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Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Kaleîdos

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Numero 3 del 2022

Titolo: Quando il branco vede una donna

Autore: Cristina Giudici


Articolo:
(da «Grazia» n. 7 del 2022)
Gli arresti per le molestie di Capodanno a Milano hanno coinvolto ragazzi nordafricani e italiani. La ministra dell'interno Luciana Lamorgese ha parlato di attacchi premeditati. Grazia ha indagato sul fenomeno di questi nuovi gruppi di violenti, formati da giovani maschi di origine diversa che si ritrovano uniti nel considerare ogni ragazza una preda
«In Egitto succede. Se una ragazza è sola, capita che gruppi di maschi la seguano, la accerchino e la molestino. Ma in Italia non si deve fare, è sbagliato», ha raccontato sui social un giovane italo-egiziano cresciuto negli alloggi popolari del quartiere San Siro, a Milano. La sua frase spiega bene come venga considerato il corpo femminile da una parte dei ragazzi di origini straniera che, spesso mescolati ai coetanei di famiglia italiana, si uniscono in bande e sfogano contro le donne la propria aggressività. Sono questi i giovani tornati al centro dell'attenzione dopo le violenze di Capodanno in piazza Duomo, a Milano, con almeno 11 giovani donne palpeggiate, umiliate, abusate. I primi arresti hanno coinvolto ragazzi italiani e nordafricani. Nati nel terzo millennio, stranieri o italiani di seconda generazione che si conoscono sui social, fanno esplodere una frustrazione covata nella pandemia, che si trasforma in violenza. E il bersaglio sono le ragazze, considerate come prede da dominare. «Guardando le immagini insieme con il Capo della polizia abbiamo visto una piazza presidiata, ma evidentemente era un attacco prestabilito. Erano a cerchi concentrici», ha dichiarato la ministra dell'interno, Luciana Lamorgese, commentando gli abusi di Capodanno. Un investigatore interpellato da Grazia parla di «una deriva sociale violenta di un'intera generazione di adolescenti, da non ricondurre solo al disagio delle seconde generazioni di immigrati». Insomma, i nuovi branchi nascono dall'incontro di due diversi mondi, uniti però dalla violenza.
Lorenza Madrighi, insegnante di sostegno in una scuola di un quartiere multietnico di Milano, il Corvetto, spiega: «I ragazzi di origine straniera più problematici sono quelli che arrivano già grandi in Italia, a 12 o 13 anni, con famiglie disperse fra il nostro Paese e quello di origine. Hanno difficoltà di comprensione della lingua. Restano ai margini, dove si uniscono a italiani problematici. Escono dalla formazione scolastica che non ha gli strumenti per sostenerli e allora, spesso, prevale l'arretratezza culturale».
Certo, non bisogna dimenticare che fra i figli dell'immigrazione ci sono tante storie positive di ragazzi diventati medici, musicisti, imprenditori, attori, artisti, insomma modelli da seguire. Nel frattempo, però, la violenza nelle strade è tornata e l'obiettivo delle bande che si creano è anche quello di colpire il corpo delle donne. Al quartiere Giambellino, a Milano, vive Fausta Trentadue, che insegna italiano a tanti giovani con origini straniere, soprattutto egiziani. Racconta: «Io lavoro anche con le loro madri per favorire l'emancipazione delle donne, combattere il pregiudizio e aiutare i ragazzi a superare così la frattura che si crea fra il contesto familiare e quello esterno. Bisogna favorire l'inserimento delle famiglie nel tessuto sociale. Altrimenti questi ragazzi entrano nella nebulosa della dispersione scolastica e si aggregano nel «branco», dove si innesca la violenza», dice l'insegnante. «Nei contesti periferici delle città, i figli d'immigrati e quelli di famiglie italiane si avvicinano su codici condivisi. Il loro problema è spesso creato dall'incapacità di contenimento delle emozioni, ma l'elemento determinante che fa esplodere la violenza è sempre il branco. Se li prendiamo individualmente, si riesce a farli riflettere e ad aiutarli a compiere quello scatto che li porta a emergere in modo positivo».
Alla base c'è un'idea di sessualità divisa tra i tabù della cultura di origine, il desiderio di libertà e comportamenti violenti visti sui social. «Le madri di questi ragazzi dipendono dai mariti per rapportarsi con l'esterno, sono vulnerabili ed economicamente dipendenti dall'uomo. Se non si lavora per aiutare gli adulti, i figli che crescono qui restano sempre divisi tra due mondi», spiega Alberto Sanna, presidente dell'associazione Dare che offre tutoraggio scolastico a ragazzi di origini magrebine nel quartiere Corvetto.
«Non mi stupisce che le violenze di Capodanno siano avvenute in «trasferta», fuori dai quartieri o dalla città di chi le ha commesse: nelle zone dove abitano, quei ragazzi sono sotto la sorveglianza della loro comunità e trovano figure di riferimento femminili positive e forti. Allora vanno altrove».
Maryan Ismail, antropologa e mediatrice culturale, ha studiato che cosa sta succedendo nei Paesi arabi e cerca di capire la nuova società italiana: «In Italia dobbiamo affrontare manifestazioni di violenza che si mescolano a una misoginia della cultura italiana. Uno dei ragazzi arrestati per gli abusi a Milano ha interrotto gli studi, mentre la sorella è un medico: dobbiamo capire perché questa differenza». Nelle violenze di Capodanno si sono mescolati gli elementi irrisolti della sessualità dei ragazzi di seconda generazione con la misoginia di coetanei italiani. Insieme hanno creato un «branco» che è sempre più multietnico. «Non è un caso che parlino uno slang giovanile in cui mescolano italiano, arabo, inglese. Nella loro testa c'è un'idea di donna come preda che viene da una certa cultura musulmana, ma vedo anche gruppi di ragazzi in cui le giovani donne sono altrettanto protagoniste», dice Ismail. «Per fermare questa deriva, c'è una sola soluzione: partire dalle famiglie per avviare un cambiamento culturale profondo».
Il rituale nato in Egitto
Lo hanno subito almeno 11 ragazze in piazza Duomo, a Milano. Si chiama «taharrush gamea» e viene dall'Egitto. Si tratta di un rituale barbaro, una violenza sessuale collettiva (questo il significato, in arabo), codificata, messa in atto generalmente per punire la donna, che osa occupare lo spazio pubblico. Un primo cerchio di uomini circonda la vittima, la palpeggia, nel peggiore dei casi la stupra. Un secondo cerchio assiste divertito e, infine, il cerchio più esterno distrae i passanti. È accaduto a Colonia nel Capodanno 2016, protagonisti sono quasi sempre ragazzi di origine magrebina. «Una situazione delicata, per diverso tempo i movimenti femministi sono stati prudenti per timore di alimentare il razzismo, ma le vittime spesso non hanno ottenuto giustizia», dice Pauline Arrighi, giornalista per il settimanale francese Marianne e autrice di «Et si le féminisme nous rendait heureuses?» («E se il femminismo ci rendesse felici?» Edizioni Dunod). «Non si tratta di pulsione, ma di strategia, ed è ciò che spaventa. Bisogna rispettare le norme sociali e giuridiche sull'uguaglianza fra i sessi in Europa. Non si può tollerare il sessismo in nome di una diversa cultura d'origine. Alcuni utilizzano il pretesto del rispetto delle tradizioni per opprimere in primo luogo le donne della propria comunità».
Cristina Giudici



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