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Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Corriere Braille

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Numero 24 del 2020

Titolo: Storia dell'Unione

Autore: Vincenzo Massa


Articolo:
I difficili anni Cinquanta, dalla «Marcia del dolore» alle conquiste sociali
Con le sinistre fuori dal Governo nei Ministeri si parlava una sola lingua, quella democristiana. L'Unione e i ciechi, spesso, erano considerati dei disturbatori della quiete pubblica e, inoltre, «quel Bentivoglio socialcomunista», non era ben accolto negli ambienti scudo crociati. La forte crisi economica del dopoguerra si faceva sentire, l'Italia era distrutta da maceria e povertà, le attività e gli enti dell'Unione non erano esenti da queste difficoltà e Firenze, fra tentativi di dividere l'Unione, divenne ancora una volta il centro di un movimento che puntava dritto ad ottenere il vitalizio per i ciechi civili. Il Presidente Bentivoglio non ebbe vita facile a districarsi in quel periodo perché, pur riconoscendo la legittimità di quelle richieste, in quel periodo era forte nella compagine governativa di commissariare l'Unione e placare quella voce che non dava tregua alla politica. La morte di Nicolodi, in quell'autunno del 1950, non aiutava Bentivoglio che si sentiva imbrigliato fra la burocrazia dei palazzi romani della politica e la lentezza d'azione degli uffici della sede centrale. Bentivoglio, in qualche incontro riservato con i giovani dirigenti dell'Unione, aveva suggerito a tutti di iniziare ad iscriversi nei piccoli partiti laici, unici interlocutori della Dc in quel momento, affinché come ambasciatori dell'Uic potessero far veicolare le richieste dell'associazione.
L'azione di Bentivoglio era costante e continua sia all'interno che all'esterno dall'associazione. Ogni settimana da Bologna si recava a Roma ed era sempre in giro fra Ministeri per far sentire la sua presenza, pungolava e sensibilizzava l'opinione pubblica attraverso scritti di alto profilo culturale e emozionale e attraverso la stampa associativa faceva arrivare la sua voce fra i soci. I temi di quegli anni erano il lavoro e l'assistenza, che in quella crisi sociale ed economica del paese erano divenuti un cappio che si stringeva sui sogni e su quella rivoluzione sociale che 30 anni prima aveva fatto nascere l'Uic. Queste battaglie alla fine del 1951 portarono all'approvazione della legge 1371 che disponeva l'aumento da 480 milioni a 960 milioni del contributo annuo per l'assistenza continuativa a favore dei ciechi civili in condizioni di maggior bisogno. Nel 1952 si svolsero le amministrative e il Comune di Bologna divenne terreno di scontro fortissimo fra la Dc e le sinistre che governavano. Per vincere questa sfida la Dc aveva candidato a capolista il Professor Dossetti e si era alleata con le forze laiche, abbastanza sicura di conseguire l'obiettivo che si era prefissa. Senonché l'operazione fallì per pochi voti e fu Bentivoglio ad essere eletto consigliere al Comune. Questa affermazione personale del Presidente Uic suscitò disappunto, mente di quel piano era un sottosegretario scudo crociato agli Interni, e per la categoria il clima si fece più pesante. Nel 1953 esasperati dalla mancanza di risposte da parte del Ministro del Tesoro Pella, a cui il presidente Bentivoglio aveva regalato un orologio ad uso dei ciechi, un gruppo di non vedenti da tutta Italia calò su Roma e mentre le porte del Ministero del Tesoro venivano sbarrate, tutti iniziarono ad urlare «Aprite il portone vogliamo la pensione».
