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Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Corriere dei Ciechi

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Numero 3 del 2020

Titolo: ATTUALITÀ- XII Meeting dei lettori di "Kaleîdos"

Autore: Luisa Bartolucci


Articolo:
Anche quest'anno la Commissione nazionale Pari Opportunità dell'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ONLUS APS, in collaborazione con Slash radio web, ha organizzato, in vista della giornata Internazionale dei Diritti delle donne il consueto Meeting Online dei Lettori di Kaleîdos, giunto alla sua XII edizione. Questa volta si è scelto di affrontare più temi, di soffermarsi su più aspetti della vita delle donne. Prendendo le mosse dal Centenario della nostra associazione, attraverso le testimonianze della dott.ssa Sorina Romano, della referente della Commissione Nazionale pari Opportunità Erica Monteneri e di Mena Mascia si è offerto agli ascoltatori un panorama delle condizioni di vita e delle aspirazioni e dell'emancipazione della donna cieca ed ipovedente ieri ed oggi. Ci si è quindi soffermati sui diritti delle donne disabili insieme alla giornalista Simona Lancioni di Superando.it; la ricercatrice in demografia presso l’Università di Firenze Alessandra Minello, con estrema perizia ha spiegato le ragioni per le quali, nel nostro Paese, le donne sono ancora discriminate, evidenziando problemi legati al gap salariale, alla difficoltà di sfondare il soffitto di cristallo, evidenziando anche il tema della conciliazione tra carriera e ruoli di cura. Ha detto tra l'altro la dott.ssa Minello ai microfoni di Slash radio web: "Quando si parla di condizioni di vita delle donne, si può farlo guardando la situazione secondo un'ottica relativa, o concentrando l'attenzione solo sul nostro paese. In un'ottica relativa qualcuno potrebbe anche dirci che vi sono stati in cui le condizioni di vita sono sicuramente peggiori. Guardando nel dettaglio il nostro paese, però, possiamo dire con certezza che vi sono ancora numerosi ambiti in cui le donne sono discriminate, si pensi alla posizione lavorativa, alla partecipazione femminile al mercato del lavoro, che è uno degli indicatori classici, che si utilizzano in genere per cogliere e valutare la condizione femminile. Sappiamo che l'Italia è penultima in Europa per partecipazione femminile al mercato del lavoro. Dopo di noi c'è soltanto la Grecia. Considerate che solo una donna su due tra le donne in età attiva, che va dai 15 ai 64 anni, partecipa oggi al mercato del lavoro. Sicuramente l'aspetto lavoro è cruciale per definire questo tipo di condizione femminile. Parlare di lavoro, però, significa esaminare tante cose, vuol dire occuparsi di conciliazione, ossia di quanto è possibile in Italia oggi riuscire a conciliare lavoro, famiglia e ruoli di cura; significa evidenziare l'esistenza di un gap salariale, vuol dire guardare cosa accade alle donne nel momento in cui lasciano il mercato del lavoro e lo abbandonano ancor oggi, troppo spesso, volontariamente, all'arrivo di un figlio. Il primo macrotema è indubbiamente quello del lavoro, il secondo riguarda il genere, i ruoli di genere all'interno della famiglia, quanto ancora le donne sono viste esclusivamente come mogli, come angeli del focolare, ancora dedite principalmente alla cura. Poi vi è da prendere in considerazione tutta la tematica relativa alla violenza contro le donne, in cui nel nostro Paese, ancora, non si è fatto a sufficienza.
È evidente una persistente segregazione verticale, vale a dire è difficile per le donne raggiungere posizioni apicali, oltre ad essere presente un limite orizzontale, ossia le donne sono segregate anche nella scelta del tipo di carriera. Non penso sia sorprendente se dico che gli ambiti in cui le donne sono maggiormente presenti sono quelli, in media, con la minor retribuzione. Sussistono difficoltà per le donne, che oggi non riescono a sfondare il famoso soffitto di cristallo, esistono ancora limiti culturali, che sono dati dalla fatica che si fa ad accettare questo doppio ruolo di presenza nel mondo del lavoro e presenza di accudimento, dunque lavoro di cura; non vanno poi trascurati i limiti strutturali, si pensi alla limitata diffusione degli asili nido, allo scarso sostegno alla maternità, tutti vincoli e ostacoli che impediscono alla donna di partecipare al mercato del lavoro in maniera attiva e libera, se vogliamo, anche per gli orari, aspetto fondamentale, soprattutto quando l'obiettivo che ci si prefigge è la scalata verso l'apice lavorativo. Limiti culturali e strutturali, dunque, permangono ancora nella nostra società".
Di violenza di genere abbiamo parlato con il Giudice Melita Cavallo, insieme alla quale ci siamo soffermati sul suo ultimo lavoro "Solo perché donna: dal delitto d'onore al femminicidio" edito da Mursia.
I delitti commessi contro le donne riempiono le pagine dei giornali quasi tutti i giorni. Sono storie di fidanzate maltrattate, di mogli picchiate da anni e poi uccise da ex mariti violenti e possessivi, di figli che si ritrovano all’improvviso a superare le difficoltà della vita senza un genitore e un punto di riferimento. Melita Cavallo, forte della sua lunga esperienza in materia, si serve di vicende realmente accadute per descrivere tutti gli aspetti giuridici connessi: dal delitto d’onore al femminicidio, dal sistema di prevenzione e protezione contro la violenza di genere in Italia alla genesi e all’attività dei centri antiviolenza in favore delle donne che chiedono aiuto per sottrarsi alla prepotenza del marito o del compagno, fino alle forme di tutela che riceve il soggetto minorenne rimasto orfano della madre ad opera del padre.
Un’indagine a tutto campo che fa luce su tutte le forme di violenza sul sesso femminile, una delle piaghe più vergognose e diffuse nella nostra società, in cui le donne, solo perché donne, non si sentono del tutto sicure e protette di fronte a un uomo prevaricatore e violento che agisce e si nasconde molto spesso tra le mura domestiche.
Melita Cavallo è stata Presidente del Tribunale per i minori di Roma, e giudice minorile a Milano e a Napoli. È stata Presidente della Commissione per le Adozioni Internazionali, Capo del Dipartimento per la Giustizia minorile, Presidente dell’Associazione Italiana dei Magistrati minorili e Presidente della sezione Italia di GEMME (Groupement Européen des Magistrats pour la Médiation). Ha ricevuto il Prix Femmes d’Europe 1995 dal Parlamento europeo e la Légion d’Honneur nel 2012. Ha pubblicato saggi su tematiche familiari e minorili, e partecipa come docente a corsi universitari di specializzazione. È giudice della trasmissione televisiva Forum in onda sui canali Mediaset.
Durante il XII Meeting Online dei lettori di Kaleîdos le abbiamo rivolto alcune domande sul suo interessante scritto:

