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Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Corriere Braille

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Numero 17 del 2020

Titolo: E... la storia continua

Autore: Vincenzo Massa


Articolo:
Quella pagina genovese, che aveva cambiato definitivamente la vita dei ciechi italiani, ora doveva iniziare a muovere i primi passi per costruire quella casa per i minorati della vista che vivevano in un paese ancora culturalmente non pronto ad accettare che anche le persone affette da cecità potessero essere «persone fra le persone in una società di tutti». Il grande valore e spessore di Aurelio Nicolodi riuscì ad aprire i primi varchi nel sistema legislativo italiano e quando il 29 luglio del 1923 arrivò il R. D. 1789, con il quale l'Unione Italiana Ciechi viene eretta ad ente morale, fu una conquista senza precedenti in una giovane nazione, che aveva lasciato sin lì alla carità e all'elemosina la sopravvivenza dei ciechi, completato con due R.D. che riordinano gli istituti di beneficenza. Il R. D. n. 2841del 30 dicembre del 1923, infatti, riforma in modo significativo 1a legge n. 6972 del 1890. In un comma aggiuntivo al testo della legge è scritto: «Possono esser dichiarati istituti scolastici posti alla dipendenza del Ministero dell'Istruzione quegli istituti a favore dei ciechi, nei quali gli scopi dell'educazione e dell'istruzione, in base alle tavole di fondazione e agli statuti, siano esclusivi o abbiano una prevalenza notevole sui fini di assistenza...». E all'art. 4 della legge è aggiunto il seguente comma: «Delle amministrazioni degli istituti, che abbiano per fine l'assistenza, l'educazione e l'istruzione dei ciechi deve far parte possibilmente un rappresentante dei ciechi stessi, nominato dal Ministero dell'Interno di concerto con quello dell'Istruzione». Il passaggio dal concetto di istituto come ricovero assistenziale a quello di ente di istruzione è avviato. La presenza di un rappresentante dell'Unione Italiana dei Ciechi nel Consiglio degli istituti costituisce una garanzia per il conseguimento delle finalità educative, essendo stato, nel congresso fiorentino del 1921, quello dell'educazione e dell'istruzione il punto primo fra quelli che Aurelio Nicolodi aveva indicato come finalità della neonata Associazione. Il primo presidente Uic completa questa prima parte del percorso legislativo sull'istruzione nel 1924 quando negli istituti per ciechi entra l'istruzione professionale e nel giugno dello stesso anno arriva il riconoscimento dell'istruzione elementare in favore della categoria e divenne un fatto acquisito che sarà confermato nel Testo Unico della legge 452 del 1925. Le Province, infatti, furono chiamate a pagare le rette agli istituti, e così una massa di indigenti, figli della povertà e dell'ignoranza, affollarono le scuole speciali per un riscatto di massa sino a quel momento ritenuto inimmaginabile. Gli istituti speciali, ricordiamo l'idea di creare la Federazione Nazionale delle Istituzioni pro ciechi il 24 febbraio 1921, furono fucina di un'elevazione culturale rilevante grazie anche ad una solida collaborazione con l'Unione Italiana Ciechi che guidava e dettava i tempi di quella nuova vita per i ciechi italiani. A conferma di questo è il caso di ricordare che a capo di questi istituti vi erano proprio gli uomini più rappresentativi dell'Uic, con Aurelio Nicolodi che presiedeva l'istituto professionale di Firenze, Augusto Romagnoli che dirigeva la scuola di Metodo per gli Educatori di Ciechi, Paolo Bentivoglio come Direttore dell'Istituto Cavazza di Bologna, Gennaro Giannini che dirigeva il Principe di Napoli nel capoluogo campano. Altri privi di vista, infine, erano alla guida degli istituti di Palermo, Lecce, Reggio Emilia. Gli istituti Cavazza e Principe di Napoli, guidati da due direttori ciechi, Bentivoglio e Giannini, preparavano e guidavano centinaia di fanciulli e di giovani verso la conquista della scuola pubblica. E grazie a questo straordinario lavoro si scriverà per la categoria, una splendida pagina di trionfi e storia per le istituzioni e gli uomini che si erano comunque impegnati nella più bella e più incisiva svolta dei tempi.