Quella giornata di protesta si concretizzò con la Legge 4 novembre 1953 n. 839, che portò il fondo per l'assistenza da 960 milioni a un miliardo e 440 milioni. Molti furono i contatti con la politica per allentare quella forte pressione mentre la delicata questione della pensione non faceva progressi sino a quando nella primavera del 1954 rotto ogni indugio il presidente Bentivoglio parte con una massiccia campagna di informazione e manifestazioni che vedono coinvolte le sezioni Uic di tutt'Italia. In tutte le città si svolsero manifestazioni a cui parteciparono uomini politici dei diversi partiti. I Consigli comunali e provinciali approvarono ordini del giorno che presero la via di Roma. Pur essendo giacenti in Parlamento numerose proposte di legge per arrivare ad una pensione dignitosa, dal Ministero del Tesoro, però, non giungeva la copertura economica necessaria per cui tutto era fermo. In quel periodo presidente del Consiglio era Mario Scelba e una sua fedelissima si occupava di problemi assistenziali, la deputata veneta on. Dal Canton, che provava ad ostacolare in ogni modo i tentativi dell'Uic e di tantissimi parlamentari, anche democristiani, di arrivare alla concessione giuridica della pensione. In un incontro fra il presidente Bentivoglio, l'on. Bianca Bianchi, del partito socialdemocratico, con l'on. Gava Ministro del Tesoro, queste furono le parole lapidarie dell'esponente di governo «Non ci sono soldi, inoltre lo Stato non può accettare una visione che stravolge il concetto assistenziale vigente». A quel punto Bentivoglio comprese bene che bisognava rompere gli indugi e ritornando da Roma ebbe un lungo colloquio con Fucà per elaborare una nuova strategia che mettesse in condizione l'Uic di potersi porre a capo nella parte finale di una qualsiasi azione che ora doveva arrivare ai palazzi della politica romana cercando di evitare colpi di testa da parte del Ministero degli Interni nei confronti dell'Uic, il timore era quello di un commissariamento dell'associazione. Ecco come Fucà racconta quei momenti successivi all'incontro con Bentivoglio dove si era deciso di scuotere con un'azione eclatante l'intera opinione pubblica: «Rifacendoci ad una marcia di Londra dei ciechi inglesi, progettammo la «Marcia del dolore» sulla capitale. Baragli doveva guidare le truppe e tenere i collegamenti con l'Unione, Borrani doveva trovare soldi ed io dovevo fare la spola fra i rivoltosi in marcia e Bentivoglio». La partenza da Firenze è accompagnata dagli inviti a rinunciare in particolare l'allora sindaco del capoluogo toscano, Giorgio La Pira, promise ai dirigenti locali Uic che si sarebbe scatenato lui stesso per ottenere la discussione e l'approvazione di quella legge che i ciechi attendevano da tanto. La marcia non si fermò e quel cammino, che diventò irto di difficoltà ma anche di grande calore, iniziò ad incamminarsi senza esitazione verso Roma. Che bella Piazza Brunelleschi a Firenze, in quella mattina del 10 maggio del 1954, la passione, il fervore erano fortissimi. Tutto è pronto e così parte la «Marcia del Dolore». I responsabili del gruppo dei marciatori erano stati avvisati che ci sarebbero stati tentativi per invitarli a desistere e tutti sapevano anche che, per influenzare i lavori parlamentari, bisognava richiamare l'attenzione popolare e di tutti i partiti intorno alla problematica della categoria.
La strategia del presidente nazionale era chiara, mentre un gruppo continuava a marciare, Fucà ed altri dirigenti continuavano a tessere quei rapporti con tutte le forze politiche presenti in Parlamento per creare un consenso il più ampio possibile. Tutte le sezioni d'Italia dell'Uic, invece, erano impegnate a promuovere conferenze stampa e far inviare piogge di telegrammi dagli Enti Locali sul Governo e sul Parlamento. Con l'avanzare della marcia aumentava il consenso della popolazione, anche la stampa iniziò a dare sempre maggiore spazio a quella protesta che marciava spedita alla volta di Roma. Siamo al 18 maggio e quella mattina a Ponte Milvio si riuniscono in un solo gruppo, fra un abbraccio e tanta emozione, il gruppo dei marciatori con le delegazioni dei ciechi provenienti da tutt'Italia. A quel punto il presidente Bentivoglio prende la testa del gruppo e si punta dritti a piazza Montecitorio. Una delegazione fu ricevuta dal presidente della Camera, on. Giovanni Gronchi, il quale comunicò che nella stessa giornata la commissione finanze e