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Kaleîdos

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Numero 3 del 2020

Titolo: Annachiara Sarto - Ho salvato baby prostitute in un bordello di Katmandu

Autore: Elena Filini


Articolo:
(da «F» n. 2 del 2020)
Durante un viaggio studio in Sudafrica, Annachiara tocca con mano il dramma del traffico di minori. E decide che dedicherà la sua vita a fermarlo. Studia diritti umani in Olanda e va in Nepal per liberare delle bambine ridotte in schiavitù. Oggi la sua sfida è ancora più grande: bloccare la pedopornografia nel deep web, il marcio della rete, dove tutto è lecito
La polvere. Insopportabile. Polvere sui vestiti, dentro le narici, sopra il bancone. Mezz'ora per una coca cola. In quello che, almeno a parole, sarebbe dovuto essere un bar. Ma qui non si beve, perché il menu sono i loro corpi. Corpi di bambine nepalesi di 12-13 anni. Ho attraversato di notte Katmandu, sono scesa negli inferi della periferia, nello squallore di un posto di infima categoria dove le ragazzine drogate e imbambolate si vendono a tutti, nepalesi e turisti. Nei loro occhi non c'è neppure orrore, solo una noia senza più lacrime.
«Voglio entrare», ho detto con il cuore in gola allungando un pacco di banconote al proprietario. «Accomodati», mi ha risposto il boss stringendomi la mano. Non potevo immaginare cosa avrei visto esattamente. Ma avevo un telefonino e il dovere di testimoniare anche correndo dei rischi. Mi sono messa in un angolo e ho iniziato a girare un video: pali da lap-dance, bambine in négligé, uomini ubriachi che chiedevano e ottenevano di tutto. Mi è venuto dentro una sorta di coraggio. O forse l'incoscienza dei miei 20 anni. Ma nelle narici c'era sempre quell'odore, impastato alla polvere. L'odore dell'infanzia rubata e del degrado.
Tutto inizia al liceo
Perché una studentessa veneta, famiglia bene e abiti alla moda, finisce in un bordello di Katmandu? Per capirlo bisogna partire dal programma di scambio che ho fatto a 17 anni, andando a studiare nella Repubblica Sudafricana. Sono a Cape Town nel salotto di Melody, la mia vicemamma. Squilla il telefono: due falsi genitori hanno rapito quattro bambini nella scuola di Noah, suo figlio. Ci precipitiamo a prendere il piccolo e vediamo lo strazio delle mamme e dei papà a cui hanno rubato i piccoli. Un mese dopo, in una libreria, un uomo cerca di portare via Noah dal passeggino. Lì capisco che c'è tutto un mondo sommerso che non conosciamo, perché nessuno ne parla. Torno in Italia che ho già fatto la mia scelta: voglio lavorare sulla tratta dei minori. Decido di andare a vivere a L'Aja dopo il liceo e mi iscrivo a diritto internazionale. Ma studiare non mi basta: entro in contatto con Chhori (in nepalese vuol dire sorella), un'associazione di ragazze che salvano le bambine dai bordelli illegali e le aiutano a costruirsi un futuro attraverso il lavoro. Pochi mesi dopo sono su un volo per il Nepal. «Il viaggio te lo regaliamo noi per Natale», mi dicono i miei genitori. Mia madre decide di seguirmi: è medico, come mio padre e mio nonno. Di sicuro sarà d'aiuto.
Al primo colloquio svengo
A Katmandu ci aspettano 20 bambine, tra gli 8 e i 20 anni, tutte salvate dai bordelli della capitale. Alcune obbligate a prostituirsi fino al nono mese di gravidanza. Ci raccontano storie orribili e tutte uguali. «Sono rimasta orfana. Dovevo mantenere i miei fratellini e un'amica mi ha portato al bar», racconta Suri. «Mi hanno dato delle caramelle, mi hanno detto: «Devi essere carina». Io non sapevo niente di uomini». A sentire quelle parole sono svenuta.
A darmi l'angoscia il pensiero di come tirare fuori le ragazze dalla fogna. Da soli non si fanno le rivoluzioni, ma ognuno può dare il proprio contributo. Una sera mi convocano le responsabili dell'associazione: «Annachiara, devi andare là. A un'occidentale nessuno chiede niente. Per fermare i trafficanti servono le prove di quello che fanno. E, se ci riesci, parla con qualche ragazza per stabilire un contatto».
È pericoloso: ci penso e ci ripenso
Poi decido. Ho appuntamento fuori dalla città con un intermediario. Prendo l'autobus, poi un altro e infine un altro ancora. Dopo un'ora lascio Katmandu immersa nel buio e arrivo in un sobborgo. Per strada solo uomini ubriachi. Mi trovo davanti a un edificio in cemento armato. Solo un'insegna al neon. Mi faccio coraggio e scendo. Inizia una notte che non finisce mai, la più lunga della mia vita. Un inferno di violenza, alcol, droga, indifferenza. Filmo quello che posso. E, nei bagni, aggancio due piccole vittime. Loro capiscono al volo, forse perché non aspettano altro.
Nei giorni successivi le vedrò arrivare timide e impaurite all'associazione. Non vogliono più tornare a casa: a Choori non ti offrono solo aiuto, ma anche un'alternativa. Perché se le togli dal bordello ma non le supporti dopo, le ragazze ci ricascheranno.
L'urgenza mi riempie
Le cose se le leggi sui giornali non fanno effetto, ma dopo Katmandu sento crescere l'urgenza di fare cose pratiche. Così nei mesi successivi nasce Protection4Kids, un'organizzazione non governativa che lavora sulle piattaforme internet. La sfida più grande del nostro tempo è mettere le mani nel marcio del web dove si compra e si vende l'innocenza dei bambini. Perché oggi la vendita dei minori corre on line.
Ripartire dal volersi bene
Alle ragazzine del Nepal pettinavo i capelli, sistemavo le mani: essere belle per sé non è vanità, ma un primo modo per volersi bene. Ora costruiremo una casa per bambine violate in Colombia, e torneremo a Katmandu da Chhori.
A volte di notte chiudo gli occhi e rivedo le luci di quei locali, i neon, i divanetti sporchi. E ancora quella polvere, fin dentro le narici.
Quella polvere che mi ha fatto muovere, quella sensazione che mi ha fatto imboccare con decisione la mia strada. Quella polvere, in quella notte col batticuore che mi è sembrata incredibile e infinita, io oggi la devo ringraziare.
Elena Filini



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