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Kaleîdos

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Numero 23 del 2019

Titolo: Plautilla Bricci - Geniale artista del 600

Autore: Melania Mazzucco


Articolo:
(da «F» n. 49 del 2019)
Figlia di un pittore di poca fama, bizzarro e vulcanico, Plautilla crebbe nei rioni popolari di Roma. Fu la prima architetto donna, ma di lei si persero le tracce. Ora una scrittrice le ridà voce nel suo romanzo. E a F regala un ritratto inedito di questa icona da riscoprire
Non conosciamo il suo volto. Se si è ritratta in qualche quadro o se è stata raffigurata da un altro pittore, né lei né loro ci hanno consegnato la chiave per ritrovarla. Ma questo ce la rende più cara: ognuna può proiettare se stessa sulla sua assenza. Lei potrebbe essere ciascuna di noi. Plautilla Bricci era nata nel 1616 al Corso, nel cuore di Roma. La città meno propizia per favorire la carriera artistica di una donna. Capitale di uno Stato anomalo: una monarchia, ma elettiva, con una corte fastosa, ma unicamente maschile. Il 60 per cento degli abitanti dell'Urbe erano uomini, e ciò nonostante le donne erano sempre in eccedenza. Papa, cardinali, prelati impiegavano migliaia di segretari, maestri, paggi e camerieri - mentre alle donne non restava che figliare, monacarsi o vendersi. A quelle non destinate al letto o alle nozze (con un uomo o con Cristo) toccava vegetare zitelle in casa dei parenti, custodendo fino alla morte il tesoro prezioso quanto sterile della propria verginità. Vivere segregata, ignota e senza discendenza doveva essere il destino di Plautilla. Il padre, Giovanni Briccio, era un genio bizzarro e vulcanico. Musicista, matematico, giornalista, autore di canzoni, trattati di filosofia, barzellette, romanzi criminali, sacre rappresentazioni, commedie. Non figura in nessuna storia della letteratura italiana, ma è stato uno degli scrittori più originali del suo tempo. Chi lo conobbe ammise che se avesse studiato sarebbe diventato un Aristotele. Invece era il figlio di un materassaio immigrato dalle montagne di Ventimiglia, gli toccò usare i pettini di ferro e cardare la lana fin da ragazzino, e poi sgobbare nella bottega di Giuseppino Cesari. Né la scrittura né la pittura gli diedero la fama. Non seppe, o non volle, trovarsi un padrone, o protettori potenti. Non divenne ricco e nemmeno benestante. Ai figli lasciò la curiosità intellettuale, la passione per la cultura e la scienza, l'aspirazione all'universalità. Plautilla crebbe fra lutti e traslochi nei rioni popolari di Roma - malsani e affollati di artisti, forestieri e zingari - finché, negli Anni 20, i Bricci non si trasferirono sulla riva sinistra del Tevere. A Borgo il Briccio le insegnò a disegnare. Non era insolito che un padre educasse la figlia al mestiere della pittura - come aveva fatto Gentileschi con Artemisia.
Di lei si era persa memoria
All'inizio degli Anni 30 Plautilla cominciò a collaborare col padre, che però - storpiato dalla gotta - ormai dipingeva cose di poca importanza. Stemmi araldici, alberi genealogici, carte geografiche, insegne di botteghe. Sarebbe toccato anche a lei praticare i generi meno reputati e più deperibili: nature morte da appendere nelle cucine, ritrattini su seta e carta, miniature per le devozioni private, santini e copie di quadri famosi per i pellegrini che affluivano a Roma. Una produzione seriale, umile, oggi scomparsa - ma che sfamava tanti pittori. Solo pochi, infatti, riuscivano ad affermarsi in un mercato competitivo e violento, e a mettersi sotto la protezione del Papa, dei patrizi e dei cortigiani. Briccio però decise di trasformare la verginità di Plautilla - che era conseguenza della struttura sociale della città - in un dono divino e in un privilegio. Sparse la voce che un'opera dipinta da lei ragazzina l'avesse completata la Madonna. La tela fu esposta in una chiesetta del Babuino, attrasse preghiere, concesse grazie. Divenne una delle molte icone cui i romani - e soprattutto le romane - si rivolgevano per chiedere un figlio, la salute, la felicità. Quella Madonna con