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Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Corriere dei Ciechi

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Numero 1 del 2020

Titolo: CENTENARIO DELL’UNIONE- Un piccolo sogno che apre il Centenario

Autore: Antonio Quatraro


Articolo:
Borsa di studio Aurelio Nicolodi per le pari opportunità negli studi musicali

Tutti sanno che chi non vede si deve affidare all'udito più di quanto di solito non fanno i vedenti. Questo fatto, quasi che la natura volesse scusarsi per l'offesa, fa sì che l'udito si affini per una compensazione ormai accertata anche scientificamente, per cui non ci si deve meravigliare se la figura del cieco sia proverbialmente associata alla figura del musico, del cantore, dell'aedo.
Fin dall'antico Egitto le stele, i dipinti, testimoniano la presenza costante di esecutori ciechi in tutte le manifestazioni della vita pubblica e privata (riti funerari, feste di ogni genere, ecc).
Di Omero non si sa se sia esistito per davvero, ma tutti giurano che Omero era cieco, per dire quanto l'idea di aedo, cantore, vate, era legata alla condizione di cecità. D'altra parte anche in antichità i ciechi dovevano pur campare, e la musica dava loro da vivere, magari più o meno dignitosamente.
Il nostro sistema Braille è stato inventato in primo luogo per dare la possibilità di "leggere e scrivere" la musica. Louis Braille infatti, come altri suoi contemporanei, era anche un provetto organista e, come Nicolodi, dava grande importanza al lavoro, sia come mezzo di sostentamento che come via per affermare la propria dignità.
Per questo la notazione musicale Braille, fra le notazioni per le varie materie, è quella più uniforme nei vari Paesi del mondo; non si può dire lo stesso nel caso della matematica, che conosce diversi codici, a seconda dell'area linguistica. Oggi sono moltissimi i ciechi e gli ipovedenti che si dilettano di musica, e, ad onor del vero, abbiamo anche delle eccellenze, nel campo della canzone, del jazz e della improvvisazione.
Ma, come dire, un conto è saper suonare o saper cantare, altra cosa è saper leggere e scrivere la musica. Quando a scuola ci andavano in pochi, non mancavano contadini, pastori, artigiani, che erano capaci di recitare a memoria la Gerusalemme liberata, o la Divina Commedia. Eppure erano analfabeti a tutti gli effetti.
Ma allora perché ci ostiniamo a predicare "studiate la musica"? Non basta suonare o cantare ad orecchio? No, non basta, se si parla di pari opportunità. Pari opportunità significa mettere ciascuno in grado di tirar fuori le proprie potenzialità, le proprie capacità. Pari opportunità significa evitare l'atteggiamento pietistico, per cui, anche se un ragazzo o una ragazza potrebbe e magari vorrebbe imparare a scrivere e leggere la musica, ci si accontenta che suoni ad orecchio. Sarebbe come esonerare il bambino o la bambina normovedente dall'imparare a leggere e scrivere, tanto, quando ha imparato a farsi capire, basta e avanza.
Imparare a leggere e scrivere da soli, ossia senza intermediari, significa anche organizzare meglio i propri pensieri, saper riconoscere i propri sentimenti e, si sa, chi non sa comunicare, cioè non sa rappresentare bene ciò che pensa e ciò che vuole, facilmente viene calpestato.
Senza dire che la capacità di leggere e di scrivere, di per sé, arricchisce la persona.
Questo vale per le parole, ma vale anche per la musica.
Saper suonare e cantare bene è già un valore, ma saper anche leggere e scrivere la musica allarga l'orizzonte, è come saper smontare un oggetto, un congegno, e saperlo poi rimettere insieme, saperlo ricreare da dentro; leggere e scrivere quindi favorisce anche la creatività.
In Italia, come nel resto del mondo, con l'introduzione del modello di inclusione scolastica da un lato, e con l'affermarsi delle professioni "protette", che richiedono meno tempo rispetto ai corsi di musica, per ottenere il titolo abilitante, si è liquefatta praticamente l'opportunità di studiare musica in maniera sicura, stabile e sistematica.
