Logo dell'UIC Logo TUV

Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Corriere dei Ciechi

torna alla visualizzazione del numero 6 del Corriere dei Ciechi

Numero 6 del 2020

Titolo: ATTUALITÀ- Pluridisabilità: parliamone!

Autore: Beatrice Ferrazzano


Articolo:
Oggi le parole sono importanti, si parla di pluridisabilità, disabilità complessa, disabilità plurima, plurihandicap, pluriminorazione e il rischio di un'attribuzione svalutante, stigmatizzante o sommaria è sempre dietro l'angolo. Questo rischio si corre anche nella terminologia da adottare per chi presenta, appunto, disabilità multiple dovute a cause genetiche, metaboliche, infettive, degenerative, neurologiche, traumatiche che determinano poi, spesso, la compresenza di disabilità motorie, cognitive, sensoriali.
È importante non dimenticare mai che dietro un soggetto con grave disabilità c'è sempre la PERSONA.
Cambiare le parole non è sufficiente per accogliere le difficoltà, la diversità, le problematicità.
Chiarendo che, ovviamente, i quadri clinici sono svariati e molteplici, con caratteristiche uniche e differenti l'uno dall'altro, i bisogni dei soggetti con disabilità multipla possono essere ricondotti a delle macro categorie simili e poi calibrati sulle caratteristiche di ciascuno.
Lungi dal voler affrontare il discorso da un punto di vista medico, farò alcune considerazioni di ordine sociale, educativo, abilitativo e solo incidentalmente riabilitativo.
Credo che, almeno una volta nella vita, ognuno di noi abbia sperimentato la diffidenza e la paura verso qualcosa, che poi ha lasciato il posto alla familiarità, alla simpatia, all'accettazione, alla convivenza in qualunque contesto si voglia intenderlo. Il passepartout per superare questo gap iniziale resta senza dubbio la conoscenza. Tutto ciò che non conosciamo ci fa paura.
Allora parliamone!
Sono avvezza a pensare che la pluriminorazione è un modo di stare al mondo diverso, con più bisogni e meno opportunità. In genere per ogni soggetto pluridisabile esiste una famiglia "pluridisabile" che si fa carico di tutta la fatica e le difficoltà del vivere quotidiano. Ho raccolto alcune riflessioni della mamma di Gianluca (diagnosi di sofferenza celebrale, leucomalacia periventricolare, tetra paresi spastica) che a tal proposito si è così espressa:
"Dico siamo, dico facciamo, dico andiamo... perché non esiste una persona disabile, esistono famiglie disabili, perché il nucleo familiare si stravolge, la casa, gli ambienti cambiano, tutti ci sentiamo diversi quando ci imbattiamo nel mondo esterno, dove spesso ancora ci sentiamo degli estranei" (Filomena P.)
Nella nostra società di massa non è facile essere diverso, tutto viaggia su binari precostituiti che rappresentano il metro con il quale essere misurati e colui che è in una condizione di pluridisabilità è trovato sempre mancante.
Mi torna in mente la citazione biblica divenuta famosa grazie a un film che recita: "Sei stato pesato. Sei stato misurato. E quant'è vero Dio, sei stato trovato mancante" (Il Destino di un cavaliere di Brian Helgeland, anno 2001).
Il mio intento ambizioso, al termine di questo scritto, è quello di proporre un altro modo di vedere la disabilità plurima e coniare un nuovo aforisma.
Ogni adulto è stato un bambino e ormai da 20 anni incontro nelle scuole un'alta percentuale di bambini/ragazzi con disabilità multipla. Circa il 50% della popolazione scolastica dei disabili visivi nella mia area di competenza presenta minorazioni aggiuntive.
Il retropensiero più frequente con il quale mi confronto e scontro è: poverino, che può fare?
Si passa così dall'accudimento passivo: non vede, non sente, non capisce, non cammina.... non ha bisogno di nulla... una carezza è sufficiente; all'accudimento attivo/iperattivo: di tutto di più... Stimolazioni sensoriali molteplici, elargite senza alcun criterio, senza il riscontro di alcun feedback del bambino; fino ad arrivare alla costruzione di percorsi educativo didattici degni di un novello Einstein... la programmazione di classe rappresenta il punto di riferimento assoluto... e come si fa altrimenti? Vogliamo correre il rischio di discriminare?
