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Kaleîdos

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Numero 17 del 2021

Titolo: Sally Ride. Odissea nello spazio

Autore: Mariella Boerci


Articolo:
(da «F» n. 35 del 2021)
È stata la prima americana a vedere le stelle da vicino. A 70 anni dalla nascita, ecco la storia dell'astronauta protagonista di una leggenda che continua. Sulle monete
Aveva 32 anni quando, a testa in giù a bordo dello shuttle Challenger Sts-7, sorrideva dallo spazio, «emozionata e felice», sui teleschermi di tutto il mondo. Era il 18 giugno 1983 e lei, Sally Ride, fisica e ricercatrice californiana, gambe lunghe e occhi blu, era la prima donna americana ad arrivare fra le stelle mandando in frantumi il tetto di cristallo stratosferico fin lì inibito dalla Nasa all'altra metà del cielo.
«So che le persone mi guarderanno molto da vicino ed è importante che faccia un buon lavoro», aveva dichiarato nei giorni precedenti la partenza. Lo aveva fatto. Sally, come avevano riconosciuto tutti, addetti ai lavori e media, aveva eseguito «perfettamente» le due manovre più delicate e importanti della missione, ossia il lancio di due sonde per le telecomunicazioni e il primo esperimento di abbandono e recupero di un carico spaziale attraverso l'azione del braccio robotico della navetta.
E dire che la primogenita di Dale e Joyce Ride, nata a Los Angeles il 26 maggio 1951, non era affatto cresciuta con il sogno di staccare la sua ombra dalla Terra, ma semmai di diventare campionessa di tennis. La ragazza aveva passione e stoffa: già a dieci anni aveva iniziato a partecipare a vari tornei fino a conquistare la 18a posizione nella classifica nazionale giovanile.
Proprio grazie a quel risultato, aveva ottenuto una borsa di studio che le aveva consentito di frequentare la prestigiosa (e assai costosa) Westlake School for Girls di Los Angeles senza pesare troppo sul bilancio della famiglia. E proprio in questa scuola aveva iniziato ad appassionarsi alla scienza e allo studio della fisica.
Quel desiderio di toccare il cielo
12 gennaio 1977. Sullo Stanford Daily, il quotidiano della Stanford University dove Sally stava ultimando il dottorato di ricerca in Fisica, era apparso un annuncio in cui la Nasa cercava astronauti per il Programma Space Shuttle e, per la prima volta, apriva le selezioni alle donne. Sally stava facendo colazione e, nel leggere l'annuncio, l'improvviso desiderio di toccare il cielo l'aveva indotta a rispondere d'impeto - 40 righe a mano - pur nella serena consapevolezza che le probabilità di non essere scelta erano - quelle sì - stellari. Sbagliava. Quasi un anno dopo, alle 5 del mattino, era stata svegliata da una telefonata. Arrivava dalla Florida: «Miss Ride, sono George W. Abbey (il direttore delle operazioni di volo della Nasa, ndr). L'aspetto a Houston il 3 luglio». Lei si era data un pizzicotto: «Sto sognando?». No, era sveglia. E ce l'aveva fatta. Su un totale di 8.900 aspiranti, dei quali circa un migliaio donne, Sally Kristen Ride era una dei 35 selezionati - 29 uomini e sei donne - ammessi al programma di addestramento della Nasa per lo Space Transportation System, noto come Space Shuttle. «Avrei voluto svegliare tutti e urlare la notizia al mondo ma, vista l'ora non era il caso».
Lost in space
Era partita per Houston alla fine di giugno, subito dopo avere (trionfalmente) discusso la tesi di dottorato. E poco dopo, durante il durissimo addestramento, aveva incontrato l'uomo che, nell'82, sarebbe diventato suo marito, l'astronauta Steven Hawley. «Sono dove sognavo di essere», aveva scritto alla sorella Karen, ministro della Chiesa presbiteriana.
A rendere perfetto il quadro mancava ancora il volo spaziale. Ma per poco.
La «chiamata» era arrivata nell'83, dopo due missioni da terra nel ruolo di addetta alle comunicazioni fra astronauti e centro di controllo. Sally era stata scelta come mission specialist per la missione spaziale della Sts-7 a bordo dello Space Shuttle Challenger «per la non comune capacità di risolvere sotto stress i problemi di ingegneria più complessi restando fredda».
La mattina·del·18 giugno si era svegliata prestissimo: «Sentivo una responsabilità speciale a essere la prima donna americana nello spazio». Per non dire del magma di emozioni che l'attraversavano. Alle 7,33 in punto lo Shuttle si era staccato dalla rampa di lancio sfrecciando verso il cielo in una scarica incandescente di razzi per portare tra le stelle Sally e i suoi sogni. In un colpo solo, aveva battuto tre record: non solo era la, prima donna americana nello spazio e la terza dopo le sovietiche Valentina Tereskova e Svetlana Savickaja, ma era anche la prima con una laurea in Fisica e un dottorato in Astrofisica, e, a soli 32 anni, era (ed è rimasta) l'astronauta più giovane della storia.
Il suo amore segreto
Al ritorno sulla Terra, Sally, in prima pagina su tutti i giornali, era l'eroina d'America. Lei, riservatissima, cercava di contenere gli entusiasmi: «Ciò che conta è la missione, non io». La verità era che Ride aveva realmente una marcia in più. Tanto che Bob Crippen, mitico comandante del primo volo con il Challenger, pose come sola condizione per accettare la missione Sts-41-G che Sally fosse nell'equipaggio. Quella missione, partita il 5 ottobre 1986 e durata nove giorni, sarebbe stata l'ultima per Sally. Infatti, mentre si addestrava per la terza missione spaziale, il disastro dello Space Shuttle Challenger, esploso in diretta mondiale il 28 gennaio 1986 con sette astronauti a bordo, causò la cancellazione immediata di tutti i voli umani della Nasa. Lei venne assegnata alla commissione d'inchiesta e, per quanto avesse programmato di lasciare la Nasa e tornare al mondo accademico e alla ricerca, alla fine rimase.
A marzo 2011 le fu diagnosticato un tumore di quelli che non perdonano. Per 17 mesi lottò senza farne parola a nessuno. Se ne andò il 23 luglio 2012, a 61 anni, in un giorno d'estate limpido come quello del suo primo volo. Un necrologio, concordato negli ultimi giorni di vita di Sally, rese pubblica la quasi trentennale (e segreta) storia con la sua compagna, Tam O'Shaughnessy, conosciuta a 12 anni sui campi da tennis. Dopo la morte sono stati tantissimi i riconoscimenti ricevuti da Sally. L'ultimo l'ha voluto Joe Biden ed è il suo volto su una serie di monete da un quarto di dollaro che la Zecca americana emetterà per quattro anni a partire dal prossimo gennaio. La leggenda continua.
Mariella Boerci



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