Giudice, da cosa nasce il bisogno di scrivere questo libro?
Sicuramente aver operato in difesa di molti bambini e di numerose donne violentemente maltrattate per anni senza che comprendessero il pericolo in cui si stavano trovando sono state le molle che mi hanno spinta a scrivere questo libro. L'ascolto di queste donne e di questi bambini mi hanno portata a compiere una riflessione molto approfondita su questo argomento, che ho cercato di affrontare in un'ottica di sistema, giacché, essendo io un giudice minorile, ho avuto modo di lavorare insieme agli psicologi, con i pediatri e gli psichiatri; ho, pertanto, voluto trattare questo tema sotto differenti profili, non soltanto quello giuridico, quindi, ma altresì quello psicologico, culturale e sociale. Sono partita dalla prevenzione, dalla protezione, sino a giungere alla punizione e deterrenza penale. Mi sono decisa a scrivere questo libro auspicando che esso possa avere un effetto benefico sulla società, in termini di sensibilizzazione alla tematica, nonché di acquisizione di una reale consapevolezza relativamente al rischio che corre una donna che vive in una situazione di violenza. Ciò riguarda e deve riguardare anche tutti noi, chiunque viva in un condominio, in un contesto sociale allargato; tutti ci rendiamo conto molto spesso che una donna è maltrattata: vediamo i lividi, o notiamo che vi sono bambini ipercinetici o che hanno dei problemi. Abbiamo modo di divenire consapevoli del maltrattamento e di quanto avviene in una determinata famiglia e dobbiamo segnalare, è necessario parlare con queste donne tentando di farle uscire allo scoperto.

