacolino l’acquisizione e, soprattutto, la messa in pratica di tale abilità: fanno frequentare il corso al proprio figlio/figlia o al proprio congiunto (spesso il genitore), ma quando si tratta di consentirgli di uscire di casa da solo, si oppongono, rischiando seriamente di vanificare tutto il lavoro fatto.
È quindi davvero molto importante aiutare genitori, figli e familiari in genere ad elaborare quelle che sono le proprie paure e preoccupazioni, facendo capire loro che solo in questo modo saranno davvero di aiuto al proprio caro.
Per girare da soli in città, però, il bastone bianco non è l’unica scelta per una persona cieca, esiste anche la possibilità di prendere un cane guida. Decidere di essere condotti da un cane, piuttosto che utilizzare il bastone, non è una scelta banale e da prendere con leggerezza.
Innanzitutto, non bisogna mai dimenticarsi che un cane guida è un essere vivente, non un oggetto che si può piegare e riporre in borsa: un cane ha delle esigenze, ha bisogno di cure ed attenzioni. Senza dimenticare il fatto che non è un GPS: è il cieco che deve dare le indicazioni e deve sapersi muovere nel traffico, è quindi importante che, prima di prendere un cane guida, si sia presa dimestichezza con il bastone bianco e si sia autonomi.
Detto ciò, girare per la strada con un cane guida è molto più agevole che con un bastone: gli ostacoli presenti sul percorso, talvolta, nemmeno si sfiorano - cosa che con il bastone è impossibile - si cammina con maggiore naturalezza e velocità. Senza trascurare il fatto che si ha sempre con sé un amico a quattro zampe che dona tanto affetto!
Ma neanche questa scelta è esente da problemi. A partire dal fatto che, come già sottolineato, il cane guida è un animale e non un oggetto, può avere dei giorni no e, in ogni caso, bisogna sempre tener conto di lui e delle sue esigenze.
La fase di affiatamento è cruciale: tra conduttore e cane si deve creare una sorta di simbiosi; la persona deve sapersi affidare all’animale e, quest’ultimo, non deve sentire eccessivamente il peso della responsabilità per l’incolumità di colui/colei che sta guidando.
È quindi fondamentale che chi decide di fare domanda di assegnazione di un cane guida sia supportato in questa scelta, abbia la possibilità di confrontarsi con altre persone che l’hanno fatta prima di lui e/o con un istruttore cinofilo, al fine di valutare tutti i pro e i contro e comprendere se è davvero la scelta più appropriata.
Il sostegno da parte di altri conduttori di cane guida, nonché di un operatore specializzato, è fondamentale anche nei casi in cui - specie nei primi mesi - si riscontrano delle difficoltà: un aiuto sia pratico (suggerimenti per superare i problemi emersi), sia emotivo. Quando le proprie aspettative vengono disattese, e ci si rende conto che andare in giro con un cane guida non è una cosa poi così semplice, la frustrazione è tanta e si ha bisogno di un aiuto esterno per evitare che essa si trasformi in rabbia, nei confronti del cane o di chi ce l’ha dato, o depressione, perché ci si sente gli unici responsabili della situazione che si è venuta a creare. Spesso la colpa non è di nessuno, semplicemente è la coppia conduttore-cane che non funziona: il problema è che da un punto di vista psicologico non è facile accettarlo!
Nonostante la complessità del tema, spero in queste pagine di essere riuscita a rendere l’idea di quanto essere autonomi nella mobilità costi fatica e di come il supporto emotivo sia un elemento imprescindibile.
Chi vive situazioni simili può trovare nelle sezioni dell’Unione un aiuto prezioso: nelle nostre sedi - che vorrebbero essere più di un ufficio dove si erogano servizi - è possibile trovare persone che condividono le medesime difficoltà e che, tramite la propria esperienza di vita, possono essere di esempio per tutti coloro che si trovano in difficoltà; laddove necessario, inoltre, si può anche ottenere un aiuto più specialistico (rimanendo in tema, istruttore di Orientamento e Mobilità, istruttore cinofilo, psicologo).



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