Ci sembra giusto ricordare se pur brevemente i primi passi della Federazione. Ne fu primo presidente Alessandro Graziani, che la resse fino al 1931 e ne favorì l'erezione in Ente Morale, avvenuta con R. D. n. 119 del 23 gennaio 1930. A lui succedette il professor Oreste Poggiolini, il fondatore di «Gennariello» rivista storica dedicata ai ragazzi ciechi, che ne era stato segretario e che la guidò fino all'anno della sua scomparsa nel 1938. Seguì la presidenza del dottor Aurelio Nicolodi, che significativamente ne assommò la guida a quella dell'Unione Italiana dei Ciechi, quasi a testimoniare ulteriormente l'unità di intenti e di finalità. Nel 1943 Aurelio Nicolodi delegò i suoi poteri di presidente della Federazione al professor Paolo Bentivoglio che, dal 1947 al 1950, ne fu Commissario governativo. Ma gli istituti da soli non avrebbero potuto supportare quella grande trasformazione perché il patrimonio letterario delle piccole biblioteche per ciechi, pur presenti sul territorio nazionale, era molto esiguo, quasi inesistente. L'Unione Italiana dei Ciechi e il suo Presidente fondatore, Aurelio Nicolodi, che prendendo spunto dalle esperienze delle migliori Biblioteche straniere, come la «Bibliotèque Braille» dell'Association Valentin Haüy di Parigi, fondata nel 1883 dal cieco Maurice de la Sizeranne, e la «National Library for the Blind», di Londra sorta nel 1882 per opera di Martha Arnold, anch'essa non vedente, ne volle creare una anche in Italia sotto la guida e la direzione dell'Unione Italiana Ciechi, che potesse soddisfare, per quanto possibile a quei tempi, i desideri e le necessità dei non vedenti dell'intero Paese, dando così origine a una vera e propria «Struttura» di carattere nazionale,
Il 7 aprile del 1928, si tenne a Genova presso l'Istituto «David Chiossone», in Corso Principe Amedeo, 11 - ora Corso Carlo Armellini - l'assemblea generale straordinaria della Biblioteca Circolante per i Ciechi, per trattare e discutere della fondazione in Genova della Biblioteca Nazionale. All'assemblea partecipò il Comm. Dott. Tenente Aurelio Nicolodi, Presidente dell'Unione Italiana Ciechi, il quale espose in modo dettagliato il progetto studiato dall'Unione. Esso prevedeva la creazione di un'unica grande Biblioteca di carattere nazionale, dove convogliare le collezioni librarie delle varie Biblioteche per garantire un servizio adeguato per tutti i minorati della vista. L'Assemblea a voti unanimi approvò la proposta, dando al Consiglio il più ampio mandato per predisporre, d'accordo con il Presidente dell'Unione Italiana Ciechi, lo Statuto del nuovo Ente. Il primo Consiglio d'Amministrazione della «Biblioteca Nazionale Ciechi» fu così costituito:
- Grande ufficiale Dott. Tenente Aurelio Nicolodi, Presidente;
- Marcella De Negri, Segretaria;
- Ninetta Parodi e Mary Pfister, Consiglieri.