Quanto invece vi è la tendenza a non segnalare, a voltarsi dall'altra parte, temendo di essere coinvolti in qualcosa più grande di noi?
È bene ricordarsi che è possibile effettuare denuncia in anonimato molto circostanziata, però possiamo anche fare il nostro dovere di cittadini, fornendo il nostro nome, poiché lo stesso non viene evidenziato nella denuncia. Tutti dobbiamo poter segnalare, denunciare. Non è possibile che io senta tonfi, grida di bambini, o di donne e chiuda le finestre e la porta. Dobbiamo tutti uscire allo scoperto ed aiutare queste donne. Anche questo è il fine che con lo scritto mi propongo, rendere consapevoli le donne che vivono felicemente, con un marito che le rispetta, della necessità di soccorrere quelle donne che invece non vengono rispettate e sono maltrattate gravemente sino a perdere la vita per mano di un uomo che asseriva di amarle.

Nel libro sono riportate alcune storie di donne, dalle quali emerge, tra l'altro, la difficoltà che le maltrattate hanno nell'essere credute anche quando si rivolgono alle autorità...
Ciò è avvenuto quasi sistematicamente negli anni Settanta, Ottanta e Novanta. Gli agenti di polizia, soprattutto i Carabinieri, facevano da pacieri, consideravano la loro una sorta di mediazione. Era fondamentale far capire a costoro e spiegare che non dovevano mediare, bensì accogliere la denuncia e segnalare a chi di dovere, alla Procura. Con il nuovo millennio qualcosa è andato migliorando, non sempre però, tanto è vero che nel libro faccio riferimento ad un caso verificatosi in Sicilia, in cui i figli quattordicenni, quindicenni, sedicenni, sono andati a denunciare più volte e non è stato fatto nulla. Dunque ancora avviene. Con l'ultima legge, il cosiddetto codice rosso, lo stato si è impegnato anche nella formazione di quanti sono preposti ad accogliere denunzie. Formazione ed informazione, riduzione dei tempi necessari per inviare una denuncia alla Procura. Io ritengo che il problema si giochi proprio sulla formazione culturale, si giuoca nella scuola, in quanto viene pubblicato quotidianamente sui giornali: quindi la società deve prestare maggiore attenzione a questo fenomeno e i bambini debbono essere, nella propria famiglia, e all'interno delle scuole, educati alla non discriminazione, alla mancanza di pregiudizi, all'accoglienza, al rispetto delle bambine prima, delle ragazze e donne poi, che non debbono più essere viste come relegate in un ruolo che conferisce loro attributi particolari. Ad esempio, in una scuola è avvenuto che una ragazza ha vinto una partita di calcio, e sulla lavagna è stato scritto: "tu hai dato due calci ad un pallone, credi di aver vinto, ma noi ti possiamo riempire di calci in...". Naturalmente l'insegnante è entrata in classe e si è limitata a dire a colui che sedeva al primo banco, di cancellare quanto era scritto alla lavagna. Non ha detto nulla, mentre quella sarebbe stata l'occasione propizia per tenere una lezione sulla violenza di genere. Oggi un'insegnante deve anche saper spiegare ai propri allievi in cosa consista e deve essere in grado di combatterla.

