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Kaleîdos

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Numero 4 del 2020

Titolo: Papà, un mese a casa col bebè. Aiuta la parità?

Autore: A cura di Gaia Giorgetti


Articolo:
(da «F» n. 7 del 2020)
Anche i maschi andranno in congedo. Così dice la proposta di legge che prevede 30 giorni di permesso obbligatorio per prendersi cura del proprio figlio, come accade già in altri Paesi. La nuova norma diventerà realtà nel 2021. Sarà un primo passo per raggiungere l'uguaglianza?
È un buon risultato, ma i datori di lavoro faranno problemi
Chiara Saraceno
Sociologa, è una delle massime esperte italiane di famiglia e diritti delle donne
«È una riforma importante, soprattutto da un punto di vista culturale, però non risolve il problema dell'occupazione femminile: saranno comunque le donne a passare il maggior tempo con i figli. In ogni caso, condividere il congedo tra genitori è utile ai padri, che dovrebbero avere non solo il dovere, ma il diritto di poter stare con i figli».
D. Qual è la situazione oggi in Italia?
R. La madre ha diritto a stare a casa due mesi prima e tre mesi dopo il parto, percependo 1'80 per cento della busta paga. Il congedo obbligatorio del padre, invece, è di soli sette giorni. Su questo punto, l'Italia è indietro: siamo passati da zero a sette giorni, restando comunque distanti dal raggiungimento del tetto minimo di 10 giorni indicato dalla Commissione europea per tutti i Paesi membri dell'Unione. Poi ci sono i congedi facoltativi, quelli con la retribuzione ridotta al 30 per cento: i padri non lo prendono quasi mai, perché di solito sono loro a portare a casa lo stipendio più alto. Davanti a un quadro del genere, questo disegno di legge segna un passo in avanti importante. Credo, però, che incontrerà molte ostilità.
D. Chi è contrario?
R. I datori di lavoro. Il pensiero comune è che siano le madri a dover accudire i figli. Un uomo che sta a casa per prendersi cura del figlio è visto come una persona poco attaccata al lavoro.

La cura dei figli va condivisa. Oggi pesa ancora solo sulle donne
Francesca Puglisi
Sottosegretario al Lavoro e alle Politiche Sociali, è relatrice della proposta di legge sul congedo di paternità.
«È la prima mossa per una rivoluzione culturale che l'Italia deve compiere per risolvere i problemi dell'occupazione femminile e favorire la parità: introduce il criterio di condivisione, obbligando i padri a stare a casa. La cura dei figli pesa sempre e solo sulle donne».
D. Com'è la situazione oggi?
R. Le donne guadagnano meno e sono in aumento quelle che abbandonano il lavoro dopo la maternità. Un dato preoccupante, non solo perché meno occupazione femminile significa spreco di capitale umano, ma perché una donna che rinuncia al lavoro avrà più incertezze, un futuro pensionistico povero e, soprattutto, perde la libertà, condizione che la rende più vulnerabile anche alla violenza domestica.
D. Che cosa prevede il disegno di legge?
R. Abbiamo preso come esempio la Spagna, che ha adottato un unico congedo parentale obbligatorio retribuito all'80 per cento da condividere tra padre e madre, con una quota (il 20 per cento) che una donna non può trasferire all'altro genitore. Seguendo questo parametro, abbiamo stabilito in un mese il periodo di paternità obbligatoria, calcolando appunto il 20 per cento dei cinque mesi previsti nel congedo italiano di maternità.
D. Costi e tempi della riforma?
R Costerà circa 350 milioni di euro l'anno, in parte finanziati da fondi europei. Puntiamo a inserirla nella Legge di Bilancio 2021.
A cura di Gaia Giorgetti



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