Bambino esiste ancora, sull'altare maggiore di Santa Maria in Montesanto, a piazza del Popolo: incoronata d'oro, luccica nella penombra, gentile, soave, senza tempo. Ma fino a pochi anni fa, quando il restauro ha permesso il ritrovamento del cartiglio con la firma, nessuno ne conosceva l'autore. Di Plautilla si era persa memoria. Restava di lei solo il nome, nelle compilazioni sulle Vite dei pittori. È lì che l'ho incontrata: non si citava neppure un'opera, ma si ricordava che era stata iscritta all'Accademia di San Luca. Le poche altre sue contemporanee - Giovanna Garzoni, Virginia Vouet, Laura Bernasconi - sono state riscoperte negli ultimi decenni. Plautilla restava un'ombra.
L'incontro con Elpidio Benedetti
Quando il Briccio morì, Plautilla aveva 29 anni. Il padre aveva assolto il suo compito: maritato la figlia maggiore a un pittore, trasmesso all'unico figlio maschio il suo sapere e consegnato a lei un mestiere e una fama. Ma nulla sarebbe andato come previsto. E Plautilla non sarebbe rimasta una pittrice di Madonne. Aveva conosciuto un giovane aspirante scrittore, Elpidio Benedetti. Senza una famiglia nobile e ricca alle spalle, anche nascere maschio non garantiva la libertà. Per studiare, trovare un impiego a corte o in un ministero, occorreva entrare in religione, prendere i voti, o almeno la tonsura. Così toccò anche a Benedetti. Quando incontrò Plautilla pure lui era un'eccedenza. E dovette compiacersi di essere assunto tra i servitori dei padroni di Roma, i Barberini. Francesco, il cardinale nipote di Urbano VIII, lo spedì in Francia, come cameriere di un diplomatico troppo abile, di cui il papa voleva stroncare le ambizioni. Si chiamava Giulio Mazzarino. Nel giro di pochi anni sarebbe diventato il braccio destro di Richelieu, e poi il suo successore: insomma, uno degli uomini più potenti d'Europa. Elpidio tornò a Roma, ma rimase al servizio di Mazzarino, prima come tuttofare, e poi come agente: divenne mercante, intermediario e consulente, incaricato di trattare, per suo conto (e dopo la sua morte per Luigi XIV), con Bernini, Pietro da Cortona, Borromini, Romanelli, e tutti i principali artisti di Roma.
La prima donna architetto
Vergine lei, abate lui, separati dalla rigida gerarchia sociale, non potevano frequentarsi, tantomeno amarsi. Eppure sono stati una coppia - segreta, saldissima. Il loro legame sopravvisse ai capovolgimenti di regime e di fortuna - alla rovina dei Barberini, alla politica filospagnola che rese la Francia nemica, alla peste. Negli Anni 50 progettarono monumenti per Parigi e opere urbanistiche per abbellire Roma. Né gli uni né gli altri furono realizzati, né Benedetti rese mai noto il nome del suo disegnatore. Avrebbe perduto credibilità svelando che fosse una donna. Ma quando poté disporre del suo denaro si regalò una villa, sul colle Gianicolo, a dominio di Roma. Volle che fosse Plautilla a immaginarla, disegnarla e costruirla. Non esistevano donne architetto, neanche la parola per definirle. Fu Plautilla a battezzarsi «architettrice». La scelta di Benedetti, così coraggiosa in una città tanto conformista, che ammetteva le donne all'Accademia di San Luca ma non concedeva loro diritto di parola, lascia tuttora sbalorditi. La chiamarono Villa Benedetta.
Un silenzio che la ferì
Negli Anni 70 e 80, la fama di Plautilla riverberò di un misterioso splendore. Ormai «celebre pittrice» dipinse pale d'altare e lunette per chiese e basiliche, e costruì per Elpidio una sontuosa cappella nella chiesa di San Luigi dei Francesi. Ma nelle guide che magnificavano le bellezze di Roma il suo nome veniva sempre omesso. Plautilla visse abbastanza a lungo per saperlo. Forse questo silenzio la ferì e la offese. Forse invece seppe comprenderlo. Anziana, sola, povera, possedeva l'unica certezza che arricchisce un'artista. Aveva costruito con la pietra e col marmo, per prima, qualcosa di perenne. Chiunque poteva ammirare Villa Benedetta e la cappella di San Luigi. Confidava che un giorno il mondo lo avrebbe saputo. E così è stato.
Melania Mazzucco



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