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Kaleîdos

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Numero 18 del 2021

Titolo: Donne coraggiose

Autore: Redazionale


Articolo:
Carriera, addio.
Oggi mi prendo cura di undici bambini
Storia di Sara
(tratto da «Coraggiose» a cura di Silvana Gavino - Cairo Editore)
Una sera di molti anni fa mi telefona mio fratello Valerio. Fa il volontario in una casa rifugio per ex prostitute sottratte alla schiavitù dei loro aguzzini. Vuole venire a cena a casa mia e di mio marito insieme a Padre Ambrogio, un religioso somasco impegnato nel sociale, e due di queste ragazze. Me le immagino con il trucco pesante, i tacchi altissimi, gli abiti scollacciati. Già mi sembra di vedere gli sguardi interrogativi dei miei vicini. Vorrei dirgli di no, ma non ne sono capace. Preparo da mangiare e aspetto il loro arrivo.
Quando apro la porta, mi trovo di fronte due bambine sui roller.
«Buonasera, grazie per l'invito. Io sono Maruska, e lei Iezabel».
Romena una, albanese l'altra, zero make-up, t-shirt e pantaloncini. 13 e 15 anni. E tutte le mie paure e i miei pregiudizi sono franati, sepolti dalle chiacchiere tra ragazze sui locali di tendenza di Milano, i negozi low-cost con i look più originali, i cantanti e i cibi preferiti, mentre mio fratello e mio marito ridacchiano sotto i baffi. Non me ne sono resa conto perché avevo pochi anni più di loro, ma Maruska e Iezabel sono state le mie prime figlie.
Adulti fragili dietro ai piccoli in affido
Oggi ho undici figli, dopo averne cresciuti una quarantina. Oltre ai miei tre naturali, Francesco, Maddalena ed Elia, con mio marito Carlo Alberto mi occupo di altri otto ragazzi. Sono tutti italiani, qualcuno con un genitore di origine straniera. Non mi sento una super mamma: ogni mamma lo è, l'amore, semplicemente, si moltiplica.
Viviamo a Casa San Girolamo, una struttura della Fondazione Somaschi. Siamo una casa famiglia, dove i ragazzini possono stare finché i genitori non sono in grado di occuparsi di loro, finché diventano maggiorenni oppure finché non trovano una famiglia affidataria vera e propria. Ogni bambino ha la propria storia e non è mai semplice - qualche volta sono stati anche abusati - il filo rosso però è sempre la fragilità degli adulti che avrebbero dovuto crescerli. Madri e padri che sono scivolati nella tossicodipendenza, nell'alcolismo o sono finiti in carcere. Povertà d'amore. Mai difficoltà economiche.
Il sogno di una famiglia diversa
Carlo Alberto e io, sposati da vent'anni, immaginavamo già da fidanzati la nostra famiglia speciale e con molti figli.
Ma per costruirla occorrono soldi. Così, da neolaureati, mentre lui si era trasferito a Parigi alle dipendenze di una multinazionale, io ero nell'ufficio legale di una banca a Milano. Colleghi simpatici, lavoro tollerabile, ma ogni aspirazione sacrificata allo stipendio.
«Invece di lamentarti, perché non ci dai una mano?» ripeteva mio fratello.
Così, alla fine della famosa cena con Maruska e Iezabel, Padre Ambrogio, non appena ha sentito dove si trovava la sede della mia banca, ha esclamato: «Ma è a due passi da noi! Vieni a trovarci? Loro due hanno bisogno d'aiuto per denunciare gli sfruttatori, richiedere i documenti e il permesso di soggiorno».
In pratica mi ha incastrato.
Il volontariato con le ragazze ha riempito quel vuoto che la mia professione non riusciva a colmare. Di mese in mese l'impegno è cresciuto, e un giorno Padre Ambrogio mi ha proposto un'assunzione. Mio marito e io ci siamo guardati negli occhi.
«È un lavoro a tempo pienissimo e lo stipendio non è paragonabile. Che faccio?».
«Vai. È quello che hai - che abbiamo - sempre sognato».
L'anno successivo anche lui ha lasciato il suo lavoro per le opere dei padri Somaschi. E io sono passata al pronto intervento: sulle strade dell'hinterland milanese, dove le ragazze vittime di tratta sono costrette a vendere il loro corpo. Ho conosciuto donne di ogni parte del mondo, molte minorenni, con storie atroci: come Irina, 19 anni, ucraina, raccolta in fin di vita sul ciglio di una strada con la testa sfondata da un cric perché aveva osato ribellarsi all'albanese che l'aveva ridotta in schiavitù. Ho seguito la sua lenta rinascita.
Il mio battaglione di piccoli indisciplinati
Quando sono rimasta incinta per la seconda volta, ho capito che non sarei più stata in grado di sostenere il carico emotivo e l'impegno richiesto dal pronto intervento. Una delle comunità educative famigliari per minori era scoperta: un altro religioso somasco, Padre Walter, ci ha proposto di subentrare nella gestione, per diventare «genitori di riserva» di tanti ragazzini bisognosi di una famiglia. Alcuni difficili. Ma con quello che mi hanno insegnato le ragazze vittime di tratta, nessuno lo è stato tanto da farmi gettare la spugna.
La mia giornata tipo? Impegnativa fin dal mattino. Quando devo svegliarli, far sì che siano tutti vestiti, «colazionati», con la cartella fatta, i denti lavati e puntuali a destinazione ovvero elementari, medie, superiori. Alle nove le energie sono già finite, ma c'è quello malato, quello sospeso da scuola perché si è rifiutato di fare il compito in classe, ha risposto male al prof o ha alzato le mani su un compagno, quello che deve fare la visita medica o vedere l'assistente sociale. Quindi i rientri in ordine sparso e il servizio taxi per le varie attività: basket, pallavolo, calcio, hip hop, nuoto e, per chi non ama lo sport, scuola di fumetto. E poi si cena, spesso metà in cucina e metà in sala per dare a tutti la possibilità di parlare, senza risparmio né di decibel né di orecchie.
Chi semina raccoglie
È molto difficile entrare in relazione con un adolescente che ha subito abusi da un adulto. Ma conta ciò che si semina. Renata, per esempio, si è presentata dicendo: «Io qui non ci voglio stare. La mattina del mio diciottesimo compleanno non mi trovi nel letto». Me ne ha fatte tante, compresa una fuga di trentasei ore. Ma non appena è diventata maggiorenne, ha chiesto di restare fino ai 21 anni. E, un mese dopo essersene andata davvero, ha voluto noi al primo pranzo con i futuri suoceri. Tra qualche settimana, Renata sarà la madrina della cresima di Maddalena. Perché, lo ribadisco, l'amore si può solo moltiplicare.
Sara Pedroni, 47 anni, vive con il marito, tre figli e otto ragazzi in affido a Casa San Girolamo, casa famiglia della Fondazione Somaschi. Si trova a Somasca di Vercurago (Le).



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