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Corriere dei Ciechi

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Numero 12 del 2020

Titolo: SOSTEGNO PSICOLOGICO- Un giorno per dire no tutti i giorni

Autore: Katia Caravello e Nadia Massimiano


Articolo:
25 novembre: Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne
Nel mondo più di una donna su tre ha subito violenza nell'arco della propria vita. In Italia secondo l'ISTAT sono quasi 7 milioni le donne tra i 16 e i 70 anni che hanno subito una qualche forma di violenza fisica e/o sessuale… e più di un terzo di esse ha una disabilità. Proprio della violenza sulle donne con disabilità si è parlato nel convegno organizzato dalla sezione territoriale di Alessandria dell'U.I.C.I. "Il potere della paura: la giornata mondiale della violenza alle donne; un giorno per dire no tutti i giorni", svoltosi il 25 novembre scorso.
Il fenomeno della violenza contro le donne è purtroppo ancora diffuso e trasversale; far emergere le situazioni di maltrattamento e discriminazioni agite quotidianamente contro le donne è estremamente complesso: infatti le vittime, pur desiderando di liberarsi della violenza, sono schiacciate dai pregiudizi e dagli stereotipi. Hanno il timore di non essere credute, di sentirsi dire - magari proprio da donne interne alla famiglia - che se la sono cercata o che devono avere pazienza. La criticità aumenta quando ad essere oggetto di violenza e maltrattamenti sono donne che versano in cattive condizioni di salute o hanno una disabilità. Il 36% delle vittime di violenza sono donne che hanno problemi di salute ed il 36,6% hanno una disabilità. Quest'ultima percentuale, secondo una recente indagine condotta dalla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell'Handicap) è schizzata al 65%.
Per quanto l'aumento delle percentuali possa essere dovuto al fatto che più donne hanno il coraggio di denunciare ciò che accade loro, e ciò è sicuramente positivo, non si può negare che il fenomeno abbia delle dimensioni preoccupanti.
Se tutto ciò non bastasse, la pandemia da Covid-19 ha ulteriormente peggiorato la situazione, rendendo le donne, specie quelle con disabilità, ancora più vulnerabili. A livello mondiale si stima che le donne con disabilità abbiano una probabilità doppia, se non tripla, di subire violenza ed il fatto di essere confinate al proprio domicilio a causa delle misure di prevenzione del contagio non fa altro che aumentare tale probabilità. Perché le donne con disabilità sono particolarmente esposte al pericolo di subire violenze fisiche, stupri, discriminazioni e vittimizzazioni secondarie? Perché a compiere questi atti esecrabili sono spesso proprio chi di queste donne dovrebbe prendersi cura!
Per una donna con disabilità, quindi, tirarsi fuori da un contesto maltrattante è ancora più difficile rispetto a chi non ha una disabilità. Infatti, alla maggiore difficoltà di difendersi o sottrarsi - diretta conseguenza della disabilità - si aggiunge la dipendenza psicologica dal proprio caregiver: "chi si prenderà cura di me se lo denuncio?", "dove andrò a vivere?"... questi sono i pensieri più ricorrenti, che impediscono di far emergere quanto vivono tutti i giorni.
Ancora più potente risulta essere il senso di colpa per il solo fatto di provare sentimenti negativi nei confronti di coloro che le assistono (sentimento su cui spesso i caregiver fanno leva): "lui/lei sacrifica la sua vita per me ed io lo/la ripago lamentandomi", "prendersi cura di me è pesante, è normale che a volte si arrabbi", "gli do tanti problemi, è giusto anche che gli dia dei piaceri", "in fin dei conti sono fortunata che ci sia qualcuno che si prende cura di me"... questo è quello che pensano le donne con disabilità e sono questi pensieri che le bloccano nel chiedere aiuto.
Le donne vittime di violenza - siano esse disabili o meno - vengono lentamente e subdolamente private della possibilità di avere contatti con amici e familiari, di lavorare e quindi di avere un'indipendenza economica, vengono private della propria autostima e della capacità di autodeterminarsi, tant'è che si convincono di essere stupide ed inette, di non poter vivere altrimenti se non con il proprio aguzzino. Al fine di aiutarle e renderle capaci di reagire, il lavoro con loro dev'essere centrato sul recupero dell'autonomia e, conseguentemente, sull'autostima ed il senso di autodeterminazione.
Sappiamo bene - ne abbiamo parlato diverse volte anche su queste pagine - quanto il tema dell'autonomia rappresenti un tasto dolente per le persone con disabilità e quanto sia difficile promuoverne lo sviluppo se i primi ad ostacolarlo sono i familiari e, in generale, la cerchia più stretta di contatti con cui la persona si rapporta quotidianamente... e più la disabilità è grave e complessa, più il discorso si fa difficile.
Per quanto sia complicato, il lavoro sull'autonomia e l'autostima è l'unica strada percorribile per arrivare, prima di tutto, a scalfire e superare il senso di colpa di cui si è parlato nelle righe precedenti e, passo immediatamente successivo, per far acquisire quella sicurezza e quella forza che consentano alla donna di sentirsi, nonostante tutto, padrona della propria vita, degna di decidere cosa sia giusto per lei e, cosa ancora più importante, consapevole di avere il diritto di non essere maltrattata ed abusata. Il sostegno alle vittime di violenza, così come il lavoro con i maltrattanti - perché non dimentichiamoci che i comportamenti violenti sono il frutto di un disturbo psicologico/psicopatologico, sviluppato in alcuni casi in conseguenza ad un forte stato di stress psicofisico - è fondamentale, ma arriva quando il danno è fatto, quando la violenza è già stata subita, però, si sa... prevenire è meglio che curare! Per fare in modo di arrivare prima, di evitare che la violenza sia perpetrata, è fondamentale intraprendere percorsi di formazione alle relazioni e alla gestione delle emozioni, che rendano tutti - specialmente i/le giovani - consapevoli dell'importanza di una relazione uomo-donna basata sul rispetto reciproco (spiegando anche cosa è e cosa non è rispettoso della persona e perché) e libera da pregiudizi e stereotipi di genere.



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