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Kaleîdos

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Numero 2 del 2021

Titolo: Combattiamo la cultura della donna oggetto

Autore: Gaia Giorgetti


Articolo:
(da «Grazia» gennaio 2021)
«Se fate le brave, il marito vi regala una borsa griffata»: suona più o meno così il post di Giulia De Lellis. Dietro il messaggio sessista si nasconde un pensiero purtroppo molto diffuso. Le nostre figlie con quali modelli stanno crescendo?
Fare la brava significa essere sottomessa, un'idea antica che ci rende ancora schiave
Grazia Priulla, sociologa della Comunicazione e della cultura, insegna all'Università di Catania
Quel post ribadisce uno stereotipo millenario: le donne sono piacevoli, bei soprammobili, purché stiano al loro posto. Fare la brava vuol dire essere sottomessa, concetto che da secoli ci è stato appioppato, al punto che lo abbiamo addirittura interiorizzato.
D. Si finisce con l'accettare che il nostro corpo è merce?
R. Questo messaggio ormai è passato in modo massiccio nelle pubblicità, sui muri, in tv, su Instagram, dove si vedono giovanissime ammiccanti che si porgono allo sguardo altrui: per sedurre dobbiamo modificare noi stesse e, siccome dobbiamo piacere agli uomini, ci mettiamo in mostra come vogliono loro. È una schiavitù simbolica, ma agisce in modo potente perché alla base c'è il comune bisogno di essere amate e apprezzate.
D. Le influencer hanno una responsabilità?
R. Il numero dei like equivale al consenso, che equivale al guadagno. Però, è un gatto che si morde la coda perché se diventa popolare proprio chi ribadisce gli stereotipi, è difficile che diventi famosa qualcuna che invece va controcorrente. Non conosco Giulia De Lellis, ma penso che abbia una responsabilità grande perché è un modello e ogni suo messaggio ha un peso moltiplicato per i milioni di ragazze che la seguono. Forse non si è neppure accorta del passo falso, perché il suo modo di pensare è diffuso.
D. Cosa le vorrebbe dire?
R. Di riflettere, di avere sensibilità e uno sguardo più lungo, visto che il suo ruolo ha anche un rilievo sociale.

In una società in cui il pensiero maschilista domina, il rischio è buttarsi via per una borsa
Stefano Bolognini, psicologo, è stato presidente della Società Psicoanalitica Italiana
La cultura del maschio predatore è arcaica e oggi è ancora più forte in una società che ha perduto tanti valori. Le nostre ragazze sono come Cappuccetto rosso che nel bosco incontra il lupo cattivo, ma al contrario di ciò che accade nella favola, nessuno le salva.
D. Cosa pensa del post sulla borsa di lusso?
R. È la conseguenza della miseria culturale ed educativa che ci sommerge, e mina il senso e il valore che diamo a noi stessi, al punto di buttarci via per una borsa.
D. Le ragazze che partecipavano alle feste di Genovese, per esempio, sono state accusate di frequentare quel giro pericoloso per interesse. La vittima della violenza è stata persino messa sotto accusa. Come lo spiega?
R. Veniamo da una cultura giuridica che si fondava sulla massima Vis grata puellae, la violenza dell'uomo è gradita alla fanciulla, un retaggio che proietta sulle donne il masochismo collegato al piacere. Un alibi usato dai maschi per giustificarsi, spacciando la loro aggressività per desiderio sessuale consensuale.
D. Che rischi corrono le ragazze?
R. Non vedono il pericolo, a volte addirittura fraintendono, scambiando situazioni predatorie come occasioni per valorizzare la seduttività. È un'illusione di onnipotenza, coltivata sapientemente da chi ne trae vantaggio, ovvero la cultura maschilista millenaria, basata sul «pene-baionetta» come negli stupri di guerra: lo stupratore non agisce per pulsione sessuale, ma per voglia di dominio.
Gaia Giorgetti



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