Logo dell'UIC Logo TUV

Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Corriere dei Ciechi

torna alla visualizzazione del numero 11 del Corriere dei Ciechi

Numero 11 del 2021

Titolo: IPOVISIONE- La Prevenzione della cecità in Italia

Autore: Filippo Cruciani e Angelo Mombelli


Articolo:
Il ruolo delle associazioni
Il vigente statuto dell'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti all'art. 2 comma 3 ("Scopi") recita: "promuove e attua, anche in collaborazione con enti esterni, iniziative e azioni per la prevenzione della cecità, per il recupero visivo, per la riabilitazione funzionale e sociale delle persone cieche e ipovedenti, nonché per la ricerca medico-scientifica e tecnologica finalizzata, in particolare, al settore oftalmologico e neuro-oftalmologico". Dietro a queste poche righe c'è una lunga storia, della quale cercheremo di raccontare i momenti salienti.
La prevenzione: brevi cenni storici
Il concetto di prevenzione non è così antico come forse si può immaginare. Basti pensare, che l'invenzione della vaccinazione risale alla fine del diciottesimo secolo: si trattò di una scoperta d'importanza epocale, che però faticò a diffondersi per i limiti del sistema medico scientifico dell'epoca, di pregiudizi religiosi e filosofici, ma anche di una scarsa cultura della prevenzione delle malattie.
La nascita della vaccinazione si deve al medico inglese Edward Jenner, vissuto tra il 1749 e il 1823. Durante la grave epidemia di vaiolo che colpì l'Europa a cavallo tra i due secoli, Jenner notò che i mungitori della sua zona non erano colpiti dalla malattia. Fece quindi un esperimento che oggi farebbe rabbrividire: inoculò in un ragazzo di otto anni il siero prelevato dalle vescicole di una mucca infetta dal vaiolo bovino, non trasmissibile alla razza umana e dopo un lasso di tempo inoculò nel ragazzo il virus del vaiolo umano: il ragazzo non si ammalò. Nel 1801 Jenner pubblicò i risultati dei suoi esperimenti nell'opera The Origin of the Vaccine Inoculation.
Al di là delle brillanti scoperte sopracitate, il concetto di prevenzione si affermò solo dopo la metà dell'800, quando la medicina si trovò a confrontarsi con la diffusione di massa di svariate patologie che minavano la salute della popolazione. La necessità della prevenzione si acuì anche nel settore della produzione industriale perché le esigenze erano quelle di avere a disposizione personale efficiente evitando lunghi periodi di assenza a causa delle malattie e del diffondersi dei contagi. Nel XX secolo, la scoperta degli antibiotici e di nuovi vaccini, unitamente al generalizzarsi di una cultura igienica, contribuì all'ampio diffondersi della prevenzione.
Alcuni fatti specifici colpirono l'opinione pubblica, diffondendo un approccio più consapevole alla prevenzione delle malattie. Un noto episodio ebbe luogo a New York nel 1905 e vide protagonista una donna di origini irlandesi passata tristemente alla storia con il nome di "Typhoid Mary", Mary Tifoidea. Quando nella metropoli americana scoppiò un focolaio di tifo, emerse dalle indagini che esso si era originato da un ristorante nel quale lavorava una cuoca, Mary Mallon, portatrice sana della patologia; la donna, dopo le proprie necessità corporali, si guardava bene dal lavarsi le mani e provvedeva direttamente alle necessità culinarie a lei assegnate. Fu immediatamente allontanata e l'epidemia venne debellata.
La prevenzione in oftalmologia
L'Ottocento è il secolo in cui la medicina divenne scienza in senso moderno. Si registrarono grandi scoperte e grandi scienziati si confrontarono per la prima volta tra loro. L'oftalmologia in questo processo occupò una posizione di primo piano (L'Ottocento è stato definito il Secolo d'oro dell'oftalmologia). La scoperta dell'oftalmoscopio aprì scenari impensabili nella definizione delle malattie oculari e nella loro diagnosi. Nicola Delle Noci nella sua Storia dell'Oculistica - Volume Quarto (pag. 120) - nel periodo che va dal 1851 a fine Secolo, ne elenca ben 53.
Lo sviluppo della chirurgia, favorito dalla scoperta dell'anestesia e dall'individuazione dei microbi come causa delle complicanze infettive, permise di curare molte malattie causa di cecità.
Furono infine individuati e corretti i vizi di refrazione, dando la possibilità a milioni di persone di tornare a vedere. Questo processo vide l'Italia in prima fila.
Allora le malattie oftalmiche erano molto diffuse nella popolazione di ogni età. Si susseguivano grandi epidemie di cherato-congiuntiviti, spesso legate agli spostamenti degli eserciti; il tracoma era endemico nella maggior parte della Penisola; le infezioni neonatali erano all'ordine del giorno; i vizi di refrazione non risparmiavano alcuna età; la cataratta - patologia antica quanto l'uomo - e il glaucoma erano tra le malattie più temibili; i traumi e le ferite oculari, in guerra, sul lavoro, nella vita quotidiana erano molto frequenti. Tutto ciò era causa di cecità.
I ciechi allora erano tanti, al punto da costituire una vera piaga sociale. Necessitavano non solo di assistenza, ma anche di rieducazione, riabilitazione e avviamento al lavoro. Per questo nacquero e si svilupparono gli Istituti dei ciechi nelle principali città, dietro donazioni e lasciti di tanti benefattori.
Si comprese immediatamente l'importanza della prevenzione e anche in questo caso l'oftalmologia ebbe modo di essere all'avanguardia.
Per scongiurare le grandi infezioni oculari alla nascita fu introdotta la profilassi di Credé consistente nella semplice istillazione di un collirio di nitrato d'argento nel sacco congiuntivale del neonato, resa poi obbligatoria per legge in molte Nazioni. Tanti bambini non divennero più ciechi.
