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Corriere dei Ciechi

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Numero 1 del 2020

Titolo: RUBRICHE- Occhio alla ricerca

Autore: a cura di Andrea Cusumano


Articolo:
Visione artificiale: nuove possibilità di recupero funzionale con la protesi corticale Orion

La visione artificiale è ormai una realtà consolidata e ad oggi esistono diversi modelli di protesi retiniche che sono stati sperimentati sull’uomo con risultati molto positivi. La prima protesi retinica ad aver ottenuto l’approvazione alla commercializzazione - nel 2011 in Europa e nel 2013 negli USA - è stata Argus II, prodotta dalla Second Sight Medical Products, una compagnia statunitense leader nel settore. Negli anni successivi diverse compagnie e joint ventures internazionali si sono concentrate sulla progettazione e realizzazione di modelli di protesi retiniche con innovazioni tecnologiche tali da rendere le stesse protesi sempre più piccole in dimensioni e di conseguenza la chirurgia d’impianto sempre meno invasiva. Nonostante il successo delle protesi retiniche, esiste una criticità che ne impedisce l’utilizzo in una grande fetta di popolazione di pazienti non vedenti: le protesi retiniche, infatti, possono essere utili solo ai pazienti che presentano una retina interna ancora integra e un nervo ottico funzionale.
Questa criticità viene superata dalla protesi corticale, un dispositivo in grado di stimolare direttamente l’area della corteccia cerebrale responsabile della visione senza coinvolgere nel "nuovo processo visivo" alcuna struttura oculare né il nervo ottico. Pertanto la protesi corticale rappresenta una grossa speranza per tutti quei pazienti a cui fino ad oggi è stato detto che per loro l’evoluzione della visione artificiale non avrebbe avuto alcun beneficio.
Ancora una volta è la società statunitense Second Sight Medical Products a tornare sotto i riflettori grazie alla realizzazione e alla sperimentazione della protesi corticale innovativa Orion, pensata per tutti coloro che hanno perso la visione a causa di patologie degenerative della retina che coinvolgono e danneggiano la retina interna, di patologie del nervo ottico quale il glaucoma, e di gravi traumi o lesioni all’occhio.
La protesi corticale Orion presenta 60 elettrodi in grado di elicitare la percezione di impulsi luminosi con un pattern corrispondente - e con il tempo associabile - a un determinato oggetto direttamente sull’area della corteccia cerebrale deputata alla visione. Lo scopo di Orion non è quello di restituire una visione "naturale" come quella delle persone vedenti, bensì quello di creare una stimolazione in grado di fornire, anche grazie all’aiuto di un training molto specifico, informazioni utili sullo spazio circostante, rendendo in questo modo le persone non vedenti più autonome. I pazienti che ricevono l’impianto di Orion devono indossare dei dispositivi ausiliari: una telecamera miniaturizzata montata su un paio di occhiali, un’antenna e un’unità che processa i video (VPU, Video Processing Unit). La telecamera è in grado di catturare le immagini in tempo reale e trasformarle in un pattern di stimolazione nervosa che viene trasmesso, in modalità wireless, alla griglia di elettrodi impiantata sulla superficie della corteccia cerebrale, ottenendo infine la stimolazione della corteccia stessa.
La FDA statunitense ha approvato per Orion un primo studio di fattibilità. Nader Pouratian, professore associato di neurochirurgia presso il Ronald Reagan UCLA Medical Center di Santa Monica, California, e uno dei principal investigator dello studio, ci ha spiegato come è stato svolto lo studio e quali sono stati i primi risultati.
Allo studio clinico hanno preso parte 6 soggetti, una donna e 5 uomini di età compresa tra i 29 e i 57 anni e divenuti non vedenti a causa di glaucoma (due pazienti), endoftalmite (un paziente) e gravi traumi agli occhi (tre pazienti); tutti i pazienti presentavano una corteccia visiva perfettamente funzionale. Il primo test dopo l’impianto di Orion è stato effettuato a 2 settimane dalla chirurgia ed è consistito nel verificare che ogni contatto elettrico fosse "acceso" individualmente e misurare a quale livello di stimolazione elettrica si ottenesse una percezione visiva, ossia un fosfene. Dopo il primo test iniziale, i ricercatori hanno lasciato che i pazienti continuassero ad adattarsi alla presenza dell’impianto e dopo circa tre mesi i pazienti hanno iniziato a utilizzare il dispositivo.
Dei cinque pazienti impiantati, due (il 40%) hanno avuto un miglioramento della funzionalità visiva significativo, gli altri tre (il 60%) hanno avuto un miglioramento della funzionalità visiva più modesto. Tutti i pazienti hanno avuto una percezione visiva in risposta alla stimolazione e l’hanno avuta in corrispondenza di quasi tutti gli elettrodi quando questi sono stati attivati. Il Dr. Pouratian ha dichiarato che i pazienti sono stati in grado di descrivere fosfeni di diverse forme: spot di luce a forma di cerchio, a forma di ovale e lineari.
I pazienti hanno ricevuto un training mirato con degli specialisti della riabilitazione visiva per imparare a utilizzare al meglio le potenzialità del dispositivo impiantato. Le percezioni visive dei pazienti che hanno ricevuto l’impianto della protesi corticale Orion sono molto lontane da quelle delle persone vedenti, ciononostante tali percezioni hanno significato e significano tutt’oggi molto per loro. Riuscire a identificare una forma specifica, come ad esempio un quadrato su uno schermo, e individuare la presenza e in alcuni casi la direzione di moto di oggetti e persone è molto importante nella vita quotidiana di chi ha perso completamente l’utilizzo della visione, poiché fornisce informazioni sul mondo circostante e permette al paziente di muoversi più agevolmente in modo indipendente.
Durante lo studio i ricercatori hanno riportato cinque eventi avversi in due pazienti, solo uno dei quali grave (attacco epilettico). I partecipanti allo studio ad oggi portano l’impianto corticale da 12 mesi e saranno seguiti per cinque anni. Questi risultati incoraggianti hanno spinto la Second Sight Medical Products ad accelerare lo sviluppo della protesi corticale. Come spiega Will McGuire, presidente e chief executive officer della compagnia, la tecnologia di Orion permette l’utilizzo di più elettrodi rispetto a una protesi retinica e quindi si potrebbero elicitare pattern visivi con molti più pixel, inoltre il trattamento di entrambi gli emisferi del cervello porterebbe a un ulteriore incremento del campo visivo e della qualità visiva. Attualmente sono in fase di sviluppo un chip da 169 elettrodi, rispetto agli attuali 60, e altre tecnologie complementari per coadiuvare e completare l’esperienza visiva "alternativa", come ad esempio un software per il riconoscimento degli oggetti e dei volti in grado di informare l’utente su cosa o chi è l’oggetto "osservato" dagli occhiali indossati, e l’imaging in infrarosso, in cui la visione è stimolata dal calore delle persone e degli oggetti per facilitarne la localizzazione.
Noi oftalmologi siamo estremamente felici di poterci rimangiare affermazioni quali "per il Suo caso non c’è nulla da fare". Negli ultimi anni ci siamo venuti a trovare più volte nella condizione di doverci ricredere sull’impossibilità di cura di una determinata patologia oculare e personalmente spero, anzi credo, che persino per la cecità completa oggi sia solo una questione di tempo perché tutti i pazienti possano finalmente contare su un recupero funzionale in grado di restituire loro un buon livello di qualità di vita e indipendenza nella loro vita quotidiana.



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