Il libro sollecita l'intervento delle principali agenzie formative e di socializzazione: la famiglia e la scuola...
La famiglia è la prima agenzia, quella che ha il compito di educare il figlio maschio e la figlia femmina e deve educarli al rispetto l'uno dell'altra; purtroppo ciò non sempre avviene, poiché soprattutto in taluni contesti meno acculturati, ma forse anche in quelli acculturati, la donna, così come la ragazzina viene sempre vista in un ruolo quasi "servente" del maschio, è lei e solo lei che disbriga le faccende domestiche, che prepara a volte le pietanze, mentre il maschio si reca al lavoro, studia e fa il massimo che può fare. La famiglia deve educare al rispetto dell'altro sesso, nonché alla libertà di maschi e femmine di ambire ad un certo lavoro, di seguire gli studi verso i quali si sentono maggiormente portati e predisposti. Sappiamo quanto oggi la famiglia sia differente da quella di un tempo, proiettati come sono i suoi membri verso il lavoro, la carriera e non potendo sempre garantire forme di continuità educativa, che vengono delegate, ad esempio, alla scuola. Vi sono circostanze in cui la famiglia può risultare assente e rischia, pertanto, di perdere valore per i ragazzi o laddove è presente, finisce per non proporsi quale agenzia educativa, lasciando troppo spazio ad esempio alla televisione, al cellulare, ai social. Vi sono dunque oggi suggestioni e meccanismi tra i più vari che attirano molto i giovani. La scuola, dal canto proprio, dovrebbe fare molto di più rispetto al passato, visto che la famiglia si dimostra molto delegante, se non assente, quando non è addirittura anaffettiva. La scuola potrebbe e dovrebbe; va da sé che andrebbe in tal senso incentivata: gli insegnanti dovrebbero ricevere una adeguata formazione, già nel loro curriculum universitario, necessiterebbero di nozioni anche di carattere psicologico, poiché i ragazzi non di rado oggi sono problematici, talvolta depressi, in altri casi con difficoltà a concentrarsi; spesso gli allievi portano in classe il disagio che si trovano a vivere in famiglia. L'insegnante può essere, come no, portata... invece prima di tutto dovrebbe poter decodificare il problema del suo alunno e quando non può dare risposte, sarebbe suo compito informare i servizi sociali e/o sociosanitari. Molto spesso mi si dice che non possono farlo, che segnalano al dirigente scolastico il caso e si sentono rispondere di lasciar perdere poiché la scuola potrebbe perdere di credibilità nel contesto scolastico allargato. Di recente si è verificato un caso estremamente pesante, in cui le insegnanti asseriscono di aver reiteratamente segnalato alla dirigente scolastica il caso di due bambini... ciò non toglie, comunque, che il docente qualora il dirigente scolastico non dovesse attivarsi, ha il dovere di segnalare o denunciare alle autorità competenti, visto che è comunque un pubblico ufficiale. La segnalazione è necessaria onde evitare disastri o tragedie, come in un recente passato, in cui un bambino ha perso la vita, è stato trovato morto sul divano di casa, mentre alla sorellina avevano addirittura staccato il lobo dell'orecchio. Come può un'insegnante rimanere inattiva allorquando vede segni chiari di violenza e maltrattamenti sui propri allievi... ciò fa puntare il dito contro la scuola, anche se ci sono numerosissimi insegnanti estremamente capaci e sensibili, i quali sanno tenere la classe, non solo sotto il profilo della disciplina, ma sono in grado di aiutare il ragazzo e guidarlo sia verso una appropriata formazione che condurlo all'età adulta. Questi insegnanti vi sono, ma rischiano di divenire sempre più perle rare.

Sembra ancora estremamente difficile arginare il fenomeno della violenza di genere, dei femminicidi...
Ritengo che gli uomini che agiscono con violenza si portino molto dietro dell'educazione familiare ricevuta. Oggi gli uomini, più di prima io credo, non sanno reggere la frustrazione, poiché molto probabilmente quando erano bambini hanno avuto una madre che non li ha mai aiutati a superare una situazione di difficoltà, come ad esempio una bocciatura, o il rifiuto di una coetanea di quindici sedici anni che magari gli dice di non volerlo perché è brutto. I figli debbono essere aiutati dai propri genitori, dalle mamme in particolare, a superare situazioni che li hanno lasciati cadere in depressione, o che hanno fatto nascere un senso di profonda frustrazione, poiché questa ultima se la porteranno dentro negli anni. Un uomo vive con una donna, con la quale sta ed è stato bene, si sono amati. Ad un tratto accade qualcosa e la donna desidera riappropriarsi della sua libertà, perché si rende conto di non andare più d'accordo con il proprio partner, per una serie di motivi, può esservi stato anche un atto di violenza; lei dice questo in passato non è mai accaduto, non va bene... L'uomo, che neanche da bambino ha saputo mai superare questo senso di frustrazione, quella che provoca la decisione di una donna che dice di non voler stare, o rimanere più con lui e con fermezza dice che se ne andrà... Un uomo simile non è capace di accettare tutto ciò... se costui ha in sé una dose di violenza, perché l'ha vissuta in famiglia, o perché l'ha vista agire, o è insita in lui una violenza repressa, può verificarsi che un tale soggetto non disponga degli strumenti per vincere la propria frustrazione, ma che invece abbia dentro di sé rabbia, violenza, e non riesca ad accettare che l'oggetto di possesso, ossia la donna, che egli sente come proprio possesso, venga perso, perde se stesso. Così facendo afferra la prima cosa che si trova a portata o, detenendo per lavoro una pistola, impugna la pistola e spara, o prende un coltello e uccide la moglie, la fidanzata o l'ex convivente, colei con la quale ha avuto un rapporto sentimentale, che ha creduto fosse amore, ma che, evidentemente, amore non era.

