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Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Corriere Braille

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Numero 20 del 2021

Titolo: Dal Braille alla sfida dell'immagine

Autore: Gianluigi Ugo


Articolo:
I ciechi ieri ed oggi
L'invenzione ad opera di Louis Braille dell'omonimo sistema di scrittura a puntini costituisce fuor di dubbio l'inizio di una nuova era per i ciechi di tutto il mondo, giacché è da questo momento che si iniziano a muovere i primi passi verso la loro emancipazione di fatto.
Il XIX secolo segna a tal fine una fase di rodaggio che vede nelle diverse strutture di ricovero per non-vedenti, gestite per lo più da religiosi, effettuarsi le prime sperimentazioni metodologiche per giungere poi alle soglie del Novecento con la messa a punto di programmi di scolarizzazione e di formazione professionale a cura delle istituzioni pubbliche. Così avviene in Italia, ove un regio decreto del 1923 sancisce per i ciechi l'obbligo scolastico e trasforma le strutture sino ad allora funzionanti come ricoveri per gli stessi in veri e propri istituti scolastici con annesso internato, in alcuni dei quali si tengono anche corsi di addestramento professionale, fondamentali in una prospettiva di collocamento dei privi di vista nel mondo del lavoro. Siamo in piena riforma Gentile, la quale vede l'incardinamento a pieno titolo dei non-vedenti nel nuovo programma di istruzione scolastica e di avviamento professionale. Ne sono testimoni personaggi del calibro di Augusto Romagnoli, padre della tiflopedagogia in Italia, e Aurelio Nicolodi, fondatore e primo presidente nazionale dell'Unione Italiana Ciechi, uomini il cui operato accompagna i privi della vista italiani lungo buona parte della prima metà del Novecento.
L'indomani del secondo conflitto mondiale vede delinearsi nuovi fronti di battaglia, primo tra tutti quello della previdenza e dell'assistenza pensionistica, con l'Unione Italiana Ciechi, esistente sin dal 1920, in prima linea per un adeguato sistema di supporto economico a favore dei ciechi italiani. A tale scopo, il 10 maggio 1954 un folto gruppo di non vedenti, soprattutto dalla Toscana, lascia a piedi Firenze alla volta di Roma. L'impresa, nota come la «Marcia del Dolore», vuol essere il modo eclatante per richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica e delle pubbliche Istituzioni sulla precaria situazione economica dei ciechi italiani e sul loro diritto ad un lavoro e a quanto possa garantire loro una vita dignitosa al pari degli altri. Nuove figure avevano nel frattempo raccolto il testimone per proseguire il cammino iniziato dai primi pionieri: un cammino arduo, forse talvolta con maggiori ostacoli rispetto a quelli incontrati dai loro predecessori. Ma era gente che aveva provato una guerra, e forse anche due, gente abituata perciò a lottare e col poco che aveva era riuscita a fare e ad ottenere molto. Avevano per altro capito da subito che la loro azione doveva essere mediatica prima ancora che politica. E così, nel 1954, decisero di calcare le strade d'Italia, certi che l'appoggio dell'opinione pubblica avrebbe sicuramente condizionato a loro favore le decisioni in sede istituzionale. Ed ebbero ragione, come s'è poi visto. A partire da quello stesso anno, una serie di provvedimenti di legge porterà ad importanti conquiste nel settore lavorativo e previdenziale, che faranno della legislazione italiana in materia un riferimento sempre più frequente per possibili analoghe rivendicazioni da parte dei ciechi in altri paesi.
Gli anni 70 del Novecento vedranno poi farsi largo, nel bene o nel male, una progressiva integrazione scolastica dei non-vedenti. Per quanto i vecchi istituti offrissero un programma didattico ottimale per la crescita culturale e il successivo avviamento professionale dei privi di vista, la permanenza di costoro per periodi prolungati in contesti spesso di promiscuità intellettiva e generazionale non era per lo più di giovamento al pieno formarsi della personalità. Né l'apporto del personale assistente al di fuori delle ore di lezione era a volte il più adeguato. Si salvavano, per così dire, coloro che, risiedendo nella stessa città sede dell'istituto, potevano con ciò recarsi almeno per i fine-settimana e in occasione delle festività infrasettimanali presso le rispettive famiglie, con l'opportunità di meglio far fronte all'insorgere di comportamenti non consoni alla propria regolare crescita. Tuttavia la progressiva motorizzazione privata e l'uso sempre maggiore della comunicazione visiva a scapito di quella verbale non tarderanno a mostrarsi portatrici di nuove e talvolta più subdole forme di discriminazione.
