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Kaleîdos

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Numero 1 del 2020

Titolo: Smart working: così conciliamo lavoro e famiglia

Autore: Carolina Saporiti


Articolo:
(da «F» n. 51 del 2019)
In Italia si chiama «lavoro agile» ed è una formula sempre più diffusa: sono quasi mezzo milione i dipendenti che hanno la possibilità di essere operativi da casa ottimizzando il tempo e riducendo i costi per gli spostamenti. Un esperto ci spiega come funziona. E quattro professioniste raccontano la loro esperienza
Lavorare da casa, ma anche dal treno, in montagna o al mare. Fare una pausa, non per bere il caffè, ma per accompagnare i figli a scuola o avviare la lavatrice. Benvenute nell'era dello smart working, una modalità che in Italia viene chiamata «lavoro agile» proprio perché consente maggiore flessibilità, il sogno di molte donne che cercano soluzioni per conciliare famiglia e lavoro. E che è sempre più diffusa tra le grandi aziende, ma anche nelle società di piccole e medie dimensioni: nell'ultimo anno, dicono i dati, gli smart worker sono cresciuti del 20 per cento, arrivando a quota 480mila persone. Ma come funziona? Ce lo spiega Massimo Braghin, esperto della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro: «Non esistono contratti di smart working, ma accordi scritti tra il dipendente e la sua azienda. Prevedono un'organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo. Possono essere a tempo determinato, indeterminato ed essere revocati con un preavviso di 30 giorni da entrambe le parti».
La busta paga non subisce variazioni
«La retribuzione resta la stessa, ma potrebbe esserci un risparmio grazie al fatto che il lavoratore non deve sostenere alcune spese come quelle per i trasporti, la benzina o i pasti fuori casa», spiega Braghin. Una soluzione con tanti vantaggi che però comporta anche un rischio. «Pur di finire un lavoro o per far vedere all'azienda che si può fidare anche se si lavora da casa, lo smart worker potrebbe lavorare più ore di quelle richieste. Per questo la legge stabilisce che i propri compiti vengano svolti entro i limiti massimi dell'orario giornaliero e settimanale previsti dal contratto di categoria, indicando anche i tempi di riposo che non devono essere inferiori alle undici ore consecutive». Abbiamo raccolto l'esperienza di quattro professioniste che hanno ottenuto un accordo di smart working. Ecco cosa ci hanno raccontato.
Sabrina Ronca, 30 anni, si occupa di risorse umane per un'agenzia di comunicazione (alphaomega.it). Vive tra Milano e Pescara, ha un compagno e un figlio di 2 anni.
D. Di cosa ti occupi?
R. Mi sono laureata in Comunicazione, ho fatto la speaker radiofonica per qualche anno per Radio 105. Quattro anni fa sono entrata nell'agenzia di comunicazione ed eventi per la quale avevo fatto la hostess nei periodi di studio.
D. Come funziona il tuo accordo?
R. Prevede 40 ore lavorative settimanali senza vincoli di fasce orarie, ma con obiettivi da raggiungere. Lavoro tre giorni alla settimana da Milano, in azienda, e gli altri due da Pescara, dove vivono il mio compagno e mio figlio Riccardo, due anni.
D. Raccontaci una giornata tipo.
R. Prima di iniziare a lavorare, faccio una passeggiata con Riccardo. Poi mi metto alla scrivania e quando arriva l'ora, preparo il pranzo. Lavoro intensamente mentre lui riposa il pomeriggio fino a quando, verso le 16,30, si sveglia e va con la nonna.
D. Cosa ti ha spinta a chiedere lo smart working?
R. È stata l'azienda a propormelo quando, rientrata dalla maternità, stavo per mollare: la mia famiglia era a 600 km dal posto di lavoro.
D. I colleghi come vivono la tua assenza?
R. Siamo un team affiatato e, anche se lavoro da casa, sono sempre in comunicazione con loro. I colleghi mi rispettano e contano su di me come se fossi fisicamente presente.
D. Quali sono i benefici?
R. Poter lavorare da Pescara mi permette di stare quattro giorni consecutivi con mio figlio, creando continuità nel nostro rapporto. Io non credo che lo smart working debba essere fatto per comodità, ma solo per una reale esigenza, come quella di noi mamme di passare più tempo con i nostri figli, pur mantenendo una nostra indipendenza professionale.