La laurea in Economia non fece dimenticare al primo presidente Uic che era indispensabile affiancare all'istruzione il lavoro, perché non tutti i ciechi sarebbero potuti approdare alle Università e non si poteva disperdere il sacrificio di aver portato negli istituti l'indirizzo professionale che doveva servire a formare operai non vedenti specializzati. Senza dimenticare l'esperienza che aveva accumulato nell'educazione e riabilitazione dei ciechi di guerra a metà degli anni 30 fondò l'Ente Nazionale per il lavoro dei ciechi, che univa per la prima volta lavoratori non vedenti e normodotati. Nel 1934 compì un nuovo prodigio perché all'interno della legge 1844 dell'11 ottobre riuscì a far inserire all'art.4 che le amministrazioni pubbliche erano tenute a riservare una quota delle forniture pubbliche da appaltare al neonato Ente. Di questo aspetto, però, riparleremo nel prossimo numero in cui racconteremo dei ciechi e del lavoro. Una nuova fiammata di nazionalismo e di follia da lì a poco avrebbe sconvolto l'Europa e condusse il vecchio continente nel secondo conflitto mondiale. Il presidente Uic, grazie alla sua fama di eroe di guerra, era riuscito ad infondere nella categoria la necessità e l'orgoglio di servire la patria e anche per affermare di essere uguali alle altre persone, nel 1940 migliaia di non vedenti si arruolarono volontari per svolgere il compito di aerofonisti. La voglia di scrivere una pagina sociale rilevante per l'Italia non trovò, purtroppo, il riconoscimento che questi soldati aerofonisti si aspettavano al ritorno dal fronte, un posto di lavoro che confermasse la loro parità sociale. Il 25 luglio del 1943 la caduta del regime fascista faceva sentire tutti liberi ma di lì a poco, specie dopo l'armistizio dell'8 settembre, fece precipitare il paese nel dramma dell'occupazione nazista. Il 12 novembre del 1943 il Maggiore Carità, Capo delle SS italiane, convocò e minacciò Aurelio Nicolodi nelle stanze di una villa di via Trieste, poi passata alla storia come «Villa Triste», imponendogli le dimissioni da tutti gli incarichi ricoperti nelle istituzioni dei ciechi, da quel momento non era più Presidente, né dell'Unione, né dell'Ente di Lavoro. Appresa la notizia Giuseppe Fucà, che poi sarà eletto terzo presidente dell'Uic, avrebbe voluto organizzare una reazione con un gruppo di operai ma Nicolodi lo convocò con urgenza a casa sua. Ecco come Fucà racconta quell'incontro: «Fui prontamente chiamato a casa di Nicolodi in Via Gustavo Modena e in quel salotto, dove tornerò spessissimo, trovai il Presidente Fondatore delle istituzioni dei ciechi distrutto dal dolore. Prese a parlare con voce commossa e mi disse: «Mi riferiscono che vorresti reagire alle imposizioni del Maggiore Carità. Figliolo, ogni vostra mossa metterebbe in pericolo, oltre alla vostra vita, anche la mia e quella della mia famiglia. Penserebbero che sono stato io a chiedervi solidarietà. Bisogna far finta di niente». La stessa voce grave e rassegnata, rotta da una commozione a stento trattenuta, mi paralizzò. Chiesi come mai era potuto avvenire tutto questo e Nicolodi attribuì l'accaduto al fatto che negli ultimi tempi la sua risaputa posizione antitedesca lo aveva messo in difficoltà col regime, ma aggiunse che la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, era stata la partenza clandestina del figlio Fulvio in direzione dei reparti dell'esercito di liberazione».
Ma Nicolodi stava nascondendo una verità ancora più grande e amara per lui: tre ciechi si erano fatti ricevere dal Maggiore Carità per denunziarlo di attività antifascista. Quel gesto segnò la fine di un'unità di intenti che sino a quel momento aveva tenuto saldo il movimento dei ciechi italiani, l'Unione fu guidata da un triumvirato composto da Paolo Bentivoglio, Gian Emilio Canesi e Teubaldo Daffra.
La discussione che si era aperta nella categoria dei non vedenti era molto accesa, a fronteggiarsi vi era un gruppo che contestava l'Uic perché secondo loro nulla era stato fatto per assicurare a tutti i non vedenti una pensione; l'altra parte, invece, era schierata con il presidente Nicolodi e difendeva strenuamente le conquiste ottenute compreso il lavoro e quelle fabbriche che avevano segnato, di fatto, una rivoluzione epocale per tutta l'Italia. Era un periodo drammatico, la sconfitta bellica del paese pesava su tutta la società e non da meno per l'Ente per il lavoro dei ciechi, che aveva visto l'alternarsi di commissari governativi che riuscirono a peggiorare ulteriormente la situazione, non essendoci stata una riconversione industriale molte di quelle fabbriche iniziarono a chiudere. Nei primi mesi del 1945 Aurelio Nicolodi rivolgendosi al gruppo degli unionisti, in quel momento di grandi polemiche, disse: «Salvate almeno l'Unione Italiana Ciechi». In quel periodo terribile, fra il 1944-45 infatti, tutte le strutture create: l'Unione Italiana dei Ciechi (nata prima dell'avvento del fascismo), la Federazione delle Istituzioni pro Ciechi che raggruppava tutti gli istituti di istruzione, l'Ente Nazionale di Lavoro per i Ciechi, la Stamperia Nazionale Braille, la Biblioteca Nazionale «Regina Margherita», venivano condannate in blocco come simboli del regime fascista e aggredite con l'intento di smantellarle.
