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Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Gennariello

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Numero 5 del 2021

Titolo: Parliamo di...

Autore: Redazionale


Articolo:
La favola dell'edera
C'era una volta una casetta in montagna; era una baita in pietra, circondata da un grande giardino. D'inverno il giardino era una distesa bianca, sepolta sotto un candido manto di neve. A primavera, le piante si risvegliarono una ad una, colorando quel luogo silenzioso con le loro foglie e i loro fiori. Vicino a quello che i bambini chiamavano «cucciolo di abete», un giovane alberello smanioso di crescere, fece capolino una piantina assai modesta: aveva due piccole foglie verdi scure attraversate da sottili venature bianche. Si chiamava edera e presto divenne nota a tutte le altre piante del giardino: infatti, non stava mai zitta. Chiedeva perché le nuvole si muovevano così velocemente in cielo, perché la luna a volte era tonda e a volte a mezzaluna, perché le farfalle volavano, perché le rane gracidavano e perché le rose erano così belle. La curiosità dell'edera era genuina: voleva sapere tutto del mondo! Le altre piante, però, non vedevano di buon occhio la sua curiosità: «Quanto parla quella pianticella, cosa avrà mai da scoprire», si dicevano tra loro i gerani, osservandola con stizza. Un giorno arrivò nel giardino un grande vaso di terracotta.
Il padrone della casa lo posizionò in pieno sole, al centro del giardino, perché quella pianta, venuta da lontano, aveva bisogno di moltissima luce. Era un ulivo; un tempo gli ulivi non crescevano in montagna, ma ormai il clima era cambiato e sarebbe cresciuto bene anche lì. Gli occhi di tutte le piante si puntarono sui suoi rami nodosi e sulle sue foglie argentate.
«Quant'è bello!» esclamavano le rose vanitose.
«Ma è uno straniero venuto da lontano. Cosa sappiamo di lui?» intervennero gli iris sospettosi.
Ben presto il sentimento di diffidenza si diffuse in tutto il giardino. L'ulivo, già timido di suo, rimase silenzioso e guardingo.
Solo l'edera, animata come sempre dalla curiosità, attaccò, come si suol dire, bottone: «Ehi tu, è vero che hai visto il mare? È vero che è azzurro e immenso?».
L'ulivo rimase sorpreso: fino a quel momento nessuno gli aveva ancora rivolto la parola, poi le sorrise e iniziò a raccontare la sua storia. Parlò del mare e della sua acqua salata, del sole caldo che infiamma le coste, della brezza del mattino e dei fiori di arancio.
Quando terminò il suo racconto si sentì molto meglio: l'edera lo aveva messo a suo agio e continuava a ripetere che presto o tardi sarebbe andata anche lei a vedere il mare. Quella notte, la fata dei fiori scese nel giardino e svegliò la pianticella.
«Buonasera fata dei fiori, perché arrivi a quest'ora?».
«Voglio ringraziarti: l'ulivo era così spaventato e tu hai saputo rincuorarlo».
«Ma ci sarebbero riuscite anche le altre piante, se solo gli avessero parlato».
«Cara edera, non è facile affrontare le novità con l'entusiasmo con cui hai fatto tu: spesso ciò che non conosciamo ci fa paura. Ma nel tuo cuore la paura è stata vinta dalla curiosità e dal tuo amore per tutto ciò che non conosci; è per questo che ho deciso di farti un dono».
La fata strofinò sull'edera un bastoncino coperto di polvere incantata. «Da domani potrai arrampicarti ovunque e raggiungere anche i posti più lontani: finalmente viaggerai, come hai sempre desiderato, e scoprirai il mondo. Ma ricorda: non farti mai piegare dalla diffidenza».
Quella notte l'edera si trasformò in una pianta rampicante: le sue radici diventarono forti e capaci di attaccarsi ovunque, anche su un muro spoglio. Da allora, l'edera si arrampica dappertutto e continua a fare mille domande a tutti coloro che si fermano ad ascoltarla; e anche se è passato tanto tempo, la sua curiosità e il suo entusiasmo sono più vivi che mai.
(Alessia de Falco & Matteo Princivalle www.portalebambini.it)