Chiara Bonomo, 48 anni, funzionario del Comune di Milano. È sposata, ha tre figli di 10, 9 e 7 anni.
D. Di cosa ti occupi?
R. Ho studiato Biologia e Pianificazione territoriale, ho frequentato due master e un corso e oggi lavoro, come ho sempre desiderato, nella pubblica amministrazione. Prima ero al Comune di Segrate, ora sono passata a quello di Milano.
D. Come funziona il tuo accordo?
R. Il Comune di Milano offre tre giorni al mese di smart working, che diventano quattro per chi ha un figlio sotto gli 8 anni. lo non ho giornate fisse di lavoro da casa, le decido in base alle esigenze familiari. Posso lavorare tra le 7 e le 21, distribuendo le ore come voglio, ma garantendo la reperibilità dalle 10 alle 12 e dalle 14 alle 16.
D. Raccontaci una giornata tipo.
R. Faccio le stesse cose, ma rispetto al lavoro in ufficio, quello a casa ha meno interruzioni.
D. Cosa ti ha spinto a chiedere lo smart working?
R. Il Comune di Milano ha iniziato a offrire questa possibilità tra il 2014 e il 2015. Io l'ho presa al volo perché questa formula semplifica la vita familiare che, con 3 figli tra i 10 e i 7 anni, è abbastanza complicata. Per esempio, con l'inizio delle scuole e delle attività sportive, lo smart working ostato utilissimo perché non ho dovuto chiedere permessi. I bambini poi sono contenti che io sia a casa a lavorare qualche giorno, sanno che non mi devono disturbare, ma ci sono.
D. I colleghi come vivono la tua assenza?
R. Bene, perché il Comune di Milano continua ad attivare lo smart working. Non è impostato sulla persona, ma sull'attività, quindi chiunque può richiederlo in base alle proprie mansioni.
D. Quali sono i benefici?
R. La produttività aumenta e, allo stesso tempo, è il sistema più equo per la gestione della famiglia. Il part time, per esempio, lo prendono in genere le donne, invece lo smart working è uno stimolo per entrambi i genitori a condividere gli impegni di casa. Poi ci sono dei vantaggi sociali: contribuisce a ridurre inquinamento e traffico.

Luigina Caccia, 53 anni, responsabile risorse umane (sensitivefabrics.it). Vive a Caronno Pertusella (Varese), è sposata, ha un figlio di 14 anni.
D. Di cosa ti occupi?
R. Sono responsabile risorse umane di un'azienda della provincia di Varese leader nella produzione di tessuti tecnici elasticizzati per il settore sport, intimo e costumi da bagno. Svolgo questa professione da 34 anni, tutti trascorsi nella stessa azienda.
D. Come funziona il tuo accordo?
R. È il frutto di un patto tra la direzione e il sindacato: posso lavorare una giornata o due mezze giornate alla settimana da casa, seguendo la stessa fascia oraria aziendale, ma con la possibilità di renderla flessibile in base alle mie necessità. Io ho scelto il martedì e il giovedì pomeriggio: mentre lavoro mio figlio studia e, se ha bisogno di qualcosa, sono lì pronta a dargli una mano. Lo scorso giugno, per esempio, ho potuto aiutarlo a preparare gli esami di terza media.
D. Raccontaci una giornata tipo.
R. Ricevo meno telefonate dai colleghi, quindi riesco a fare meglio alcune attività più lunghe e delicate come, per esempio, il controllo presenze dei dipendenti. E ai posto di bere il caffè, impiego i 10 minuti di pausa per fare la lavatrice.
D. Cosa ti ha spinto a chiedere lo smart working?
R. Volevo conciliare meglio il tempo tra vita privata e lavoro, così ho deciso di aderire a un progetto pilota che è partito circa un anno fa.
D. I colleghi come vivono la tua assenza?
R. È solo fisica e quindi non ne risentono. Sono comunque sempre raggiungibile via email o al telefono.
D. Quali sono i benefìci?
R. Ho lasciato più libera la nonna, che finora mi ha sempre supportata. E poi il lavoro agile migliora il rapporto tra l'azienda e i suoi dipendenti.

Martella Buttò, 54 anni, coordinatore fatture in controversia per una multinazionale (gehealthcare.it). Vive a Bergamo, è sposata, ha una figlia di 31 anni e un nipote di un anno e mezzo.
D. Di cosa ti occupi?
R. Lavoro da dieci anni per una multinazionale, gestisco le dispute delle fatture che hanno problemi di pagamento, dando supporto agli addetti riscossione del debito.
D. Come funziona il tuo accordo?
R. È un accordo standardizzato che l'azienda ha introdotto in via sperimentale nel 2016 a tutte le persone degli uffici di Milano. Prevede un giorno di lavoro da casa alla settimana per migliorare il rapporto con i suoi dipendenti e offrire una qualità della vita più alta. A maggio l'azienda ha tolto il limite di utilizzo e possiamo usarlo quanto vogliamo, con l'invito però a non farlo al 100 per cento.
D. Raccontaci una giornata tipo.
R. Quando lavorò da casa non sto a guardare l'orologio e nemmeno l'azienda lo fa, chiede solo la reperibilità. Operativamente non cambia nulla, solo mi sveglio un'ora dopo e riesco a concentrarmi di più.
D. Cosa ti ha spinto a chiedere lo smart working?
R. Vivo a Bergamo e la mia azienda è a Milano: con lo smart working uccido il «tempo passivo» degli spostamenti con un beneficio economico e ambientale. E utilizzo meglio le pause che posso usare per la gestione della casa e della mia famiglia.
D. I colleghi come vivono la tua assenza?
R. Nella sede di Milano tutti hanno questo accordo, c'è chi lo utilizza di più e chi meno, ma non ci sono invidie. Prima lavoravo un giorno solo alla settimana da casa, ora due con frequenza fissa. Ma conto di aumentarli in futuro.
D. Quali sono i benefici?
R. Mi sono trasferita a Bergamo un anno fa insieme a mio marito, per aiutare nostra figlia, diventata mamma: quando lavoro da casa, se ci sono emergenze, sono a sua disposizione per darle una mano con il bambino. E poi risparmio i soldi della benzina e del pedaggio.
Carolina Saporiti



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