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Corriere dei Ciechi

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Numero 12 del 2019

Titolo: 10 ANNI DI CONVENZIONE ONU- Voti senza veti

Autore: Carlo Giacobini


Articolo:
Troppo spesso quelle parole - "diritto al voto" - evocano solamente l'immagine di una persona, magari cieca, accompagnata in cabina elettorale e supportata nell'apertura della scheda elettorale, talvolta dalle dimensioni importanti, e nell'apporre una croce sul simbolo del partito meno lontano dalle proprie convinzioni politiche. Tutt'al più quelle due tre parole fanno riaffiorare esperienze negative, intoppi, discussioni con i presidenti di seggio. O poco più.
In realtà l'apposizione di un segno in una scheda elettorale dovrebbe costituire solo l'esito, solo una parte, forse nemmeno la più importante, di un più ampio processo e contesto di partecipazione e di consapevolezza. L'esercizio del diritto di voto è solo una parte di più ampi diritti politici.
Anche in questo quadro la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità ci aiuta ad aprire la nostra prospettiva e la nostra consapevolezza rafforzando peraltro principi espressi già in precedenza dalla nostra Costituzione.
Infatti se la piena ed effettiva partecipazione e inclusione nella società è uno dei principi fondanti (art. 3) della Convenzione ONU, la partecipazione alla vita politica e pubblica è uno degli elementi in cui essa deve essere resa possibile. Essa è richiamata nel dettaglio dall'articolo 29 che fa espresso riferimento al godimento dei diritti politici e alla possibilità di esercitarli su base di uguaglianza con gli altri. L'indicazione riguarda sia l'esercizio del diritto di voto e l'espressione della volontà che la possibilità di essere candidati, esercitare effettivamente i mandati elettivi e svolgere tutte le funzioni pubbliche a tutti i livelli di governo. Non solo votare quindi, ma anche essere votati, eletti ed esercitare adeguatamente il proprio ruolo di rappresentante o di amministratore. Oggi le persone con disabilità candidate ed elette sono ancora tanto poche da "fare notizia": siamo lontani dal principio espresso dall'articolo 29 della Convenzione laddove richiama gli Stati alla garanzia per le persone con disabilità di "candidarsi alle elezioni, ad esercitare effettivamente i mandati elettivi e svolgere tutte le funzioni pubbliche a tutti i livelli di governo (...)".
Nella normativa italiana esistono alcune norme che prevedono alcuni accomodamenti procedurali per rendere più facilmente esigibile l'esercizio del diritto di voto. Si tratta sostanzialmente di tre formule. La prima riguarda il voto assistito, la seconda il domicilio, la terza, non strettamente connessa alla disabilità, riguarda i cosiddetti "seggi speciali" e "seggi volanti" presso strutture di ricovero. La possibilità di accedere alle tre modalità è condizionata dal possesso e dalla presentazione di diversa documentazione sanitaria e amministrativa su cui non ci dilunghiamo perché interessati a far comprendere appunto le sfide più ampie.
Solo però una rapida digressione. Il 22 ottobre 2017 in Lombardia si è tenuto un referendum consultivo per l'autonomia regionale. Per la prima volta sono stati sperimentalmente adottati dei terminali che consentivano il voto elettronico pur presso i tradizionali seggi elettorali. La strumentazione adottata si è rivelata totalmente inaccessibile ai non vedenti. Le organizzazioni delle persone con disabilità non sono state coinvolte preventivamente e quando queste hanno segnalato la potenziale inaccessibilità degli strumenti gli acquisti erano già stati effettuati. Un'occasione perduta.
L'esercizio del diritto di voto, è fortemente investito anche dal tema dell'accessibilità e riguarda quindi i materiali informativi elettorali, gli avvisi, le liste, i programmi ma anche le stesse schede elettorali e la praticità d'uso delle stesse.
Una scheda di grandi dimensioni, difficile da ripiegare, può costituire un impaccio in presenza di alcune limitazioni agli arti. Loghi e contrassegni poco evidenti e contrastati rappresentano un ostacolo in caso di ipovisione.
