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Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Corriere dei Ciechi

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Numero 6 del 2020

Titolo: ATTUALITÀ- Sguardi sulla DAD

Autore: Antonino Cotroneo


Articolo:
Questo periodo è stato sicuramente per tutti complicato, complesso, problematico, e per fortuna, al di là di tutto, anche ricco di spunti per ragionare sul futuro. Forse uno dei più devastanti, quanto fertili (ahimè i due aggettivi camminano spesso per la mano) che le nostre generazioni abbiano incontrato dal dopoguerra ad oggi (parola di mia nonna!). E anche a me, come docente e abilitatore tifloinformatico, nel bene e nel male, gli spunti di analisi e di riflessione non sono sicuramente mancati.
Tutto è iniziato, come per ognuno di noi, in quel week-end in cui i primi casi di Covid-19 hanno bucato la scena italiana. Un week-end che mi sembra una vita fa e che, se non guardassi il calendario, avrei quasi difficoltà a collocare con esattezza sulla linea del tempo. Quarantott’ore particolarmente concitate di un susseguirsi di notizie, sino a giungere alla prima flebile certezza. Lunedì non ci sarà scuola. Poi neanche martedì. Poi per tutta la settimana, il mese... Insomma, eccoci qua.
Anche relativamente alla DAD, la cosiddetta "didattica a distanza", tutto è iniziato proprio in quella prima settimana di chiusura delle scuole nelle regioni più colpite dall’epidemia. Io ero stato nominato a fine gennaio e i miei alunni non avevano fatto TAC (teoria, analisi e composizione) praticamente per tutto il primo quadrimestre. Onde evitare di sprecare altro tempo, quindi, essendo di casa con le tecnologie per la didattica, mi venne spontaneo suggerire loro di condividere i compiti e le relative correzioni sulla piattaforma digitale. Mai avrei pensato che quella scelta ci avrebbe permesso di giocare d’anticipo su tutto quello che sarebbe stato da lì a poco.
Dal punto di vista didattico, metodologico, pedagogico, e soprattutto da quello relazionale con alunni e colleghi, quello che ne è seguito è stata una sfida probabilmente senza precedenti. Almeno, sicuramente per me che ho relativamente pochi anni di insegnamento alle spalle. Una sfida che per la sua entità ha coinvolto noi docenti più che mai nella totalità della nostra persona, oltre che nella sfera professionale.
Conoscevo ancora pochissimo i miei alunni (numerosi, centodieci in totale su cinque classi di liceo musicale), solo di alcuni riconoscevo le voci e di ancora meno ero riuscito a vedere bene il viso o la fisionomia in dettaglio. E con lo scenario che si apriva, la cosa mi dava un po’ di pensiero, perché in didattica la relazione e il riconoscimento reciproco sono il terreno su cui germoglia tutto il percorso educativo, ma nello scenario che si prefigurava lo spazio per queste dinamiche si preannunciava piuttosto limitato.
Indugi e perplessità a parte, tuttavia, non avevamo scelta, se non quella di attingere a tutto il nostro bagaglio personale e andare avanti con la gravosa responsabilità dell’educazione dei ragazzi a noi affidati, facendolo con gli strumenti a nostra disposizione in quel momento e senza alcun preavviso. Strumenti che nessuno di noi docenti conosceva fino in fondo, né aveva mai sperimentato in maniera così massiccia o in circostanze analoghe. Oltre un mese e mezzo per trovare una quadra accettabile, un equilibrio tra sforzo metodologico, funzionalità degli strumenti, partecipazione attiva degli studenti e sviluppo della relazione, che era ancora tutta da costruire. Ma grazie al cielo è proprio da quest’ultima che sono venuti i primi riscontri positivi.
La lezione in videoconferenza si è rivelata, infatti, uno strumento particolarmente utile per entrare in diretto contatto con ciascuno studente. L’uso dei primi piani in webcam mi hanno permesso in poche settimane di entrare in diretto contatto con gli sguardi dei miei alunni, con i loro sorrisi, con le loro espressioni di perplessità, con squarci del loro ambiente familiare e i loro genitori discreti e attenti in alcuni casi, o caotici e invadenti in altri, con i loro animali domestici... Ho ancora in mente quando ho potuto carpire il sorriso della mia alunna I. alla mia approvazione in seguito ad un esercizio molto difficile andato particolarmente bene. Così come lo sguardo sconsolato e perso nel vuoto di F. quando non riusciva a capire il compito che era simile a ciò che sarebbe potuto uscire come prova alla maturità. F. non aveva chiesto aiuto, perché è un ragazzo timido e riservato, uno di quelli che ti accorgi che è in difficoltà solo quando gli vai veramente incontro. Cosa accaduta in quel momento, grazie proprio all’inquadratura ravvicinata della webcam, meglio che in classe, dove le distanze o la cattiva illuminazione non me lo consentono quasi mai. Piccoli momenti, ma significativi e immensi che fanno la differenza.