Oggi l'abolizione dell'auletta di sostegno è il trofeo ostentato per affermare il grado più alto di inclusione scolastica. Ma siamo poi così sicuri che la famigerata auletta di sostegno non abbia un suo ruolo importante, in presenza di pluridisabilità, nell'offrire spazi e tempi per apprendimenti più mirati che una classe rumorosa e affollata difficilmente può garantire? Stare in classe ad ascoltare passivamente e senza interazioni può essere considerata inclusione?
Nelle scuole ormai passano proposte formative di ogni genere, ma c'è ancora carenza di formazione specifica sui bisogni dei soggetti che accanto a disabilità motoria, cognitiva e relazionale presentano anche disabilità visiva, non dimenticando anche la sordocecità. L'assenza della vista modifica totalmente il tipo di intervento educativo, in quanto tutto ciò che è visivo deve essere adattato per il canale tattile.
Si fa un'enorme fatica a comprendere che non esistono ricette precostituite, ma che l'imperativo imprescindibile resta il bambino con le sue caratteristiche.
È da qui che bisogna partire.
Maslow ha individuato una scala di bisogni dell'individuo da cui nessuno è escluso.
Con un occhio rivolto alla scala di Maslow possiamo senz'altro individuare i bisogni primari e le esigenze fondamentali del soggetto con grave disabilità:
livello elementare di vita: (evitare dolore, fame, sete)
cambiamenti posturali, movimento, stimolazioni
contatto corporeo per vivere delle esperienze
contatto corporeo per percepire le altre persone
esperienze di divertimento per sperimentare gioia nella vita
essere avvicinati in modo semplice al mondo che li circonda
essere capiti anche senza linguaggio parlato
sicurezza, stabilità, fiducia
legame, accettazione, tenerezza
riconoscimento e stima di sé
indipendenza, autonomia, autodecisione
Sembrano troppi? Troppo ambiziosi e privi di un effettivo riscontro reale? Vi assicuro ci sono tutti!
Non mi soffermo sui bisogni fisiologici e di sicurezza, che a meno di situazioni di abbandono, sono quelli meglio compresi e assolti a livello di senso comune, anche se in alcuni casi possono degenerare in un accudimento arido e meccanico, privo di empatia.
Mi piacerebbe riflettere sul fatto che i bisogni restanti si manifestano in modi differenti da come siamo abituati a riconoscerli in un individuo integro di sensi e richiedono una risposta altrettanto diversa. Ma ciò che è fondamentale è che questa risposta ci sia, per non lasciare i soggetti in condizione di pluridisabilità in una sorta di "nebbia sensoriale", dove la realtà può sembrare ostile, ignota e incomprensibile.
L'interazione con l'ambiente esterno nella maggior parte dei casi non può avvenire in maniera autonoma. È indispensabile una mediazione che deve essere rispettosa dei tempi e dei modi specifici di ciascuno. Il rispetto dei tempi è fondamentale. In una società che corre e che si aspetta risposte in uno schiocco di dita è stonata questa affermazione, ma armoniosa per i nostri ragazzi pluridisabili. In un quadro di compromissione cerebrale, gli stimoli sono processati uno per volta, in un tempo dilatato che, per chi non è avvezzo, è interminabile, ma necessario per chi è così compromesso. Più la disabilità è grave più i tempi di attenzione sono brevi, mentre quelli di adattamento sono lunghi.
Mi torna in mente Martina (encefalopatia malformativa su base genetica, ipovisione da subatrofia ottica, epilessia, tetraparesi spastica, assenza della deambulazione, assenza di linguaggio verbale, disabilità intellettiva grave) quando si cercava di aiutarla ad afferrare un oggetto ben colorato posto sul suo piano di lavoro. Ad una prima osservazione sommaria, l'analisi avrebbe riportato: non guarda, volge lo sguardo ogni volta che le si offre un oggetto frontalmente; tantomeno accenna ad afferrare. Ad un'osservazione successiva e consapevole, invece, emerse che era questione di tempo.