tesoro della Camera dei Deputati, avrebbe esaminato il progetto di legge per la pensione ai ciechi civili. Furono giorni difficilissimi perché il Governo provò a resistere in ogni modo a quello stravolgimento epocale che toglieva potere per far posto al diritto azionabile che passò grazie all'emendamento dell'on. Pieraccini dove si riconosceva il vitalizio per i ciechi civili. Ci piace qui ricordare l'urlo dell'on. Di Vittorio alla comunicazione dell'esito del voto che aveva visto il governo battuto dall'emendamento di Pieraccini: «I ciechi civili cominciano a vedere, mentre quelli politici ancora no».
Dovettero trascorrere circa tre mesi perché, finalmente, l'assegno a vita ai ciechi italiani trovasse piena legittimità con l'approvazione della legge 9 agosto 1954 n. 632. Ma il Governo si rifece facendo nascere l'Opera Nazionale dei Ciechi Civili e il regolamento di funzionamento nel quale si leggeva chiaramente il tentativo di rompere il vincolo unitario fra i non vedenti e l'Uic. Si passò, dunque, dalla gioia all'amarezza per Paolo Bentivoglio. Superato quel momento di sconforto il presidente nazionale dovette trovare la soluzione alla richiesta pressante dei giovani, che uscivano dall'istituto, che chiedevano di poter essere inseriti nel mondo del lavoro. Il presidente Bentivoglio ebbe l'idea di coinvolgere un ingegnere tedesco, con il quale girò molte piazze italiane, proiettando un film nel quale si vedevano i ciechi tedeschi che lavoravano al centralino. Il grande lavoro del presidente nazionale convinse Vigorelli, Ministro del Lavoro dell'epoca, a far gestire all'Uic dei corsi di qualifica professionale per centralinisti. Era il 1957 quando fu approvata la legge 594 che indicava l'obbligo, alle amministrazioni pubbliche e all'impresa privata, di assunzione dei centralinisti non vedenti. Nel 1961, invece, con la legge 570 arriva l'assunzione obbligatoria per i massofisioterapisti ciechi. Il presidente Bentivoglio, ebbe un primo infarto che non fermò per nulla la sua attività e i suoi scontri con i vari Ministeri per far prevalere le idee dell'associazione che servì sino all'ultimo giorno. Il secondo infarto, infatti, lo colpì di ritorno da Firenze dopo l'ennesima battaglia con il Ministero della Pubblica Istruzione. Il 22 dicembre del 1965 si spegne Paolo Bentivoglio. I funerali a Roma e la sepoltura al cimitero di Borgo Panicale a Bologna, una partecipazione straordinaria di ciechi, di cittadini comuni, uomini di cultura e politica volle dare il suo ultimo saluto al secondo presidente nazionale dell'Unione Italiana Ciechi. Il 28 dicembre il consiglio comunale di Bologna, che lo aveva visto protagonista di tante battaglie, lo volle commemorare. Ecco un stralcio delle parole del sindaco di allora, Giuseppe Dozza: «Presidente nazionale dell'Unione Italiana Ciechi, aveva dedicato interamente la sua vita e la sua opera alle molte migliaia di uomini e donne che non posseggono il bene della vista. E molto egli fece per alleviare i dolori e per migliorare le condizioni di vita di tante sfortunate persone, ottenendo opportuni e tangibili provvedimenti in loro favore. Sincero democratico, combattente antifascista, fu tra le schiere di coloro che si opposero, a rischio della vita, alla prepotenza del nazifascismo. Lo ricordiamo seduto in quest'aula, consigliere comunale del Partito socialista italiano, dove dedicò parte della sua fatica per la ricostruzione e la ripresa della nostra città».
Erano trascorsi pochissimi giorni dalla morte di Paolo Bentivoglio e il Consiglio nazionale Uic sarebbe stato chiamato ad eleggere il suo successore in una riunione convocata per il 29 dicembre di quello stesso anno. Giuseppe Fucà, successore designato dallo stesso Bentivoglio, dovette mettersi a lavoro per evitare che i nemici dell'Uic potessero prendere in mano le sorti dell'associazione e distruggere i sogni e le conquiste di 45 anni di battaglia. Ma di questo parleremo nel prossimo numero.



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