Nella sua trattazione lei prende le mosse dal delitto d'onore, rimasto in vigore nel nostro Paese sino al 1981 e lo rapporta con quanto vivono, nella nostra realtà giovani donne di religione islamica...
Sì, vi è una grande difficoltà... specialmente le giovanissime, che sono nate in Italia che si sentono cittadine del nostro Paese, che desiderano vestirsi e vivere all'occidentale, si innamorano e desiderano convivere con ragazzi italiani, perché si sentono italiane; questo non viene compreso e ancor meno accettato dai loro genitori, in particolar modo dal padre, ma anche dalle madri, poiché nel loro paese di origine non avrebbero potuto agire e muoversi in questo modo, indosserebbero il velo, avrebbero rispetto dell'autorità genitoriale... Io riporto alcuni casi accaduti nel nostro Paese, come quello di una giovane ragazza atrocemente assassinata da un padre che asseriva di amare la figlia, rea di aver trasgredito i dettami della loro religione. In molti di questi delitti vi è proprio questa connotazione religiosa. Gli avvocati della difesa evidenziano come nel Paese di origine dei loro clienti un simile omicidio troverebbe tante di quelle giustificazioni che farebbero sì che un simile uomo venga assolto. Ciò non può e non deve in alcun modo accadere nel nostro paese, poiché se questo assassinio, questo femminicidio avviene in Italia, deve essere applicata la legge vigente nel nostro stato e pertanto l'artefice dello stesso è perseguibile. Relativamente alle attenuanti, è accaduto che qualche avvocato sia riuscito a farne avere ai propri assistiti. Ma i casi sono piuttosto limitati. Chi commette un reato nel nostro Paese riceve una risposta giudiziaria commisurata a quanto previsto dal nostro codice penale.

Nel libro lei racconta anche di aver rintracciato dei bambini, ora adulti, del cui caso si era occupata molti anni fa...
Sì, concludo il libro con una storia che ho vissuto quando ero ragazza. Mi trovai di fronte a questi quattro ragazzini... è una vicenda che mi è rimasta sempre nel cuore. Da tanti anni avevo la curiosità di sapere come si fosse evoluto il loro caso, che vita conducessero... Mi domandavo, chissà se abbiamo fatto bene, se il tribunale ha fatto bene a collocarli separatamente. Non mi è stato facile, ma sono riuscita a rintracciarli. Ho saputo che tre sono sposati, sistemati, una è addirittura già nonna, solo un ragazzo non si è ancora sposato, ma sta bene, ha un ottimo lavoro. Loro quattro, poi, grazie ad una trasmissione televisiva alla quale il fratello più grande, quasi maggiorenne e affidato al nonno, si era rivolto, si sono reincontrati e si sono riuniti. Io concludo con questa storia alla quale ho voluto dare il titolo "Un finale rassicurante", perché alcuni degli orfani della violenza sono naturalmente affidati ai nonni, vivono momenti di grande sofferenza, hanno ricordi dolorosi, trascorrono notti insonni e quindi ho voluto inserirla in questo volume per rafforzare nei nonni il pensiero che con il passare del tempo si superano anche queste memorie terribili che lacerano questi bambini e che i loro nipoti potranno avere un futuro e un destino rasserenante. Io penso che l'amore che gli affidatari danno a questi bambini che hanno perso la mamma in circostanze terribili e che talvolta hanno persino assistito al suo assassinio e che hanno avuto un padre che ha ricevuto la risposta giudiziaria confacente al delitto commesso, sia fondamentale, importante per la loro crescita. Questi bambini sì è vero sono rimasti soli, tuttavia crescendo insieme a persone che li amano, che li tutelano, che fanno loro sentire tenerezza ed affetto, potranno avere una vita piena di amore, soddisfazione e tenerezza verso i rispettivi compagni ed i loro figli.