Sì, è vero, Martina dopo un fugace aggancio visivo evitava lo sguardo, ma per organizzare il movimento nel "silenzio educativo". In assenza di parole ridondanti e distraenti, quando i più avrebbero già rinunciato e afferrato la sua mano per indirizzarla forzatamente all'oggetto, spontaneamente dirigeva le sue manine afflitte da movimenti distonici verso il target colorato. L'attesa dei tempi non è valida solo in ambito riabilitativo, ma sempre. Il tempo che si declina in pazienza e attesa è la più alta forma di rispetto che possiamo offrire ad un bambino/adulto con pluridisabilità.
L'adattamento ambientale, le facilitazioni e i cambiamenti posturali, quando i soggetti sono impossibilitati a realizzarli autonomamente, hanno una ricaduta non solo da un punto di vista motorio e quindi riabilitativo come ad uno sguardo superficiale potrebbe apparire, ma vanno nella direzione dell'autodeterminazione e dell'autonomia. In che senso? Nel senso che, se l'ambiente è disposto in modo adeguato, posso compiere da solo uno spostamento o un'azione; se l'ambiente mi facilità visivamente attraverso contrasti cromatici, posso direzionarmi spontaneamente verso un oggetto; se la postura resta immutata, ossia di notte soltanto supina e di giorno seduta, non scoprirò mai il mondo attraverso altri punti di vista e non capirò mai che ho due mani e che posizionato su un fianco, per esempio, per la semplice forza di gravità le mani possono incontrarsi e manipolare insieme.
Il coinvolgimento nelle attività quotidiane, soddisfa il bisogno di appartenenza, di far parte di un gruppo, di cooperare, di partecipare. La vita quotidiana offre molteplici opportunità di esperienze che possono essere vissute da tutti: dalla semplice vita domestica, ad attività più ludiche e gratificanti. Ricordo con affetto il prof. Mario Mazzeo, lungimirante e sensibile psicologo cieco, venuto a mancare nel 2001, che in un incontro di formazione, ormai quasi 20 anni fa, così si espresse: riuscite ad immaginare quale esperienza possa rappresentare per un soggetto pluridisabile essere distesi su di un prato? Percepire il vento sul proprio volto? Ci avete mai pensato?".
Un altro aspetto negativo assai frequente è quello di assistere a conversazioni svalutanti riferite proprio al soggetto pluridisabile, in sua presenza, come se non ci fosse... tanto non capisce. Oltre ad essere lesivo della dignità, riconoscere il proprio nome in una conversazione a cui non vi è alcun seguito di interazione, significa incoraggiare un atteggiamento di isolamento e di chiusura.
La comunicazione rappresenta uno degli aspetti più problematici dell'esperienza di vita di questi soggetti. Siamo degli esseri sociali, giusto? E come tali non si può lasciare nessuno senza comunicazione. Non è questo il contesto per suggerire interventi riabilitativi per apprendere forme di comunicazione specifica (lis tattile, Malossi, CAA, ecc.), mi preme invece considerare che il bisogno di essere compreso è fondamentale. Per comprendere però, mi devo mettere in ascolto e stabilire una relazione. Non esiste un manuale della giovane marmotta in cui, come nell'alfabeto Morse, vi sia la corrispondenza di un gesto ad un significato preciso come con le lettere. Tuttavia, alla ripetizione di un gesto spontaneo può essere attribuito un significato che sarà compreso dal pluridisabile con l'associazione e la ripetizione dell'azione. Essere capiti rafforza l'autostima dell'individuo. Se le mie azioni modificano l'ambiente attraverso risposte differenziate e coerenti, allora esisto, sono compreso, sono riconosciuto come individuo.
È attraverso una relazione "sana" che ci si evolve e si cresce. Sana nel senso che è volta a riconoscere ed accettare i limiti di ciascuno e a creare un ambiente di crescita stimolante ed arricchente, adeguato alle diverse esigenze e condizioni.
In conclusione, approcciarsi ad un soggetto pluridisabile è come incontrare una persona nascosta in uno "scafandro" danneggiato, ma pur sempre persona. Ogni individuo ha un suo margine di sviluppo relativamente a se stesso e se questo vale per le persone cosiddette "normali", vale ancor di più per chi ha maggiori difficoltà. Solo allora, al nostro bambino, al nostro ragazzo, al nostro adulto pluridisabile, potremo dire: "sei stato incontrato e sei stato accolto senza essere misurato".



Torna alla pagina iniziale della consultazione delle riviste

Oppure effettua una ricerca per:


Scelta Rapida