La Toscana era ancora una volta centrale in questa discussione e molti non vedenti si lasciarono trasportare in quell'agone di conflittualità da alcuni vedenti militanti nei partiti di sinistra. Fra essi vi era il sig. Crudi, comunista, che adoperò tutto se stesso per portare scompiglio e divisione fra i non vedenti sino al punto di organizzare un'assemblea presso la Federazione comunista con tutti i ciechi iscritti a quel partito e a quello dei socialisti. Scopo di quella adunanza era evitare che si potesse tenere il congresso nazionale dell'Uic attraverso l'invio di un telegramma al Ministro degli Interni affinché provvedesse a nominare un commissario governativo.
Ci fu uno scontro serrato e a favore dell'Uic intervennero Zaniboni, D'Amore, Abbatiello, Festa. Concluse Giuseppe Fucà che accusò duramente il Crudi e altri vedenti di tentare di spezzare quella fraternità nata fra i banchi di scuola e maturata nelle fabbriche e nella vita. Fucà rivolgendosi agli intrusi disse: «Voi non sapete dove sta di casa la democrazia, perché non volere un Congresso significa calpestare la dignità dei ciechi italiani, i quali tutti, al posto di un commissario di governo, preferivano un presidente liberamente eletto». Gli unionisti o nicolodiani, come qualcuno li definiva, ebbero la meglio riuscendo a bloccare l'invio del telegramma e far eleggere 4 di loro come delegati al congresso nazionale. Enzo Zaniboni, Gino Baragli, Luigi Borrani, Giuseppe D'Amore, Dino Viacava, Luigi Festa, Giuseppe Fucà, formavano il gruppo dei «nicolodiani» più accaniti. Erano presenti in tutte le assemblee dove si discutevano problemi riguardanti i ciechi. Ogni riunione mirava a fare approvare un documento di condanna di qualche particolare settore delle attività associative.
Siamo al 13 novembre del 1945 quando a Roma si apre il VI Congresso nazionale dell'Uic, il primo dopo il conflitto bellico definito per questo della rinascita; era chiaro alla maggioranza dei delegati che il presidente fondatore non si sarebbe ricandidato a guidare l'associazione e aveva indicato come suo successore Paolo Bentivoglio, che aveva guidato, di fatto, l'associazione in quel periodo buio per la storia dell'umanità, fra il 1943 sino all'assise congressuale. Furono giornate difficili per i congressisti, per gli attacchi interni ed esterni mirati a spaccare l'associazione. Nicolodi, aprì con una relazione nella quale raccontò la metamorfosi sociale dei ciechi prima e dopo la nascita dell'Uic, mantenne la sua convinzione che era giunto il momento di cedere il testimone e non si lasciò travolgere dall'affetto dei congressisti che con due ordini del giorno, che pubblichiamo a fianco, sancirono l'indissolubilità di tutto il corpo associativo dal suo padre fondatore. La categoria riuscì a rintuzzare gli attacchi interni ed esterni, lo stesso Ministro degli Interni dell'epoca le provò tutte per non far eleggere il partigiano modenese, ed in una ritrovata unanimità affidò a Paolo Bentivoglio le speranze di rinascita della categoria dei ciechi, la guida dell'Unione Italiana Ciechi. Aurelio Nicolodi morì a Firenze il 27 ottobre del 1950 stroncato da un male inesorabile.
Nel prossimo numero continueremo a raccontarvi i 100 anni di storia scritti dall'Uici.



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