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Corriere dei Ciechi

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Numero 10 del 2021

Titolo: ATTUALITÀ- Un cieco potrebbe usare il pc a suo rischio e pericolo

Autore: Carlo Sist


Articolo:
Quando mi hanno chiesto di scrivere un articolo sulla vicenda che mi vede coinvolto, mio malgrado, da ormai 4 anni, ho pensato a quale titolo sarebbe stato più idoneo a descriverla.
Così mi è tornata alla mente la frase che più mi ha dato fastidio, tra tutti i vari scritti che sono intercorsi al fine di evidenziare le criticità presenti, le responsabilità, le soluzioni possibili, le normative di settore e tante mail rimbalzate avanti e indietro.
Tutto agli atti, registrato, perché in Italia anche nero su bianco si fa fatica a chiedere rispetto delle norme vigenti.
Come tutti sappiamo, gli screen reader, oggi, ci danno una grande padronanza del computer. Il problema, al contrario, è che l'italiano medio non ne ha conoscenza, o meglio, l'italiano di ceto medio-alto che copre ruoli verticisti.
Ci verrebbe istintivamente da chiedere: si tratta di ignoranza informatica?
Ma la risposta è: solo in parte.
Perché si tratta piuttosto di una semplice fuga dalle proprie responsabilità rispetto alla gestione di una possibile fonte di problemi, come può esserlo un dipendente non vedente.
È più facile parcheggiare il soggetto non vedente in un angolo, senza compiti da verificare perdendoci tempo, che mettersi alla prova e dare spazio, credibilità, mezzi e fiducia al medesimo. Tanto non ci sarà nessuno che chiederà conto della gestione irresponsabile. O, meglio ancora, non ci sarà nessuno strumento che possa obbligare i responsabili di tali scelte a darne spiegazione.
La frase titolo di questa mia velina è contenuta in una comunicazione fatta, per l'appunto, dal più alto funzionario di un ente locale, nota trasmessa agli organi politici, gli amministratori.
C'è da chiedersi quindi: e loro? I controllori, gli amministratori, cosa hanno fatto?
Hanno risposto nel più classico dei modi: prendiamo atto.
Bisogna sapere che questa frase ("prendiamo atto") è molto in voga nella dialettica politico-amministrativa, perché vuole dire tutto e niente.
E questo è risaputo. Il problema reale è che poi, ad essa, non seguono decisioni.
Quindi, l'idea che il pc possa essere usato da un cieco "a suo rischio e pericolo", è così diventata propria di tutti gli amministratori cui era inviata la suddetta comunicazione del funzionario più alto, loro sottoposto e diretto esecutore mandatariale.
Otto/dieci persone, fra funzionari e amministratori, condividono e pensano che un cieco sia un problema ingestibile. Figuriamoci affidargli un personal computer, per farci che cosa? Magari per farlo lavorare come quando vedeva nei precedenti 30 anni?
Ma ora è cieco, non sa più nulla, non può più fare nulla: a quale scopo dargli un pc?
Nel frattempo, altre persone hanno preso quei ruoli, ma la sostanza non è cambiata di molto, tant'è vero che mi ritrovo ancora a doverne scrivere.
E dire che c'è stata una persona seria e scrupolosa che, nell'espletare il suo ruolo, ha più volte segnalato alle autorità preposte tutti gli inadempimenti presenti.
La mia storia non è diversa da molte altre avvenute in altri enti, aziende, paesi, regioni, luoghi d'Italia, da nord a sud e da est a ovest. Purtroppo, questo approccio italiano al lavoratore non vedente non è un'eccezione, ma una situazione piuttosto diffusa. Quasi ogni giorno, leggo di persone che loro malgrado devono affrontare discriminazioni sul posto di lavoro. A volte dai superiori, altre dalla norma del momento, altre ancora dalla quotidianità degli usi e delle consuetudini. Ecco perché ho accettato di proporvi queste poche righe con il fine di far riflettere.
Questa amara considerazione fa emergere una domanda: se la classe medio-alta che ricopre ruoli importanti della società italiana ha questa visione (sì, visione, giusto per stare in tema), cosa ne penserà di un cieco l'italiano medio?
Vi sorprenderà, ma sarà molto più positiva.
Vi chiederete: possibile? Possibile, sì. Perché non è coinvolto nella gestione di responsabilità del problema cieco, ma anzi può fare la sua brava azione quotidiana di buon samaritano con cui si lava la coscienza.
"Oh, un cieco che vuole attraversare la strada: posso aiutarla? Venga con me, ecco ora siamo sul marciapiede. Buona giornata".
Cinismo, direte voi. No, pura analisi della realtà. E a volte, educazione civica, però sempre in minoranza. Questi comportamenti non si concretizzano in società evolute e consapevoli, dove, ad esempio, le stesse aziende private leggono i curricula e non li scartano poi se sopra c'è scritto "disabile", ma dicono al candidato: "per noi non è un problema, se non lo è per Lei". In Italia vengono semplicemente scartati, senza remore.
Solo un esempio: un caro amico disabile visivo, laureato al politecnico di Milano, che lavora all'estero. Ci sono paesi anglosassoni i cui media dedicano pagine alle offerte di lavoro per non vedenti. E sono professioni qualificate.