Giudice, un'ultima domanda: dal suo punto di vista, la legislazione oggi in vigore è sufficiente e potrà se non sconfiggere le forme di violenza ed i reati ad esse connessi, almeno arginarli, o ancora manca qualcosa?
Sconfiggere sarà difficile, giacché solo la cultura che cambia potrà giocare un ruolo importante, dunque, famiglia e scuola, scuola soprattutto. Dobbiamo dire, però, che negli ultimi tempi il legislatore ha messo in campo alcune normative che possono aiutare, soprattutto prevenzione e protezione, formazione dei vari soggetti chiamati ad intervenire, pool specializzati, come giudici che trattano questa materia, formazione rivolta ai carabinieri, alla polizia, supporto alle persone condannate, affinché comprendano pienamente la portata del misfatto commesso, aiuto alle donne per uscire dalla condizione di donne maltrattate, ausili per i loro figli. Sono stati messi in campo finanziamenti anche per i centri antiviolenza, per le case rifugio, anche se ancora non è partito precisamente niente... sono stati previsti investimenti per l'aiuto psicologico ai bambini, vi è stato il Codice rosso... sono state messe in campo e previste misure che se adeguatamente applicate e rafforzate potranno contribuire a migliorare l'attuale situazione. Ma il vero cambiamento dovrà essere di ordine culturale. Ciò che io desidero segnalare per i giovani è quanto segue: il salto culturale non va sottovalutato; oggi, molto spesso, le persone si mettono insieme senza pensarci molto, c'è amore, ci si fidanza o sposa poi, magari perché l'amore risulta effimero, o perché si è stati un po' superficiali, ci si rende conto di aver sbagliato. Questo accade spesso quando vi è un salto culturale nella coppia, la donna desidera vivere la sua libertà, mettere in campo nell'ambito lavorativo la sua laurea, mentre l'altro, magari, se è persona che non ha studiato, ad esempio, non accetta che questa donna esca dai canoni che lui si aspetta e che invece voglia raggiungere le vette che si è prefissata. Riporto nel libro un passaggio di un pubblico Ministero che segnala proprio questo salto, questa differenza di obiettivi di spendita del futuro, quale causa che ha portato l'uomo ad uccidere la donna in presenza dei figli, mentre usciva dalla porta di casa. Quando mi reco nelle scuole o nelle università a parlare con i ragazzi, lo sottolineo: attenzione ai segnali di violenza premonitori, piccoli segnali, quando siete insieme, uno schiaffo perché la donna si volta al complimento di un ragazzo, può apparire una sciocchezza, ma quello è un primo piccolo segnale che poi, purtroppo, potrebbe irrobustirsi con il tempo. Pongo anche l'accento sul salto culturale: le persone che si amano tra loro non parlano solo di baci e carezze o d'amore, ma anche di problemi attuali, di politica, della società e se l'altro non è capace di parlare proprio di nulla... avverrà che prima o poi la donna vorrà spiccare il volo. Naturalmente questo è un fenomeno che coinvolge e taglia tutte le classi sociali. Io ho studiato, esaminato e visto numerosissimi casi, ho potuto constatare come il salto culturale giochi davvero un ruolo di grande importanza.

Dopo l'intervento del presidente nazionale dott. Mario Barbuto, che ha evidenziato l'importanza di giungere anche nelle nostre strutture provinciali e regionali ad un reale equilibrio di rappresentanza di genere, nel corso del Meeting si è esaminata anche la figura del Disability and diversity Manager ed è stato dato spazio ai componenti della commissione nazionale pari Opportunità dell'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ONLUS APS per un breve bilancio relativo alle attività svolte. L'evento si è concluso con la partecipazione e la testimonianza di quattro bravissimi musicisti nostri soci: Anna Varriale, cantante lirica, Gemma Pedrini, violoncellista, Antonio Brunetti, che ha suonato dal vivo la fisarmonica e Silvia Zaru, cantante e pianista.
La Presidenza nazionale ha messo a disposizione un certo numero di cofanetti del concorso "Gusta e vinci" per premiare, tra gli altri, i brevi scritti di alcuni ascoltatori incentrati sull'importanza delle Pari Opportunità di genere, sul periodico "Kaleîdos" e sul significato dei nostri Meeting Online, che da dodici edizioni consentono ai lettori del periodico dal quale mutuano il nome e a quanti vogliono prendervi parte, di confrontarsi con ospiti e personalità di grande spessore e nel contempo di formarsi. Appuntamento al prossimo Meeting, il XIII, che, probabilmente, avrà luogo prima del Congresso del Centenario.



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