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Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Kaleîdos

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Numero 10 del 2020

Titolo: La mia vita ai tempi del... Coronavirus

Autore: Marika Giori


Articolo:
«Casa mia, casa mia, per piccina che tu sia, tu mi sembri una badia»...
Ho appena sfoderato questo celebre detto popolare non a caso, dato che mi sembra calzi a pennello in questa situazione di quarantena, in cui siamo tutti barricati in casa.
La vita ai tempi del Coronavirus... La nostra quotidianità è stata stravolta da quest'emergenza sanitaria o, comunque, ha subito pesanti modifiche, anche nelle attività, nei gesti apparentemente più banali e scontati. I nostri bambini e ragazzi non si recano più a scuola da tempo immemore, molti di noi hanno smesso di andare al lavoro e svolgono la propria professione da casa, da remoto, nella cosiddetta modalità di «smart working»; sono stati chiusi i luoghi di aggregazione, nonché tutte le attività commerciali, le strutture ricettive... Nei pochi e rari spostamenti che ci sono concessi, dobbiamo munirci di autocertificazione e abbiamo imparato a sopportare stoicamente le lunghe, interminabili file al supermercato, nel pieno rispetto del distanziamento sociale. Niente più feste e rimpatriate con gli amici, bandita ogni forma di ritrovo e di assembramento, dentro e fuori casa. Insomma, ciascuno di noi si è visto smantellare e portar via tutto un mondo, un'esistenza scandita da abitudini ormai radicate nel tempo, da incombenze e azioni reiterate ad oltranza ed entrate a far parte integrante di tutto un sistema solido e rodato, portato avanti automaticamente. Questo, naturalmente, in una situazione di ansia e paura generale, di assoluta precarietà sanitaria ed economica individuale e collettiva, in cui tutti, chi più, chi meno, siamo pervasi da un senso di assoluta fragilità ed impotenza, quanto mai coscienti del fatto che, davvero, volente o nolente la nostra misera esistenza è, per così dire, appesa a un filo. Noi che ci affannavamo, che correvamo a destra e a manca, animati dall'assurda illusione di tenere sempre tutto sotto controllo, noi che, spesso, fingevamo di essere rampanti ed invincibili, noi che volevamo sempre mostrarci in forma smagliante, al top... «Noi che»... Parafrasando questo refrain e tormentone inaugurato dal noto programma «I migliori anni» condotto dall'abbronzatissimo Carlo Conti, fra qualche tempo potremmo dire: «Noi che, all'epoca del Covid-19 c'eravamo e abbiamo fatto di guanti e mascherine il nostro pane quotidiano»! Ebbene sì, ormai questi oggetti sono diventati indiscutibilmente indispensabili. Prima dell'emergenza neanche li consideravamo, se non associandoli ad un ambito prettamente medico, chirurgico. «Noi che l'alcol e l'Amuchina, diventati ormai un autentico miraggio, ce li contendevamo strappandoceli letteralmente dalle mani e li pagavamo a peso d'oro»!
Mi propongo a questo punto di provare a sviluppare una riflessione su come sia effettivamente cambiata la mia personalissima esistenza a causa del Coronavirus, delineando con precisione come e in che cosa si è effettivamente tradotta quella che, a tutti gli effetti, ha l'aria di un'improvvisa, inattesa, sconcertante, destabilizzante metamorfosi kafkiana.
Ebbene, è doverosa, a questo punto, una premessa da parte mia. Per quanto potrà sembrarvi strano e a costo di discostarmi in tal senso dalla massa, la mia vita lavorativa non ha richiesto e subito cambiamenti sostanziali a livello logistico ed organizzativo in questa situazione di delirio e di caos generale. Come ho avuto già modo di raccontare lo scorso anno sempre qui su Kaleidos, infatti, svolgo la professione di traduttrice e, secondariamente, mi occupo di redigere testi per il mondo del Web a vario titolo. Per forza di cose, quindi, lavoro in proprio e rigorosamente da casa. Gli strumenti di cui mi avvalgo e che non mi devono mai mancare sono il computer e i vari dispositivi elettronici, nonché una connessione Internet. Per il tranquillo svolgimento e la riuscita del mio lavoro è peraltro assolutamente indispensabile che detta connessione sia il più stabile, veloce e performante possibile.
Questa lunga premessa proprio per illustrarvi, seppur brevemente e sommariamente, il mio modus operandi. È chiaro quindi che la forzata permanenza in casa non abbia comportato ripercussioni o variazioni al mio lavoro, o meglio, non per ciò che concerne gran parte della mia attività. Essendo però una cinefila accanita, oltre che un'amante dei libri, del teatro, della cultura in generale e avendo fatto di tutti questi miei interessi una sorta di attività parallela e collaterale alla mia professione ufficiale, chiaramente l'interruzione dei vari eventi in tutti questi ambiti mi ha creato non pochi problemi e non poche difficoltà nel reperire materiale per portare avanti i miei impegni ed il mio operato oltre che, naturalmente, un disagio e una mancanza a livello personale e di vita privata, per ciò che concerne il mio tempo libero e la mia propensione a spenderlo quasi totalmente per dedicarmi alle mie grandi passioni.
