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Kaleîdos

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Numero 1 del 2021

Titolo: Quei manifesti offendono le donne

Autore: Michela Grasso


Articolo:
(da «Grazia» gennaio 2021)
A Milano e in altre città d'Italia sono apparsi cartelloni che paragonano la pillola abortiva a un veleno per le donne e i figli che aspettano. Questi messaggi scientificamente infondati hanno il solo scopo di accusare chi ricorre a un'interruzione di gravidanza
Ogni anno nel mondo sette milioni di donne vengono ricoverate per complicazioni legate ad aborti clandestini, 30 mila di loro muoiono. A dirlo è l'Organizzazione mondiale della Sanità, che per questo si batte per il diritto all'interruzione di gravidanza. In Italia sette ginecologi su dieci in ospedale sono obiettori di coscienza e rifiutano di praticare aborti. La percentuale arriva all'80 per cento in sette regioni, e al 96,9 per cento in Basilicata. Ma a opporsi alle interruzioni di gravidanza, o alla pillola del giorno dopo, sono anche farmacisti, anestetisti e personale non medico. È loro diritto. In Francia, invece, solo il 3 per cento dei ginecologi è obiettore, ma forse non c'è da sorprendersene: l'Italia è immersa in una cultura che ancora colpevolizza le donne e il loro diritto di scegliere garantito dalla legge.
Un esempio arriva da Milano, dove la settimana scorsa è apparso un cartellone pro-vita: al centro c'è la foto di una donna riversa a terra con una mela morsicata tra le mani. Sopra di lei, a caratteri cubitali, si leggeva: «Prenderesti mai del veleno? Stop alla pillola abortiva Ru486: mette a rischio la salute e la vita della donna e uccide il figlio nel grembo #dallapartedelledonne».
Spesso si pensa che impedendo il ricorso all'interruzione di gravidanza gli aborti spariscano magicamente. Non è così: una ricerca del Guttmacher Institute, centro americano per i diritti delle donne, ha dimostrato che il tasso di interruzioni di gravidanza è uguale sia nei Paesi dove è legale sia in quelli dove non lo è. Rendere l'aborto illegale, e punire chi lo pratica, non farà altro che aumentare il tasso di aborti clandestini e, di conseguenza, mettere in pericolo la vita di milioni di donne. È ironico che un manifesto che si dice #dallapartedelledonne millanti la pericolosità, non comprovata scientificamente, della pillola abortiva. Ognuno può avere un pensiero differente su un tema come l'interruzione di gravidanza, l'importante è non imporre la propria volontà nella vita altrui.
Pillola o non pillola, l'aborto è sempre esistito, e non sarà un cartellone in una via di Milano a fermarlo. Se guardiamo ai dati in Italia, pubblicati nel 2017 dal ministero della Salute, possiamo notare che le interruzioni di gravidanza sono diminuite del 74,4 per cento rispetto al 1982. Un numero dovuto, probabilmente, alla diffusione dei metodi contraccettivi e dell'educazione sessuale nelle scuole. Da noi ci sono resistenze nell'affrontare il tema della sessualità e dell'affettività con i bambini e i ragazzi, ma educare i cittadini del futuro vuol dire anche questo. Non solo per proteggere se stessi e gli altri contro le malattie sessualmente trasmissibili, ma per educare alla consapevolezza del corpo.
Camminare a Milano nel 2020 e vedere un cartello che paragona l'aborto al veleno, senza prove scientifiche, ma con il solo scopo di accusare e provocare, è assurdo. L'insensibilità che traspare da questi messaggi può avere un impatto psicologico molto forte per tutte le donne che hanno abortito, accusate pubblicamente di non essere #dallapartedelledonne, e di aver «ucciso il proprio figlio». I dibattiti sull'interruzione di gravidanza devono essere fatti con la consapevolezza che le donne siano capaci di decidere e capire che cosa sia meglio per il proprio futuro e con la voglia di proteggerle e sostenerle qualsiasi scelta facciano.
Michela Grasso



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