Avrai notato che l'edera, rispetto alle altre piante del giardino, ha un comportamento molto diverso nei confronti dell'ulivo: curiosa com'è, cerca di parlargli, di conoscerlo, perché sa che ogni giorno c'è sempre da imparare qualcosa dagli altri e più gli altri sono diversi da noi, più cose si imparano. Le altre piante, invece, si chiudono nel loro mondo e così giudicano l'ulivo senza conoscerlo e le loro opinioni non sono molto amichevoli verso il nuovo arrivato! Le altre piante, insomma, sono cattive perché sono piene di «stereotipi». Cerchiamo di capire il significato di questa parola, che, sempre per rimanere nel mondo vegetale, rappresenta il terreno in cui il bullismo mette le sue radici.

Gli stereotipi di genere
Cosa sono gli stereotipi di genere?
Innanzitutto cerchiamo di capire cosa significa la parola stereotipo. La parola stereotipo deriva dal greco, stereos che significa «duro, solido, rigido» e typos «impronta, immagine».
Lo stereotipo era un metodo di duplicazione (1) inventato in ambito tipografico (2) per produrre tante copie tutte uguali. Da qui già possiamo cominciare a capire che lo stereotipo di genere significa attribuire delle caratteristiche a un genere (le femmine) o all'altro (i maschi) in base a un'opinione, un'idea precostituita. Vuol dire esprimere un pensiero o un'opinione sulla base di un'immagine rigida, uno schema fisso. Significa avere un pregiudizio, parlare per luoghi comuni, frasi fatte o come dicono i francesi cliché...
Gli stereotipi di genere quindi attribuiscono delle caratteristiche fisse al maschile e al femminile. Che però non sempre sono vere! Per esempio: non è che a tutte le femmine piace il colore rosa e ai maschi l'azzurro, alle femmine la danza e ai maschi il calcio, non è sempre detto che le femmine giocano con le bambole e i maschi con le macchinine. E così stereotipando... si è costruita una vera e propria raccolta di espressioni che non hanno alcun fondamento.
Vi è mai capitato di sentire che... i ragazzi sono più bravi in matematica e in scienze mentre le ragazze in arte e letteratura (ma chi l'ha detto!). Oppure che i maschi sono razionali e le femmine più emotive (ma stiamo scherzandooooo!).
Ci sono poi delle vere e proprie frasi che sono entrate a far parte del nostro linguaggio, frutto di queste idee troppo rigide. Eccovi qualche esempio:
donna al volante (3) pericolo costante;
non piangere come una femminuccia.
Oppure quante volte si sente dire che la mamma stira e cucina e il papà lavora e guida l'auto. Magari la vostra mamma guida molto meglio del vostro papà e il vostro papà cucina dei pranzetti squisiti!
Ragionare per stereotipi è la cosa più facile. Ma significa anche non... ragionare! Significa prendere un concetto già fatto e appiccicarlo addosso a qualcuno.
Gli stereotipi purtroppo non sono solo di genere e possono diventare anche pericolosi quando diventano un vero e proprio luogo comune. Possono diventare la base su cui cresce poi facilmente la discriminazione (4) e il bullismo (5) e qualsiasi tipo di violenza. Per esempio:
pensare che sia uno sfigato chi prende degli ottimi voti a scuola;
ridere di una persona per il suo aspetto fisico;
discriminare qualcuno per il suo orientamento sessuale, per il colore della pelle, per il suo modo di apparire anche un po' stravagante (6).
Quindi ragionate ragazzi e gli stereotipi lasciamoli stare nella tipografia!
(Liberamente tratto da «Cosa sono gli Stereotipi di Genere» - Spiegati facili ai bambini e ai ragazzi da Il Mio Primo Quotidiano www.ilmioprimoquotidiano.it)
Glossario
1) duplicazione: fare una copia esattamente uguale;
2) tipografico: da tipografia. Procedimento di stampa;
3) volante: manubrio che serve per guidare una macchina;
4) discriminazione: quando qualcuno viene trattato in modo diverso o escluso;
5) bullismo: insieme di comportamenti in cui qualcuno ripetutamente fa o dice cose per avere potere su un'altra persona o dominarla;
6) stravagante: bizzarro, eccentrico, bislacco.




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