Il 1981, Anno Internazionale dell'Handicappato, e il 2003, Anno Europeo della Disabilità, porranno infatti nuovi importanti quesiti sulla qualità della vita delle persone disabili, a cominciare dalla sfera relazionale, troppo di rado presa in considerazione dall'informazione, mentre le associazioni di categoria, prese da altrettante incombenze di ordine civile ed economico, delegano la soluzione dei problemi umani a realtà che, malgrado le nobili finalità, si rivelano alla fine prive delle risorse umane e mentali atte ad offrire il supporto sperato, mentre urge chiedersi non più cosa la gente pensa dei disabili, ma piuttosto cosa la gente vuole da essi per sentirsi finalmente pronta ad accettarli.
Tornando poi alla politica, l'affidarsi unicamente all'onorevole di «buon cuore» non basta, tali e tante sono le incombenze quotidiane che pervadono la «nobile arte». V'è dunque bisogno di una presenza diretta e più massiccia in seno al Legislatore di coloro che maggiormente necessitano di veder garantiti da esso i diritti fondamentali e che più d'ogni altro si vorrebbero in grado di operare efficacemente per garantirne il rispetto, oggi che anche i ciechi godono di un discreto benessere economico, mentre nuove incomprensioni sembrano aggiungersi a quelle di sempre, innalzando ulteriori barriere tra essi e il mondo di tutti. Ne deriva che la presenza di esponenti della disabilità a tutti i livelli della politica non può più limitarsi all'iniziativa di singoli privilegiati, ma dev'essere d'ora innanzi assolutamente strategica per le associazioni che li rappresentano e che devono perciò incoraggiare mediante opportune campagne i soggetti maggiormente capaci mettendo a punto percorsi formativi volti a fornire agli interessati gli strumenti per scendere in campo ad armi pari, sia in termini di immagine personale che di conoscenze, rispetto ai colleghi normodotati.
E se vi sono dei limiti che spesso taluni ciechi ostentano con il proprio comportamento e che non di rado sono causa di episodi poco edificanti, va altrettanto sottolineato come in passato v'erano scuole in grado di forgiare tali soggetti e di proiettarli attraverso gli studi e la formazione professionale nel mondo di tutti. Ora che la scuola è allo sfascio e la demagogia dell'handicap a fini ideologici vi fa da padrona, spetta alle associazioni riempire questo vuoto e, libere da inutili falsi pudori, condurre gli interessati attraverso una sostanziale autocritica verso una maturazione che li renda appetibili e capaci di raccogliere la nuova ed ancor più difficile sfida dell'integrazione umana e relazionale, in cui norme e leggi speciali non contano, ma conta unicamente la capacità di interagire correttamente con tutti senza suscitare inutile commozione od altra alterazione emotiva. Continuare a proclamare ai quattro venti quanto bravi sono i disabili visivi, è un copione che non convince più gran che, tanto meno se di mezzo v'è il solito pubblico vacanziero di fantozziana memoria, fatto di burocrati e piccoli dirigenti, pronto a nascondere dietro a gragnuole di elogi ed ovazioni un sentimento per lo più di compassionevole ammirazione se non di rifiuto, capace di far disertare un albergo, un ristorante o uno stabilimento balneare se frequentato da gruppi di persone disabili, sui quali finisce per ripercuotersi anche il rifiuto del gestore timoroso di perdere clienti importanti.
Cosa in vero la gente si aspetti e voglia dal mondo dei disabili per accettarne con serenità la presenza non è affatto chiaro. Quanto ai ciechi, si è sempre chiesto cosa la gente sa e pensa di loro. Altro sarebbe se, per esempio, dall'inchiesta condotta a suo tempo dalla Doxa fosse emerso ciò che da essi si vorrebbe per meglio accettarli. Un fatto che avrebbe di sicuro contribuito a fare chiarezza su di un aspetto cruciale nel riconcepire l'intero rapporto tra i ciechi ed un mondo di cui non rinunciano a sentirsi parte.



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