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Kaleîdos

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Numero 19 del 2021

Titolo: Donne coraggiose

Autore: Redazionale


Articolo:
Ho scoperto un tumore a un mese dalle nozze
Storia di Alessandra
(tratto da «Coraggiose» a cura di Silvana Gavino - Cairo Editore)
Il vestito è perfetto, le partecipazioni spedite, il gruppo che suonerà al nostro matrimonio l'abbiamo ingaggiato ieri. Eppure non riesco a prendere sonno. Sento qualcosa di duro sul mio seno. Che faccio? Sveglio Maurizio? La notte amplifica le peggiori fantasie.
«Ma tu sei pazza, rimettiti a dormire!» mi dice il mio quasi marito quando gli domando di portarmi in ospedale. Però lo sa che sono una donna razionale quindi mi accompagna al pronto soccorso.
«Ha una massa di dieci centimetri. Secondo me è maligna» mi dice un giovane medico tenendo in mano la lastra che mi ha appena fatto. In quel momento lo odio con tutte le mie forze, ma la sua brutalità è efficace. La mattina dopo corro a fare i controlli.
La diagnosi è inesorabile e crudele.
Non sta succedendo a me, penso dieci giorni dopo, quando mi diagnosticano un tumore con metastasi al fegato. Vuol dire che non si guarisce mai, che si cercherà di tenere la malattia sotto controllo. Ma perché proprio a me? Nessun precedente oncologico in famiglia, non ho mai fumato una sigaretta. È vero, non ho mai fatto controlli, ma pensavo di dover aspettare i 40 e la cartolina della Asl.
«Avrebbe dovuto fare almeno un'ecografia» mi dice la senologa, figura a me sconosciuta fino a quel momento. Mi suggerisce di farmi curare allo Ieo di Milano, l'Istituto Europeo di Oncologia, perché sono tra i primi ad avere accesso alle terapie sperimentali. Devo iniziare subito.
Matrimonio annullato e chemio
«Sposati, Alessandra».
«Ale, aspetta. Prima devi occuparti della salute, per il matrimonio c'è tempo».
Amici, parenti, tutti dicono la loro. Ma tanto io non ho più la testa per andare all'altare. Maurizio, in modo molto trasparente, disdice gli impegni e mettiamo le nozze nel cassetto dei sogni. Io inizio a stare male, la chemioterapia è pesante. I medici mi spiegano cose che non riesco a capire perché ho la testa altrove. Impegnata a dover combattere per sopravvivere, ma non per guarire, dato che questo non è possibile. E poi sono arrabbiatissima con me stessa: come ho potuto essere così poco concentrata sul mio corpo? Certo, organizzavo il matrimonio. Desideravo un figlio e certi fastidi al seno li attribuivo a sbalzi ormonali. E poi il lavoro che mi piaceva da pazzi ed ero lanciatissima, stimata, coccolata.
Ma niente, non riesco a perdonarmi, avrei dovuto accorgermene prima.
Un giorno, finalmente, qualcosa si sblocca. Sono passati pochi mesi dall'inizio delle cure. Sto spolverando il tappeto e mi accorgo di non stare poi così male.
«Stasera vado a mangiarmi una pizza» decido risoluta.
In quel momento mi rendo conto che la mia vita, nonostante la malattia, è ancora intatta. C'è sempre Maurizio che mi sorride, mantiene la rotta, continua a prendermi in giro anche da pelata, a fare progetti, ad arrabbiarsi con me per le cose futili.
Ci sono i miei amici che mi portano a cena «il giorno che non hai nausea».
C'è Mirella che mi ha regalato il «bagnoschiuma che non gratta».
E poi mia madre che ha smesso di piangere quando le ho chiesto di non farlo più, mio fratello che mi chiama per farmi uscire dai miei pensieri, mio padre che si corica con me in un pomeriggio di infinito dolore, il mio capo che mi dice: «Sono con te, fai tutto quello che devi per star bene» e i miei suoceri che mi sorridono ogni sera.