Vi voglio comunque tranquillizzare: la forzata permanenza fra le mura domestiche non è riuscita a piegarmi ed a trasformarmi in una «casalinga disperata»! Non mi sono ricreduta circa i lavori domestici e non ho sviluppato la sindrome della massaia perfetta. Eh no, tengo particolarmente a chiarire questo punto! Non sia mai che venga messa minimamente in dubbio la mia proverbiale avversione alle incombenze domestiche che, certo, svolgo diligentemente, ma soltanto per senso del dovere, perché, se non si vuole vivere in una stamberga, beh, bisogna pur dedicarvisi come si conviene, no?
Insomma, senza le mie canoniche uscite per recarmi a teatro, al cinema, alle presentazioni di libri e a tutte le manifestazioni e iniziative culturali, beh, ammetto di essermi sentita, almeno inizialmente, un pesce fuor d'acqua, un po' come se fossi stata svuotata del mio nucleo, della mia essenza, privata di tutto quel nutrimento, quell'energia, quella carica, quella linfa vitale di cui ho indiscutibilmente bisogno.
Ebbene, non mi sono certo persa d'animo, anche perché, per fortuna, viviamo in un'epoca governata dalla tecnologia che ha supplito e sta tuttora supplendo egregiamente alle carenze ed alle difficoltà pratiche e logistiche generate inevitabilmente da questo periodo di quarantena. Consentitemi a questo punto di rivolgere tutto il mio apprezzamento a Santa Tecnologia, nel mio caso una vera e propria manna dal cielo, la classica «mano santa», che ha saputo e sa colmare, almeno in certa misura e in minima parte, le lacune, accorciando nel limite del possibile le distanze e permettendo che, almeno ad un livello virtuale, si realizzassero determinati eventi a cui, altrimenti, non avremmo mai potuto accedere proprio a causa della pandemia e della relativa impossibilità di contatti fisici ravvicinati e di conseguenti assembramenti. Della serie: se Maometto non va alla montagna, la montagna va da Maometto. Ed ecco che, quindi, Nostra Maestà tecnologia ci ha permesso e ci permette tuttora di ordinare e scaricare libri senza recarci fisicamente in libreria, di vedere film grazie alle piattaforme streaming, di assistere, seppure da remoto, a spettacoli ed esibizioni di vario genere. Grazie alla tecnologia, ho potuto anche ovviare al problema di recarmi in banca per alcune incombenze ed effettuare online le varie ricariche. A questo punto si potrebbe obiettare che queste possibilità esistono già da parecchio tempo, certamente ben da prima dell'avvento, ahinoi, di questo maledetto Covid-19. Ovviamente sono più che consapevole delle molteplici alternative che ci offre la tecnologia ormai da anni, tanto che costituiscono un aspetto assodato, una costante della nostra quotidianità, essendo diventate parte integrante delle nostre abitudini e del modo di gestire il nostro ménage. Io stessa ho prontamente beneficiato di tutte queste opportunità fornite dalla tecnologia non appena si sono rese pienamente accessibili e fruibili anche da parte di noi non vedenti. Finora, però, almeno per ciò che concerne determinati contesti, nel mio caso si è trattato di una scelta legata a pure ragioni di innegabile praticità e comodità. In quest'emergenza, invece, anche volendo, non avrei potuto agire diversamente. Meno male, quindi, che, come gran parte della popolazione, anch'io avevo dimestichezza e familiarità con i dispositivi elettronici e, in generale, con il mondo di Internet.
