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Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Gennariello

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Numero 3 del 2021

Titolo: Miti, leggende e racconti dal vero

Autore: Redazionale


Articolo:
Il Vaso di Pandora
Mito
In un tempo lontano lontano, il padre Zeus era in continuo attrito con gli uomini: non era mai soddisfatto e minacciava di distruggerli tutti, un giorno sì e l'altro anche.
All'ennesimo picco di rabbia, il re dell'Olimpo prese un provvedimento serissimo: privò gli uomini del fuoco. Un grosso problema per l'Umanità, questo, perché sarebbero tutti morti di fame e di freddo.
Allora Prometeo, sempre dalla parte degli umani, rubò alcune scintille di fuoco - chi dice dalla fucina di Efesto, chi dice dal carro del Sole - e le donò all'umanità.
Oh, affronto sommo! Oh, massima disgrazia! Inutile dirlo, Zeus si arrabbiò ancora più forte e cominciò a meditare un'altra pesantissima punizione.
Pensa che ti ripensa, gli venne in mente di colpire prima gli uomini e poi Prometeo, e di farlo in modo che non dimenticassero la bella lezione.
Prometeo aveva un fratello molto meno furbo di lui, dal nome Epimeteo. Come Prometeo significa «colui che pensa prima» (di agire), così Epimeteo vuol dire «colui che pensa dopo». Il secondo, quindi, era sì un bel ragazzone, ma non rifletteva mai sulle conseguenze delle sue azioni. Un po' sciocchino, per intenderci.
«Perfetto per la mia vendetta» pensò il padre degli Dei. «È così tonto che sicuramente cadrà nella trappola».
E mise su un gran bel piano con l'aiuto degli altri abitanti dell'Olimpo
Come prima cosa, plasmò una donna e la fornì di tutte le virtù possibili e immaginabili. Naturalmente era una creatura bellissima, come poche al mondo. Ogni divinità aveva contribuito alla sua preparazione donandole ciascuno qualcosa: chi la dolcezza, chi la grazia, chi la curiosità e via discorrendo, fino a farla quasi perfetta, forse un po' incauta. Una volta formata e ben vestita, truccata e pettinata, Zeus le diede un vaso chiuso e le disse: «Mi raccomando, non aprirlo mai mai!», le impose il nome di Pandora (che vuol dire «tutti i doni») e la spedì fra gli uomini. Pandora aveva il compito di far innamorare Epimeteo, anzi era importantissimo che Epimeteo la sposasse e la ricevesse nella sua casa, con il vaso di dote. In quel contenitore, che era un vero e proprio scrigno magico, erano riposti tutti i mali del mondo.
Nonostante Prometeo avesse supplicato il fratello di non accettare doni provenienti da Zeus, Pandora ed Epimeteo si sposarono con tanto di nozze sfarzose e invitati divini, esattamente come si usava a quei tempi. Epimeteo sapeva del vaso e della raccomandazione di non aprirlo. Pensò che fosse sufficiente nasconderlo dentro casa, e nemmeno con chissà quale cura. Aveva sottovalutato la curiosità infusa da Ermes alla sua mogliettina.
Infatti, dopo giorni di tormento, Pandora non riuscì più a trattenersi: cercò il vaso e, felice come una bimba davanti a un regalo, lo scoperchiò.
Successe il finimondo, esattamente come sperava Zeus: tutte le sciagure si diffusero per l'aria in un batter d'occhio. Solo la speranza (vana) rimase in fondo al vaso, perché Pandora - spaventata - aveva appena richiuso il coperchio. La terra diventò un posto triste e oscuro, pieno di lutti e grande disperazione. La vendetta di Zeus era compiuta.
«E adesso? Come faccio?» piangeva la bella Pandora. «Se lo viene a sapere mio marito, sicuramente se la prende con me.» E non avrebbe avuto tutti i torti Epimeteo; anche se... Pure lui, eh! Insomma, Prometeo, previdente, l'aveva avvisato di non accettare doni da Zeus, neppure se si fosse trattato di una bella sposa. Alla sola vista di quella fanciulla meravigliosa, però, Epimeteo aveva perso quel poco di senno che aveva in testa. Quindi, in realtà, la colpa delle tragedie della terra non era solo di Pandora, ma anche del suo sprovveduto sposo.
Solo quando Pandora, con gran coraggio, riaprì lo scrigno, la speranza volò di casa in casa e gli uomini finalmente ripresero a vivere un po' più sereni.
Bene è quel che finisce bene, in fondo. La curiosità di Pandora aveva messo nei guai gli uomini, ma la speranza - una volta libera - aveva riportato nei cuori la certezza che le sofferenze prima o poi lasciano il posto alla serenità.
E Prometeo? Zeus in realtà era furioso anche con lui per via del furto del fuoco.