Altro aspetto per il quale la didattica a distanza si è fatta apprezzare, è stata l’efficacia nel presentare i contenuti per una materia così complessa da insegnare, come TAC. Una disciplina in cui occorre andare a fondo su aspetti teorici difficili da una parte, che però hanno un forte risvolto musicale dall’altra. Per trattare e cucire assieme questi due aspetti, che a volte potrebbero sembrare inavvicinabili fra loro, occorre sicuramente tanto metodo, ma anche dei software spremuti in tutte le loro potenzialità, affiancati al pianoforte, fondamentale per dargli concretezza e una dimensione spazio-temporale. Tutto ciò dal mio studio poteva essere impiegato con sufficiente efficienza, rispetto all’accostamento, a volte posticcio, degli strumenti a disposizione a scuola. LIM che non funziona bene, software non perfettamente accessibile… Nel mio studio potevo, invece, contare su strumenti che in tanti anni ho forgiato a mia misura (monitor grande, software professionali appositamente configurati come Sibelius, illuminazione adeguata), di cui gli studenti hanno espressamente apprezzato la naturalezza dei risultati, fino ad affermare "prof! È meglio che in classe!".
E uno degli effetti collaterali più significativi di questo incontro tra strumenti diversi proposti da un insegnante con forte ipovisione, lo abbiamo avuto nelle competenze trasversali acquisite dagli alunni. Il fatto di lavorare su carta, infatti, necessitava che essi dovessero digitalizzare, spesso mediante dispositivi tecnologicamente poco dotati, i loro lavori manoscritti rendendoli ben leggibili anche su schermo (cosa non banale da ottenere). Anche qui tecnologie già rodate da me negli anni per far fronte alle difficoltà mie, ma anche di tanti ragazzi che ho seguito come abilitatore tifloinformatico, hanno dato il loro frutto. Nel giro di tre mesi, oltre il 70% degli studenti ha imparato a fotografare da cellulare o tablet i loro manoscritti, filtrandoli con app come Microsoft Lens o iScanner, per produrre documenti nitidi e ad alto contrasto (vedi immagini). Ed è stato un beneficio anche per gli altri colleghi, essendo quello di ricevere compiti scarsamente leggibili un problema sentito anche nelle altre discipline.
Ma la DAD ha avuto anche dei risvolti molto negativi per diversi studenti con ipovisione.
Come abilitatore tifloinformatico ho potuto osservare, infatti, alcune situazioni molto critiche. Particolarmente penalizzati sono stati quei ragazzi che avevano da poco iniziato l’alfabetizzazione informatica, che stavano ancora imparando a scrivere senza guardare i tasti, oppure che erano agli inizi con la sintesi vocale o lo screen reader, le cui competenze, ancora basilari, non li rendono di certo autonomi per la complessità del lavoro da remoto. Quei ragazzi che per una qualche causa stanno perdendo la vista e che sono ancora alle prese con la costruzione del "Sé", delle relazioni con i pari e con gli adulti. Quei ragazzi che devono ancora fare un imprescindibile uso di sussidi didattici tattili, e poco si giovano ancora dell’astrazione veicolata dagli strumenti informatici. Ma che, non potendo contare sul supporto qualificato o stabile della famiglia o degli operatori, la cui attività è stata sospesa come le altre, questi ragazzi hanno visto congelarsi come in un incantesimo tutte le promesse che i percorsi intrapresi sembravano prospettare. Hanno attraversato un periodo buio, poco proficuo e, in alcuni casi, anche davvero problematico.
Da questa esperienza abbiamo acquisito sicuramente delle competenze in più, tecnologiche, di metodo e relazionali, che abbiamo dovuto ristrutturare, dopo averle dapprima destrutturate. Abbiamo capito certamente che molte attività che prima pensavamo difficili o impossibili, possono essere svolte anche a distanza. Traiamo, forse, anche una consapevolezza molto maggiore di quanto conti la relazione docente-alunno-classe, e soprattutto di come essa vada gestita con estrema cura in una modalità differente come quella a distanza. Ma sicuramente abbiamo davanti, altresì, l’evidenza di come alcuni specifici bisogni educativi vadano inderogabilmente soddisfatti mediante relazioni di prossimità fisica. Speriamo che chi legifera, in questo momento sicuramente sotto pressione, terrà conto di queste nuove consapevolezze, agevolando scenari inediti.
La scuola, gli studenti, il corpo docente, gli operatori e le famiglie ne gioverebbero.



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