Questo è tanto più grave se si pensa che, a differenza di quanto accade per l'università dove è previsto un servizio di tutoraggio per gli studenti con disabilità, nel caso del conservatorio musicale, oggi equiparato all'università, non esiste alcun servizio del genere, né esiste una normativa che dia delle indicazioni credibili, in relazione ai necessari adattamenti dei programmi di musica.
Un solo esempio: una delle prove proposte ai vedenti è la cosiddetta lettura a prima vista: in altre parole, lo studente deve leggere all'impronta uno spartito ed eseguirlo seduta stante.
Ovviamente tutti capiscono che, per chi non vede, leggere a prima vista non è possibile, ma, come in casi simili (vedi concorsi pubblici), non mancano valide alternative.
In occasione del centenario della nostra Unione, proprio a Firenze, e proprio ad opera della prof.ssa Fiamma Nicolodi, nipote di Aurelio Nicolodi, abbiamo avuto la fortuna di trovare una persona sensibile, anche perché, guarda caso, Fiamma Nicolodi è una musicologa, ed è docente universitaria.
Quando mi venne a trovare, insieme al cugino Andrea Saratti, mi chiese cosa avrebbe potuto fare per onorare la memoria del nonno, dovendo fare testamento.
La prima idea che ci è venuta è stata quella di organizzare una borsa di studio permanente per favorire l'accesso agli studi musicali.
E questo piccolo sogno si è avverato.
Il 27 dicembre, a Firenze, presso la nostra sede, è stata organizzata una conferenza stampa, alla quale ha partecipato il nostro presidente nazionale Mario Barbuto, il direttore generale Salvatore Romano, il membro della Direzione Nazionale Adoriano Coradetti e un bel gruppo di dirigenti e di soci.
In quella occasione è stata firmata una convenzione fra la prof.ssa Nicolodi e il nostro Presidente nazionale, ed è stato predisposto un bando per una o più borse di studio, fino ad un massimo di 5 mila euro, finalizzata a favorire l'alfabetizzazione musicale, quindi l'apprendimento della notazione Braille e/o di qualunque altro strumento tecnologico o scientifico che potrà venire in futuro.
La prof.ssa Fiamma Nicolodi, nel suo breve intervento introduttivo, ha tracciato un breve ricordo del nonno: "Già irredentista e combattente della I guerra mondiale, Nicolodi perse la vista a 21 anni, divenendo un convinto sostenitore dell’emancipazione dei ciechi in fatto di istruzione, lavoro e inserimento nella vita sociale".
Nel mio breve saluto, come padrone di casa, ho ricordato che Firenze è stata la culla dell'Unione Italiana Ciechi. Fin dalla nascita il latte e il miele è stato e resta l'educazione, il lavoro, l'autonomia, finalizzate all'inclusione sociale dei ciechi.
Nonostante la musica sia l'unica forma d'arte completamente accessibile per i ciechi, il nostro sistema formativo si è dimenticato della musica, perché non ci sono insegnanti preparati, non ci sono norme precise che garantiscano le pari opportunità, tanto sbandierate.
Il dono della famiglia Nicolodi ci onora ed è la maniera migliore per ricordare il nostro grande Padre fondatore.
Il Presidente nazionale, a sua volta, prendendo la parola: "È motivo di orgoglio e di gioia per la grande famiglia dell'Unione aprire le celebrazioni del proprio centenario di fondazione, incontrando Fiamma Nicolodi, nipote del nostro fondatore Aurelio Nicolodi. Sapere che i discendenti diretti del nostro Padre fondatore continuano a nutrire interesse e mostrare attenzione per noi ciechi, conferma la grandezza di quest'uomo che dedicò tutta la sua vita al nostro riscatto morale e materiale. Offrire risorse per favorire tra noi quei ciechi che mostrano talento musicale come oggi fa Fiamma Nicolodi, è per noi un dono immenso che accogliamo con gratitudine e che ci fa dire ancora una volta "grazie Nicolodi".



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