Tuttavia, se la tecnologia è riuscita in qualche modo ad arginare e a supplire alcune mancanze di ordine pratico e materiale, certamente non è stata in grado di intervenire su alcune problematiche che per noi donne, ma non solo per noi, provocano, se a lungo trascurate, una vera e propria tragedia, un cataclisma, un dramma epocale! Mi riferisco, più precisamente, a tutto ciò che ha a che fare con il nostro aspetto estetico: la tanto temuta e odiata ricrescita dei capelli, che mette in evidenza le «magagne» delle nostre chiome più o meno fulgide, ormai allo stato brado e in balia di mille tonalità di colore. La tinta allora? Cos'è questa sconosciuta? Rassegniamoci! Le mèches, i colpi di sole, gli shatush, i balayages sono un lontano, lontanissimo ricordo! E che dire dei peli superflui che, come nel mio caso, si depositano, si accumulano e si sedimentano beffardi ed impietosi, a mo' di veri e propri cuscini e trapunte, sui nostri poveri corpicini impotenti? Vi dico solo che ormai non mi basterà nemmeno più il decespugliatore per estirpare la foresta amazzonica che mi è implacabilmente cresciuta addosso! No, dite tutti quel che volete. Abbiamo dimostrato e dobbiamo dimostrare pazienza, facendo, come si suol dire, di necessità virtù, ma chi ce la fa ad abituarsi a questo sfacelo generale che si è impossessato di noi? E vogliamo parlare delle unghie di mani e piedi? Chiunque di noi impavide fanciulle le ha provate tutte. Ci siamo ingegnate con ogni mezzo, dotandoci di lime di tutte le fogge e dimensioni, di tronchesi, forbici, pinzette, pietre pomice e tutti gli arnesi per una manicure e pedicure di emergenza, ma i risultati, molto spesso, si sono rivelati a dir poco catastrofici! Figuratevi che, ormai, devo stare attenta a come muovo le mani se non voglio sfregiarmi, dato che le mie povere unghie, ora come ora degli autentici artigli, costituiscono un'arma impropria! Quasi quasi, a questo punto, inoltro la richiesta per il porto d'armi! Tornando seria, è innegabile che per noi donne affette da deficit visivo la situazione si complichi ulteriormente. Se infatti una persona vedente può provare ad arrangiarsi in qualche modo, improvvisandosi estetista e parrucchiera di se stessa, a noi questa possibilità di un fai da te casalingo è preclusa a prescindere, dato che non possiamo avere la stessa precisione, la stessa manualità, la stessa dimestichezza delle persone vedenti. Questo, al di là di un fattore puramente estetico, costituisce un problema materiale, oltre che di armonia con noi stesse nel sentirci così scarmigliate, poco curate e in disordine. Unghie e capelli troppo lunghi, infatti, finiscono per darci enorme fastidio, creando una sensazione di malessere generale, fisico e non.
Dopo queste considerazioni fra il serio e il faceto, concedetemi una riflessione più seria e impegnativa: ho introdotto questo testo con quel proverbio che racchiude perfettamente il mio pensiero. Quante volte, in questi due mesi di quarantena, mi sono trovata a camminare per la casa, perlustrandola palmo a palmo e rendendomi conto di quanto sia bella, accogliente e preziosa! Io che sono da sempre un'amante della dimensione domestica, io che amo, per l'appunto, rintanarmi fra le mie quattro mura isolandomi dalle «intemperie» del mondo esterno, beh, ora ho avuto la conferma di quanto sia importante e necessario possedere un proprio mondo, una propria dimensione, non soltanto interiore, ma anche fisica. Un luogo che, per piccolo o grande che sia, per quanto umile e modesto, possiamo chiamare «casa». Un luogo che ci appartenga in tutto e per tutto, costruito a nostra misura, secondo le nostre inclinazioni e le nostre specifiche esigenze.
Ecco, per me il termine «casa» dovrebbe tradursi per ciascuno di noi in quella sorta di oasi felice, di «comfort zone», di rifugio a cui approdare e in cui sentirsi protetti, coccolati, al sicuro da tutto e da tutti. La casa, quindi, non è e non dovrebbe essere soltanto il luogo fisico in cui ci troviamo ad abitare, da soli o con altri, quel luogo che sancisce soltanto la nostra residenza o il nostro domicilio davanti alla legge e sui documenti. Mi sono quindi riempita della pace e della tranquillità del mio «nido», pensando a tutti coloro che, in qualche modo e per qualsiasi ragione, vivono la loro vita fra le mura domestiche come un vero e proprio inferno, un calvario, una prigione da cui, troppo spesso, non trovano la forza, né il modo per fuggire ed affrancarsi. Mi riferisco soprattutto a tante donne che subiscono ogni genere di violenza, fisica e mentale, donne alle quali viene inflitto ogni genere di sopruso, di prepotenza, di sopraffazione. Mi sono quindi sentita e mi sento tuttora molto fortunata, una privilegiata, non solo per il fatto di godere, fino ad oggi, di ottima salute e di non aver contratto il Coronavirus, ma anche in virtù della condizione di piena serenità e di assoluto benessere che respiro in casa nostra, accanto ad una persona che ho scelto ed amo incondizionatamente. Ed ogni volta che contemplo quella che considero a tutti gli effetti la mia reggia, beh, mi torna alla mente proprio il proverbio con il quale ho introdotto questo mio lungo discorso.