Ho appena letto di un non vedente dalla nascita che l'11 settembre del 2001 era al suo posto di lavoro al World Trade Center, Direttore alle vendite. Dopo essersi assicurato che i suoi dipendenti fossero tutti in salvo, con il suo cane guida è riuscito a scendere 18 piani di scale d'emergenza prima che la torre crollasse.
Oggi è in pensione ed è divenuto, suo malgrado, un testimone non solo di quella sciagura, ma anche dell'emancipazione che questa disabilità ha raggiunto in Nord America.
Riuscite a immaginarvi questi esempi in Italia?
Adesso però è arrivato il momento di trovare una soluzione a questo andazzo italiano, perché, se mai mi pubblicheranno questo fermento linguistico, occorre che sia anche utile a riflettere e che sia progenitore di efficaci rimedi. Altrimenti abbiamo perso tempo entrambi, io a scrivere e voi a leggermi.
La soluzione può essere solo una: mettere davanti al fatto compiuto tutti gli italiani, dall'uomo della strada, al manager dell'ultimo piano del grattacielo.
La nostra associazione ha 100 anni. Che ne dite, non è forse venuto il momento di mandare un messaggio forte, shock, al passo coi tempi?
Uno spot con un non vedente che lavora al pc, facendo di tutto e di più, con fuori campo dei manager imbarazzati e stupiti, perché ha trovato anche gli errori che loro stessi hanno commesso, correggendoli.
Nello spot promo di UICI passato qualche mese fa, la protagonista non solo accarezza il suo cane, esce a fare sport, ma sta anche seduta al lavoro sul suo pc. Uno spot che univa insieme il lavoro, il tempo libero e la vita quotidiana.
Per non perdere quel messaggio, occorre proseguirlo e potenziarlo così da lavorare sulle coscienze della società, colpirle. E un grande effetto lo avrebbe anche qualche intervista a quei rari professionisti non vedenti che ci onorano con i loro traguardi, raggiunti in posizioni di alto livello. Renderli visibili vuol dire far capire a tutti cos'è possibile se lo si vuole, anche da noi.
La prima domanda è rivolta a noi stessi disabili della vista: vogliamo per primi emanciparci o preferiamo rimanere dentro i binari in cui la società ci ha inserito, bloccandoci? Siamo noi a fare la Storia o ci limitiamo a subirla?
Avete idea di quale impatto avrebbe mediaticamente sulla mentalità dei nostri concittadini vedenti? Sarebbe un impatto tanto forte da arrivare addirittura a mettere in difficoltà quegli atteggiamenti irresponsabili e ormai consuetudinari di cui prima abbiam parlato.
Non possiamo più aspettare che sia solo la normativa a rendere applicabile l'integrazione della disabilità: prima siamo noi a doverla emancipare di fronte a tutti. Ma prima di emancipare la disabilità dobbiamo emancipare anche i disabili.
Troppo spesso mi trovo a vedere atteggiamenti rinunciatari o passivi di disabili visivi che perdono tempo inutilmente ascoltando musica sul posto di lavoro o leggendo infiniti libri per poter occupare il tempo del parcheggio imposto. Amo la musica e leggo moltissimo, ma non sul posto di lavoro!
Il lavoro è dignità. Se non è permessa, è solo semplice e vergognosa discriminazione!
Se i miei superiori mi vogliono declassare, mi obbligano a reagire, a migliorarmi anche se non ho più l'età della scuola. E così il tempo del mio lavoro è tutt'altro che sprecato, ma diventa occasione per rubare conoscenze e per comprendere cosa può fare il pc, arrivando a seguire corsi a livello di master. Corsi che tutt'ora sto seguendo. Mi offrono conoscenze che poi riverso anche sulla mia sezione affinché siano condivise e non vadano sprecate solo in chi scrive.
La conoscenza è un motore inesauribile di avanzamento culturale che può solo aggiungere frecce al nostro arco della saggezza, quello che usiamo nella lotta al quotidiano.
Colgo l'occasione per ringraziare quanti mi hanno aiutato sulle liste, in privato, di persona e in chat, e mi scuso se non faccio nomi, ma sappiate che siete tutti importanti per me. Siete davvero in gamba.
Così come ringrazio il mio Presidente sezionale che, pur con la scarsità di mezzi a nostra disposizione, non molla la presa, cercando di arrivare a centrare i nostri obiettivi in questa incivile situazione, incredibile e assurda.
Fino a 4 anni fa non avevo la minima idea delle tante cose che avrei potuto fare pur non avendo alcun residuo visivo. Internet mi ha consentito di conoscere tanti non vedenti molto più bravi e competenti di me nell'informatica e nelle nuove tecnologie.
Tradotto: da vedente ero uno dei tanti che ignorava cosa può fare oggi un non vedente. Ecco perché la morale a conclusione di tutto questo è una sola: conoscenza. Se non c'è conoscenza, non c'è soluzione.
Rendiamo conscia la società italiana che i ciechi sono più evoluti di quanto questa non sia al momento e così la obbligheremo ad adeguarsi. Che ne dite?
Carlo, un ex vedente



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