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Kaleîdos

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Numero 20 del 2020

Titolo: Donne coraggiose

Autore: Redazionale


Articolo:
I boss mi intimidiscono, ma io li sfido
Storia di Magda
(tratto da «Coraggiose» a cura di Silvana Gavino - Cairo Editore)
Sono dietro alla cassa del locale e un cliente mi apostrofa in modo sgarbato.
«C'è un errore nel suo conto. Noi paghiamo per otto».
Cercano di intimidirmi: ho appena finito di servire un pranzo per sedici persone, ma hanno deciso di darmi solo la metà dell'importo. È il loro modo di sbattermi in faccia che io non conto nulla: sono loro a decidere i prezzi. A comandare. Da mesi ricevo minacce e loschi avvertimenti perché gestisco il Rifugio del Parco dei Nebrodi, la più grande area naturale protetta della Sicilia. Un vero tesoro per la mafia dei pascoli: vogliono che lo ceda per accaparrarsi sempre più terreni e usufruire dei lauti contributi europei.
Cerco di calmarmi assaporando la dolcezza dei rilievi che mi circondano: mi lascio cullare dalle onde ocra delle vallate solcate dai fiumi, respirando l'aria fresca. E pensare che fino a poco tempo fa trascorrevo le giornate nel centro di Palermo, tra il mio lavoro di imprenditrice turistica e l'aperitivo con gli amici. Poi è cambiato tutto. È maggio 2016 quando, attraverso Karasicilia, la cooperativa che gestisco, vinco un concorso pubblico per la responsabilità del rifugio; nello stesso periodo, il presidente dell'Ente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, sfugge per miracolo a un attentato a colpi di fucile a canne mozze.
Un avvertimento mafioso che mi turba.
Per un anno vado al rifugio, solo per controllare che tutto vada per il meglio con il personale assunto. L'ostilità però accoglie ogni mio arrivo, fino alla scomparsa di uno dei miei cani. «Possibile che non abbiate notato nulla?» ripeto ai miei dipendenti.
Cresce l'animosità nei miei confronti, soprattutto dopo aver issato l'insegna del Comitato Addiopizzo, il movimento antimafia impegnato sul fronte della lotta contro il racket.
Signora o signorina?
Un po' per intimorirmi, un po' per retaggio culturale, clienti e fornitori cercano subito di capire se debbano parlare con mio padre o con mio marito, come se, in quanto donna, non possa essere all'altezza della gestione.
«Signora o signorina?» mi domandano.
«Dottoressa, prego» rispondo risoluta, spiegando che con due lauree, sono io a occuparmi della struttura. Ma sono circondata dalla diffidenza perché estranea alle «regole» della zona.
Tentano di spaventarmi con l'irruzione di due scrofe che provocano danni, ma, nonostante l'intimidazione, decido di trasferirmi in modo stabile al Parco perché ho notato delle irregolarità a livello contabile.
I sabotaggi diventano realtà quasi quotidiane. Come il raid di un nuovo gruppo di maiali: sono privi di microchip, ma non possono essere selvatici perché il parco non ha questi animali in gestione; ogni allevatore della zona, piuttosto, applica un diverso taglio alle orecchie. L'invasione è un messaggio in codice in una lingua che, mio malgrado, imparo a conoscere. Qualcuno mi sta mandando un segnale di allerta.
Miss Legalità
«Come la fattura?» mi chiedono basiti i fornitori, neanche venissi da un altro pianeta. Vengo chiamata «Miss Legalità» con evidente disprezzo, perché nel regno dell'analfabetismo fiscale sono un'aliena che non vuole adeguarsi alle logiche clientelari. Nel giro di pochi giorni scompaiono dalla cucina anche alimenti per la celiachia, malattia di cui soffro. E il peggio arriva la settimana dopo, quando trovo due dei miei cani paralizzati, con schiuma bianca alla bocca e al naso. Ne salverò solo uno.
«Non so come arginare i soprusi» mi sfogo in lacrime al telefono con i miei famigliari. La notte ogni cigolio mi fa sussultare, tanto che mio padre installa delle telecamere di videosorveglianza. Ma la situazione precipita nei giorni successivi, quando arriva per pranzo un gruppo di persone che se ne va sprezzante, pagandomi la metà del conto. «È estorsione» dichiaro alle forze dell'ordine, presentando la mia prima denuncia.
La mafia non esiste
Me lo ripetono in paese, borbottando torvi al mio passaggio. Non mi perdonano le querele. Nel frattempo, i pochi dipendenti rimasti tra quelli che non si erano già schierati contro di me se ne vanno tra i timori e i ricatti della criminalità organizzata. Così mi ritrovo abbandonata a occuparmi di un ristorante e ventuno stanze. E, soprattutto, sola a fronteggiare i boss locali. Continuo a denunciare ogni documento senza tracciabilità della merce o comportamento intimidatorio, nonostante lo scotto che devo pagare: non solo fatture da centinaia di euro per qualche chilo di frutta o carne come punizione per aver chiesto ricevute di pagamento, ma altri miei cuccioli di cane che scompaiono.
«Stia attenta» mi sussurra la gente. «Si dice che con la macchina o di notte potrebbero accaderle degli incidenti».
La situazione è davvero pesante e chi mi vuole bene è seriamente preoccupato per me.
«Ma chi te lo fa fare, Magda? Torna a Palermo!» mi ripetono al telefono gli amici di città.
Mi rivedo spensierata tra loro, in una vita senza minacce: un morso di nostalgia mi avvita lo stomaco. Ma un refolo di vento notturno rende nitide stelle e pensieri: non lascerò che vinca la mafia dei pascoli.
La loro strategia è isolarmi, terrorizzarmi e farmi indebitare in modo che sia costretta a cedergli la gestione del rifugio. Ma sono loro ad avere i giorni contati.
«Siamo con te, Magda!» insistono coraggiosi imprenditori che lottano per piantare una cultura di legalità in questa terra. Le forze dell'ordine e la federazione antiracket sono i miei angeli custodi, ma la paura la sento. E la combatto rimanendo qui, mentre sogno di realizzare una fattoria didattica al mio rifugio, dove portare, insieme ai bambini, una mentalità nuova, pulita come l'aria di queste montagne.
Magda Scalisi, 38 anni, è la responsabile del Rifugio del Parco dei Nebrodi, tra Messina e Palermo. Laureata in Scienze politiche ed Economia e commercio, è stata assistente parlamentare all'Ars (Assemblea Regionale Siciliana).



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