All'improvviso capisco che tutta quella felicità è ancora lì, certo è intaccata, dalla malattia, ma sta a me scegliere cosa fare di quella immensa bellezza della vita che rimane a mia disposizione.
2015, l'anno del sì
Il nodulo al seno si è ridotto, le metastasi non si vedono, io sto relativamente bene.
«Mi sposi o no?» mi chiede Maurizio.
Quattordici mesi dopo il matrimonio annullato, ci scambiamo anelli e promesse in un 4 luglio afosissimo. Ho voluto un abito diverso da quello che avevo già scelto e nuovo anche il menù.
Se qualcuno ha protestato per i miei capricci da sposa non lo ha fatto davanti a me. Sono un po' troppo gialla, con i capelli troppo corti, ma ho scelto di vedermi splendida.
La malattia però non si ferma e sgradevoli sorprese mi attendono.
Mi ero abituata che ogni mese la Tac rivelava una certa stabilità nel mio organismo, ma all'improvviso il nodulo ricompare.
«Dobbiamo togliere il seno. Valutiamo in un secondo tempo un'eventuale ricostruzione» mi spiega l'oncologo.
Non è una bella notizia, ma l'accolgo bene: ho sempre avuto un buon rapporto con il mio corpo, ho visto già le cicatrici, so che sopravvivrò. In realtà, una volta operata, la perdita della tetta, come la chiamo io, mi fa soffrire a un livello profondo che non so spiegare.
Ci vorrà tempo per metabolizzarla. E qualche accorgimento.
Ho sempre amato le scollature, rivedo il mio look puntando sugli scolli all'americana. Compro reggiseni senza spalline, ci appiccico dentro la protesi con il biadesivo et voi-là. Tutti sanno che una è finta e ci si scherza su: «Ho sempre sognato di toccarti le tette. Posso palpare almeno la protesi?» mi chiede un collega ridendo una mattina.
Red carpet a Venezia
La scienza fa progressi, è vero, però resto malata e devo continuare a curarmi. E comunque non potrò più avere bambini, una condizione che mi fa soffrire. Ma i pensieri cupi poco alla volta evaporano. La mia vita «tecnicamente» è cambiata poco, sono stata a casa solo il mese della mastectomia e oggi, quando mi accorgo che una cosa non la posso fare, lo accetto.
M'incazzo, sia chiaro, ma lo accetto.
Un pomeriggio scrivo di getto un racconto sulla mia esperienza che mando a un concorso organizzato da un gruppo di associazioni che seguono donne con il tumore metastatico. Non le frequento perché temo che parlare di terapie & Co. diventi un'ossessione. Però scrivere la mia storia e condividerla mi fa stare bene.
Qualche mese dopo al telefono, in un giorno di fifa perché sto facendo una Tac, la voce di una sconosciuta mi regala una gioia inattesa.
«Signora Lo Cascio, il suo racconto diventerà un film».
Non ci posso credere! Parlo con la sceneggiatrice, mi spiega che alla mia storia ne uniranno altre perché si trasformi in una storia corale. E qualche mese dopo mi girano il link per una proiezione super esclusiva sul mio divano. È impeccabile. L'unica seccatura? Hanno scelto una protagonista bionda come tutte le ex di mio marito. Uffa!
L'ultimo capitolo di questa avventura è una serata al Lido di Venezia dove viene presentato il cortometraggio, in una sala piena tra tantissimi applausi.
La malattia che mi ha inchiodato la vita mi ha portato a bere Spritz in un bar sul Lido tra le celebrità assieme a mio marito e a sfilare sul red carpet della Mostra del cinema come le star di tutto il mondo. Chi l'avrebbe mai detto?
Alessandra Lo Cascio, 43 anni, programmatrice, vive a Valmadonna (Al), con il marito Maurizio e il loro cane Nil.



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