Per individuare precocemente i difetti di vista, tanto frequenti negli alunni, furono intraprese iniziative di screening in molte scuole di Stati europei: nasceva così la medicina scolastica.
Per il tracoma fiorirono dovunque attività di prevenzione primaria, volte ad informare e sensibilizzare la popolazione sull'importanza del rispetto di norme igieniche, e di prevenzione secondaria con visite oculistiche eseguite nelle scuole.
La prevenzione in oftalmologia ha avuto in seguito sempre una grande importanza e considerazione non solo all'interno dei servizi sanitari, ma anche nell'attività clinica quotidiana del singolo medico.
I quattro livelli della prevenzione
Oggi la prevenzione ha diversi livelli di attuazione: per prevenzione primaria si intendono tutte quelle misure destinate ad evitare l'instaurarsi di una patologia: l'esempio classico è la vaccinazione, nonché l'ambiente, l'alimentazione etc etc… tutte quelle abitudini e tutte quelle precauzioni che mirino ad evitare l'instaurarsi di qualsiasi patologia o trauma; per prevenzione secondaria s'intendono tutti quegli interventi che, una volta instauratasi la patologia, sono destinati a ridurre gli effetti funesti della stessa. Per terziaria si intende quella prevenzione che mira ad evitare complicanze, ricadute negative o recidive successive all'evento traumatico o patologico. La riabilitazione sensoriale, che consente all'individuo di superare o contenere le conseguenze negative della perdita della vista ad esempio, rientra in questo livello di prevenzione.
Oggi è accettato dalla comunità medico-scientifica un quarto livello di prevenzione, chiamato quaternario, che include la prevenzione delle forme di iper-medicalizzazione.
L'impegno dell'Unione nella prevenzione e la nascita della IAPB
Risale agli anni '50 un episodio che fece notizia influenzando, negli anni successivi, l'attività dell'Unione Italiana dei Ciechi nel segno della prevenzione: nel 1956 l'ecclesiastico e filantropo Don Carlo Gnocchi donò le sue cornee a due ragazzi residenti nella struttura da lui organizzata: il fatto colpì l'opinione pubblica e stimolò il legislatore a promuovere una legge specifica per la donazione degli organi. L'Unione accolse l'iniziativa e nei propri bilanci istituì un capitolo specifico - oggi scomparso - dal titolo "centro don Gnocchi" per raccogliere fondi atti a promuovere la donazione delle cornee; un'iniziativa che si può ascrivere nelle attività di prevenzione secondaria.
Un'esperienza personale di Angelo Mombelli
Due anni dopo, in una puntata di Lascia o Raddoppia, l'allora seguitissimo quiz televisivo condotto da Mike Buongiorno, si presentò una ragazza di 17 anni, Amelia Battistello, a cui era stata trapiantata una delle cornee donate da Don Gnocchi. Allora possedevo ancora il bene della vista e quella sera ero alla fiera di Milano, nel pubblico di coloro che si commossero al racconto di Amelia; l'evento aveva cambiato radicalmente la sua vita; non immaginavo certo allora che nel futuro, non tanto prossimo, sarei stato coinvolto in prima persona in un problema legato alla vista.
La nascita della IAPB
Ci vollero alcuni anni per assistere ad una svolta decisiva dell'impegno da parte dell'Unione nell'ambito della prevenzione delle malattie della vista, anche se un aspetto ci sembra quanto mai opportuno sottolineare: la prevenzione è stata sempre vissuta dai non vedenti come una missione da portare avanti con il massimo impegno. Si pensi soltanto che la prima rivista di tiflologia nata in Italia nel 1905 si intitolava "Rivista di tiflologia e igiene oculare" e l'anno successivo divenne "Rivista di tiflologia e per la Prevenzione della Cecità".
Nel 1929, a latere del XIII Congresso Internazionale di Oftalmologia in Olanda, si riunirono oculisti di tutte le Nazioni e rappresentanti di Enti che si occupavano di problemi igienici e sociali e fu fondata la prima organizzazione internazionale che si occupava di prevenzione della cecità. Presidente fu il francese prof. De Lapersonne. Il consigliere per l'Italia fu il prof. Maggiore, mentre il prof. Angelucci per acclamazione venne eletto fra i membri d'onore.
Nel 1975, a Londra, quest'iniziativa venne rilanciata e fu fondata la International Agency for the Prevention of Blindness, come organizzazione non governativa impegnata nella mobilitazione di risorse e mezzi a livello mondiale da destinare alle attività di prevenzione delle malattie della vista. Suo scopo principale era quello di promuovere e sostenere una campagna globale contro tutte le forme di cecità che si possono evitare, con impegno particolare nei riguardi delle comunità prive di mezzi.
L'iniziativa ebbe una risonanza mondiale: il prof. Giambattista Bietti, allora presidente della Società Oftalmologica Italiana e membro esecutivo della IAPB, propose all'Unione Italiana dei Ciechi di creare una Sezione Italiana della precitata.
La proposta fu subito accettata e il 9 febbraio del 1977, congiuntamente alla Società Oftalmologica Italiana, l'Unione Italiana dei Ciechi, fondò la Sezione italiana della IAPB; all'atto della nascita erano presenti il professor Bietti per la Società Oftalmologica Italiana e, per l'Unione Italiana dei Ciechi, l'avvocato Roberto Kervin e il professor Enzo Tioli. L'iniziativa non fece altro che riaffermare un nobile sentimento dei non vedenti traducendolo in un impegno concreto.
(Continua)



Torna alla pagina iniziale della consultazione delle riviste

Oppure effettua una ricerca per:


Scelta Rapida