Rivedo le cose che mi appartengono, tutti oggetti che mi rappresentano, che parlano di me, di noi e penso a chi, in una situazione di emergenza, è stato ed è tuttora costretto ad abbandonare non solo la propria abitazione e i propri averi, tutto ciò che si è costruito nell'arco di una vita, a suon di enormi sacrifici e con il sudore della fronte, ma soprattutto i propri affetti, la propria terra, le proprie abitudini, le proprie certezze. Penso a tutti gli esuli di ogni epoca e di ogni nazione, a chi, non avendo alternativa, ha intrapreso ed intraprende viaggi lunghi ed estenuanti, spesso pericolosi e mortali, verso l'ignoto, verso una realtà indefinibile, oscura, imperscrutabile. Penso altresì a tutti quegli sventurati che, a vario titolo, in questi loro pellegrinaggi, in questi loro esodi in massa verso una vera o presunta salvezza, ci hanno testimoniato e continuano a testimoniarci il significato e l'importanza di parole quali «resistenza» e «resilienza», in qualsiasi frangente, in qualsiasi circostanza.
Ed io? Cosa ho imparato e cosa sto imparando in questa situazione di emergenza planetaria? Cosa potrò mai insegnare e testimoniare io? Quale strada penso di imboccare? Proprio quella della resilienza e della gratitudine per tutto ciò che possiedo e che non mi è stato portato via, per il solo fatto di essere nata e di vivere in un Paese in pace, in un'epoca tutto sommato relativamente tranquilla sotto vari aspetti. Sono riconoscente per il solo fatto di non essere costretta a fuggire, a scegliere fra i miei cari e la speranza di una vita migliore chissà dove, chissà quando, chissà con chi... Ogni giorno constato l'immensità di quel dono chiamato «normalità», che spesso snobbiamo e diamo per scontata, quella condizione senza la quale non potremmo compiere le attività apparentemente più banali.
Con l'avvento di questa tanto decantata «Fase 2», auspico dunque il graduale ritorno alla cosiddetta normalità, sperando di contribuire nel mio piccolo a far sì che ciò avvenga il più rapidamente possibile, partendo proprio dal rigoroso rispetto di tutte le regole che impone questa fase così cruciale all'insegna della ripartenza. Sento che devo e voglio portare avanti quel concetto di resilienza, quella propensione a non lasciarci abbattere e sconfiggere dalle avversità e, anzi, a rialzarci ogni volta, a rinascere, a rimetterci in cammino, rimboccandoci le maniche e costruendo noi stessi e la nostra vita con passione, entusiasmo, positività, determinazione, coraggio e caparbietà.
Vorrei essere io stessa testimone, portatrice e promotrice della resilienza che molti altri mi hanno trasmesso attraverso il loro vissuto, le loro esperienze, i loro racconti... In questo periodo mi sono resa ancora più conto del ruolo preponderante, prioritario che svolgono nella nostra esistenza la cultura e l'arte, in qualsiasi ambito, sotto qualsiasi forma e in qualsiasi declinazione. L'arte e la cultura, infatti, hanno entrambe la sorprendente, straordinaria, impareggiabile capacità di farci riflettere, di donarci piacere, gioia e bellezza a 360 gradi, di far emergere la parte migliore, più propositiva di noi stessi e di fornirci tutte quelle armi, quelle risorse, quegli strumenti imprescindibili che allargano la nostra mente e ci consentono una totale autonomia e libertà di pensiero.
L'arte e la cultura ci rendono ogni giorno mentalmente, emotivamente, spiritualmente più forti e consapevoli di noi stessi e della realtà che ci circonda. Spero che, volendo vedere il classico bicchiere mezzo pieno, questa situazione ci abbia almeno parzialmente aperto gli occhi, aiutandoci a comprendere l'importanza e il valore imprescindibile dell'arte e della cultura, smettendo di pensare erroneamente che non servano o, comunque, che siano un qualche cosa di decisamente superfluo, assolutamente trascurabile rispetto alle esigenze dell'economia e del mercato. Io, in questo periodo di quarantena, forse non sarei uscita indenne se non avessi trovato l'appiglio per antonomasia, quello dei miei amati libri, film, della mia preziosissima musica...
Tre capisaldi della mia vita che, ora come non mai, mi hanno permesso di distrarmi, di evadere e, perché no, anche di sorridere, ridere e riflettere profondamente, guardando, laddove necessario, la realtà con il giusto distacco e la massima crudezza. Ho scoperto e riscoperto il dono dell'introspezione, della lentezza. So che a breve riprenderà la nostra routine, seppur con diverse modalità e soggetta a norme rigide e stringenti. Sono certa che, una volta che ci saremo lasciati alle spalle questa terribile vicenda, verremo nuovamente assorbiti dalla frenesia della nostra quotidianità, ma mi auguro che, almeno di tanto in tanto, terremo tutti quanti presente ciò che conta davvero e che, nella maggior parte dei casi, non si può acquistare, né ottenere guidati dalla foga, dalla brama e dalla fretta.
Marika Giori



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