La pentola d'oro in fondo all'arcobaleno
Leggenda
In Irlanda, una leggenda narra che dove finisce un arcobaleno ci sia la pentola piena d'oro di uno gnomo, lì a guardia del suo tesoro.
Il racconto tradizionale vede come protagonista Barry, un giovane contadino, la cui fattoria non andava molto bene. Costui, un giorno incontrò un folletto che tra sé si lamentava di essere troppo vecchio per salire sulla cima del monte dov'era la pentola d'oro. Barry gli offrì il suo aiuto e fu ricompensato dallo gnomo con una parte del tesoro che gli servì a far fiorire la sua attività di campagna.
Il giovane, però, successivamente, raccontò al suo avido vicino di questa storia e quest'ultimo si recò sulla montagna per attingere denaro. Ciò suscitò l'ira dello spiritello, il quale, sentendosi tradito in fiducia dal contadino e minacciato dal suo vicino, per vendetta fece crollare giù l'orto di Barry ed il terreno accanto.
Antiche credenze sostengono che gli gnomi siano depositari di molti tesori nascosti durante la guerra e che, se catturati, rivelano il luogo dove si trova la ricchezza, ma sono così arguti e scaltri da riuscire a confondere gli umani e salvare il bottino.
Per cui, pensare che la fonte dell'arcobaleno sia il pentolone d'oro, è un modo metaforico per dire che non si può definire dove inizi né finisca sul serio la magia di questi preziosi colori che nessuno potrà mai davvero fare propri, se non conservandone nel cuore il ricordo.

Si-Ling-Ci Imperatrice della Cina
Racconto dal vero
Hoan-Ti, imperatore della Cina, amava molto sua moglie Si-Ling-Ci e voleva che il nome della sua sposa fosse ricordato per sempre dal suo popolo.
Un giorno le mostrò dei bachi da seta, di cui già personalmente aveva scoperto la preziosa utilità, e le disse: «Osserva bene questi animaletti. Vedi se possono servire e se si possono allevare. Sono sicuro che il popolo apprezzerà ciò che farai e non ti dimenticherà più».
Si-Ling-Ci rimase stupita, ma, come sempre obbediente all'imperatore, osservò attentamente i bachi e notò che essi, prima di morire, si avvolgevano in un meraviglioso bozzolo. Ella allora svolse i fili del bozzolo, li tessé e ne fece un fazzoletto di seta. Avendo notato che i bachi si nutrivano di gelsi, raccolse le foglie di queste piante e allevò una gran quantità di bachi, insegnando poi anche al suo popolo l'arte di allevarli. Questo avveniva cinquemila anni fa.
I Cinesi d'oggi, che non hanno dimenticato l'arte di allevare i bachi e di tessere la seta, non hanno dimenticato neppure la loro imperatrice Si-Ling-Ci, e ogni anno celebrano ancora una festa in suo onore.
La gente di Bucala e i bachi da seta
Per lungo tempo, soltanto i Cinesi conobbero l'arte di allevare i bachi da seta. Essi conservavano gelosamente il loro segreto e vendevano a caro prezzo i tessuti che fabbricavano. Un giorno, anche l'imperatore di Bucara decise di allevare per conto proprio i bachi da seta. Chiese i semi dei bachi e dei gelsi ai Cinesi, ma questi si rifiutarono di darglieli. Allora l'imperatore di Bucara mandò un suo ambasciatore presso l'imperatore della Cina per chiedere la mano di sua figlia. Al suo ambasciatore suggerì di confidare alla figlia dell'imperatore della Cina che l'impero di Bucara era, sì, pieno di ricchezze, ma che non vi erano tessuti di seta. Se ella desiderava continuare ad essere vestita riccamente, avrebbe dovuto portare con sé, senza dir nulla a nessuno, il seme dei bachi e il seme dei gelsi. La principessa si procurò segretamente questi semi e se li nascose accuratamente fra i capelli. Al confine, le guardie la perquisirono e rovistarono nel suo bagaglio. Volevano essere sicure che la principessa non portasse fuori dalla Cina qualcosa di proibito. Ma nessuna delle guardie osò sciogliere le sue lunghe trecce. Fu così che gli abitanti di Bucara entrarono in possesso dei gelsi e dei bachi da seta. La principessa in persona insegnò loro l'arte di allevare i bachi e l'arte di tessere il filo sottile.



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