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Kaleîdos

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Numero 4 del 2020

Titolo: «Così mio marito ha tentato di bruciarmi viva»

Autore: Linda Marino


Articolo:
(da «Donna Moderna» n. 9 del 2020)
Dopo gli ultimi femminicidi (6 donne in una settimana), il premier Conte ha promesso di inasprire le pene previste dal Codice rosso a tutela di chi subisce violenza. Come Maria Antonietta, 42enne di Reggio Calabria, che un anno fa è stata aggredita dal coniuge e ancora oggi è in ospedale. Qui racconta il suo dramma
Mi chiamo Maria Antonietta Rositani, ho 42 anni, e sono ricoverata al reparto grandi ustioni del Policlinico di Bari da quasi un anno: ho perso il conto degli interventi chirurgici a cui sono stata sottoposta, ancora oggi non posso alzarmi e non riesco a muovermi. Il 50% del mio corpo è stato ustionato. Se riesco a raccontare la mia storia, se non mi lascio andare, se lotto contro il dolore fisico, è perché voglio tornare a casa dai miei figli di 11 e 21 anni. Bisogna darsi uno scopo, una ragione di vita, quando qualcuno ha cercato di strappartela per sempre. La mia sono loro.
Anche se in ospedale ho perso la cognizione del tempo, ricordo ogni istante del giorno in cui sono stata aggredita. È l'alba del 12 marzo 2019, sono nel dormiveglia quando il telefono di casa all'improvviso squilla. Mi precipito a rispondere: dall'altra parte sento una voce camuffata che biascica frasi incomprensibili. Chiudo la chiamata, cerco di tornare a dormire. Dopo qualche minuto parte la suoneria del cellulare, rispondo e riconosco la voce: è mio marito Ciro Russo. Mi insulta, mi offende, va giù pesante. Non ho sue notizie dal 5 gennaio, dall'ultima volta che mi ha riempita di botte e, finalmente, è stato arrestato: ci ho messo 20 anni per denunciare le sue violenze, le ho sempre subite, senza mai parlarne a nessuno. Mi vesto, aspetto che i miei 2 figli si sveglino e alle 8 li porto a scuola insieme al nostro cagnolino. All'uscita squilla di nuovo il cellulare, questa volta è mio padre: «Maria Antonietta, Ciro è evaso dai domiciliari». Vengo a sapere che è scappato nella notte dal suo paese, Ercolano in provincia di Napoli, e molto probabilmente è già a pochi minuti da me, a Reggio Calabria, la mia città. Chiamo l'avvocato, mi dice di andare immediatamente dai carabinieri. Non faccio in tempo: un'auto viene addosso alla mia, dal lato guidatore. Capisco subito che è lui. Prendo il cellulare per chiedere aiuto, so cosa vuole fare, mi ha minacciata di morte migliaia di volte, questa ci tenterà davvero. Il telefono mi cade dalle mani mentre vedo mio marito scendere dall'auto con un volto impossibile da dimenticare: è lucido, è carico di odio, è inarrestabile. Cosparge la mia macchina di benzina, apre lo sportello del lato passeggero e appicca il fuoco. Non so come riesco a uscire dall'abitacolo. Lui mi butta addosso il carburante che gli è rimasto nella tanica, ho i vestiti inzuppati, sento un odore fortissimo. Dice: «Muori!». In un attimo sono avvolta dalle fiamme, cerco di correre più che posso, voglio andare dai miei figli, penso solo a loro: percorro appena qualche metro e mi butto dentro una pozzanghera per spegnere il fuoco, provo a spogliarmi degli abiti che mi bruciano addosso mentre lui scappa. Vengo soccorsa da alcuni passanti, nella confusione e nello shock chiedo notizie del cagnolino a cui mio figlio è tanto affezionato, «Dov'è, dov'è?». Me lo portano pieno di ustioni: morirà il giorno dopo, quando arrestano anche mio marito. Lo trovano poco lontano dal centro di Reggio, che mangia un trancio di pizza.
Io e Ciro c'eravamo incontrati nel 1997, frequentava la Scuola allievi carabinieri della mia città. Durante i primi mesi di fidanzamento era molto premuroso, ma la felicità è durata poco: abbiamo iniziato a litigare per qualsiasi motivo. Non ci ha messo molto a passare dalla violenza verbale alle mani, però 2 anni dopo l'ho sposato lo stesso, firmando la mia condanna. «Cambierà» mi ripetevo come un mantra. Ma è il film che si ripeteva: a casa perdeva il controllo, alzava la voce, mi insultava. Poi mi chiedeva scusa promettendo di non farlo più. Abitavamo a casa di mia nonna, e nemmeno davanti a lei si tirava indietro quando c'era da litigare. Lei non vedeva, per fortuna, quello che accadeva in camera nostra: non sapeva dei pugni in faccia, degli schiaffi, dei calci. Mascheravo i lividi come potevo. Nemmeno l'arrivo dei nostri figli l'ha cambiato. Ero brava a soffrire in silenzio: incassavo i colpi e non urlavo. Mi davo una sistemata e tornavo ai miei doveri. «Se chiedi aiuto, ammazzo te e i tuoi genitori» minacciava.
Il 20 dicembre 2018, per la prima volta, ho trovato il coraggio di denunciarlo, dopo che aveva picchiato mia figlia facendola sanguinare. La mia dichiarazione è rimasta, però, nel cassetto della caserma. Il 5 gennaio mi ha percossa senza sosta dalla sera alla mattina dopo. Con la scusa di andare a fare la spesa, mia figlia è corsa fuori a chiamare aiuto. Ciro viene finalmente arrestato e io accompagnata al pronto soccorso. Qualche giorno dopo, riottiene la libertà con il divieto di avvicinarsi a me e ai miei cari: non riesce a starci lontano, e scattano così i domiciliari. Non bastano nemmeno quelli a fermare la sua furia. Evade, mi cosparge di benzina, accende il fuoco. Tra pochi giorni, il 24 febbraio, si terrà l'udienza del processo che lo vede imputato per tentato omicidio.
I numeri di una emergenza nazionale
I casi di femminicidio in Italia sono diminuiti negli ultimi anni, ma il dato non deve trarre in inganno: è ancora un'emergenza nazionale. Nel 2019 sono stati 103, contro i 135 del 2018 e i 131 del 2017. A fine gennaio, in una settimana, sono state uccise 6 donne, da Nord a Sud, per mano dei loro compagni. L'ultimo rapporto Eures su «Femminicidio e violenza di genere» ha messo in evidenza come quello familiare sia l'ambiente dove viene commessa la maggior parte di questi reati. Sul piano legislativo è stato fatto molto, dalla legge sullo stalking del 2009 al Codice rosso, l'insieme di norme che danno maggiore tutela alle donne abusate, dello scorso luglio.
Ma ci vuole ancora di più per affrontare l'emergenza, come hanno sottolineato il premier Giuseppe Conte (che ha promesso di rendere il Codice ancora più efficace) e la ministra della Famiglia Elena Bonetti (che ha proposto «una task force, città per città, che metta in rete pronto soccorso, sanità, forze dell'ordine, giustizia e accoglienza»).
Linda Marino



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