In generale anche la scelta del linguaggio e l'assenza di strumenti di lettura facilitata può essere fattore di esclusione per persone con minorazioni di natura intellettiva ed incidere sulla partecipazione e sulla possibilità di autorappresentarsi.
Anche su questi aspetti possiamo riportare un significativo evento relativamente recente e relativo alle ultime elezioni politiche.
La legge 3 novembre 2017, n. 165, che ha modificato il sistema elettorale di Camera e Senato, prevede all'articolo 4 (Elezioni trasparenti) che in un'apposita sezione del sito internet del Ministero dell'Interno, denominata «Elezioni trasparenti», per ciascun partito, movimento e gruppo politico organizzato che abbia presentato le liste siano "pubblicati in maniera facilmente accessibile" il contrassegno depositato, lo statuto e il programma elettorale.
In occasione delle consultazioni elettorali del 4 marzo 2017 solo una minima parte dei documenti previsti risultavano rispondenti ai requisiti di accessibilità, escludendo di fatto non vedenti e buona parte delle persone con problemi di ipovisione dalla consultazione di tali materiali.
Mentre in Italia è diffusa la convinzione di aver garantito quel diritto con il voto assistito o a domicilio, da qualche parte nelle sedi europee sembra esserci maggiore consapevolezza dei limiti posti a milioni di cittadini con disabilità.
Poco prima delle consultazioni europee il CESE (Comitato Economico e Sociale Europeo) - organo consultivo della Commissione Europea - ha pubblicato una articolata relazione informativa intitolata "La realtà del diritto di voto delle persone con disabilità alle Elezioni del Parlamento Europeo". Emerge come, nonostante i numerosi atti giuridici vincolanti che nell'Unione Europea tutelano i diritti delle persone con disabilità, milioni di esse non avrebbero potuto esprimere il loro voto alle Elezioni Europee di fine maggio o quanto meno avrebbero incontrato difficoltà.
In un'analisi impietosa ed illuminante il CESE ha passato in rassegna la situazione nei Paesi UE. Uno dei più gravi ostacoli riguarda le persone con disabilità intellettiva (circa 800 mila persone). Molto spesso perdono il loro diritto di voto sulla base di norme nazionali.
Per quanto riguarda quelle che nel rapporto del CESE vengono definite come "barriere tecniche" e che segnatamente comprendono sia le barriere architettoniche che quelle percettivo-sensoriali, la questione dell'adeguamento dei seggi viene affrontata in modo molto diverso dai singoli Stati dell'Unione Europea. Sei Paesi, infatti, non dispongono di alcuna norma in materia di accessibilità dei seggi stessi alle persone con disabilità. E se è vero che undici Paesi applicano il principio generale secondo cui tutti i seggi devono essere accessibili, nella pratica tale accessibilità viene intesa in modo assai restrittivo. In ben 18 Stati dell'Unione gli elettori ciechi non possono votare in maniera autonoma e in otto Stati non sono previste forme alternative di voto, quali il voto per corrispondenza, il voto elettronico o il voto con un'urna elettorale mobile. Ciò significa naturalmente che in tali Paesi chiunque non sia fisicamente in grado di recarsi presso il seggio elettorale non potrà votare.
Se quella relazione CESE tratteggia una situazione tutt'altro che rosea, indica anche alcune soluzioni o prassi che potrebbero essere adottate e riprese. Per fare qualche esempio: nell'ordinamento italiano il voto per corrispondenza è previsto solo nei collegi esteri e a precise condizioni; in altri Paesi è ammesso con maggiore flessibilità per un numero molto più ampio di situazioni. Potrebbe rappresentare una opportunità in più anche per le persone con disabilità. Ancora: in Estonia tutti i cittadini hanno la possibilità di votare mediante un sistema elettronico. In Danimarca si può votare anticipatamente, da due giorni a tre settimane prima della data delle elezioni, presso appositi seggi elettorali.
Flessibilità e tecnologia sono strumenti utili a tutti, ancora di più lo possono essere per le persone con disabilità e per i loro diritti politici.



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