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Corriere dei Ciechi

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Numero 2 del 2022

Titolo: ATTUALITÀ- Le parole che si toccano

Autore: Antonio Quatraro


Articolo:
Da due anni a questa parte il covid ha imposto una filosofia di vita che, per chi non vede, o ha perso la vista, è un mestiere obbligato.
Trasformare le disavventure, le tragedie in sfide, e fare delle sfide altrettante opportunità.
Pensiamo che è stato un punteruolo a trasformare un gioco innocente in una tragedia: Louis Braille, bambino che ha perso la vista a causa di un punteruolo.
E proprio il punteruolo ha aperto a tutti i ciechi del mondo le porte della scrittura e della lettura. Questo perché Louis Braille non si è perso d'animo, e ha saputo trasformare quel punteruolo in una chiave magica.
Se questa non è un'opera d'ingegno, ditemi voi!
La parola: si dice "parola data", "uomo di parola". E persino le Sacre scritture ci dicono che, per quanto importante, la luce, sì, proprio lei, fu creata, perché prima c'era soltanto la parola, il Verbo.
La parola, questo dono che spesso viene usato a sproposito, è un tesoro da preservare e da valorizzare.
Toccare le parole, come si tocca un oggetto caro, con la delicatezza che usiamo con le persone a cui teniamo particolarmente. Toccare è ridurre le distanze: e noi siamo esseri sociali, che abbiamo bisogno degli altri per crescere, per vivere. E cosa è che azzera le distanze, che crea un rapporto del tutto unico, personale? Il tocco, il contatto fisico.
Il lebbroso, il cieco, non si accontentavano della parola del Maestro, vollero toccare la sua veste, almeno la sua veste per sentirsi rassicurati.
Ecco il dono del Braille: ci fa toccare le parole, le parole che rispecchiano il pensiero nostro e quello degli altri.
S. Agostino parlava della lettura come una sorta di dialogo con se stessi, e si sa che, per capire fino in fondo, occorre dialogare, ossia parlare e ascoltare; il Braille dà la possibilità di "ascoltarsi".
Ma grazie al Braille la parola diventa un oggetto concreto, che si può toccare e ri-toccare, modificare, trasformare, modellare, proprio come si farebbe con un blocco di creta.
Che altro è il Braille, se non una filosofia di vita: fare molto pur avendo meno, con soli 64 simboli scrivo in qualsiasi alfabeto. Ora questo è scontato, ma ci sono voluti secoli per arrivarci, e sicuramente una tragedia personale ha avuto il suo peso.
Certo, anche prima di Louis Braille qualche cieco si è affermato: musicisti, matematici, persino Omero, che non sappiamo se sia esistito davvero, ma tutti dicono che fosse cieco.
Ma erano eccezioni: ora invece il Braille è come l'aria, che tutti possono respirare a pieni polmoni.
Certo, è un tesoro che richiede impegno e pazienza per coltivarlo; certo impararlo da bambini è sicuramente meglio che da grandi.
Tuttavia, e perdonatemi l'insistenza: poter essere sicuri che stiamo per assumere il farmaco giusto, poter appuntarsi un numero che non vogliamo perdere, studiare una lingua diversa dalla nostra, dove si scrive in un modo e si legge in un altro, essere in grado di scrivere in autonomia una lettera importante, senza errori di ortografia, leggere di persona un bigliettino di auguri... tutto questo non è poco: richiede sforzo, fatica e umiltà, soprattutto per chi ha perduto il bene della vista in età adulta, ma, io credo, ne valga la pena.

Louis Braille
Louis Braille nacque in una famiglia economicamente modesta. Figlio di un sellaio, era solito seguire il padre nel suo lavoro, spinto dalla curiosità di conoscere la sua professione. A causa di un incidente avvenuto proprio all'interno dell'officina del papà, a 3 anni Braille si fa male all'occhio sinistro con un punteruolo.
L'evolversi dell'infezione non risparmiò neanche l'altro occhio, e così divenne totalmente cieco già a 5 anni. La sua condizione e la decisione dei genitori di indirizzarlo verso gli studi portarono Braille a vincere a 10 anni una borsa di studio per l'Institution des Jeunes Aveugles, scuola per giovani ciechi, che gli diede gli strumenti adeguati per creare quello che oggi conosciamo come alfabeto Braille.
All'interno di questo centro specializzato di Parigi, fondato dall'educatore parigino Valentin Haüy nel 1784, gli iscritti imparavano a leggere attraverso il tatto dei caratteri della stampa messi in risalto con del rame. Si trattava di una forma di lettura che, però, non poteva essere utilizzata per scrivere.
Ci fu un cambiamento importante con l'arrivo all'interno della scuola nel 1821 di Charles Barbier de La Serre, capitano d'artiglieria dell'esercito di Napoleone, il quale portò la sua "scrittura notturna" (Ecriture Nocturne), un sistema usato durante la guerra per comunicare tra soldati in assenza di illuminazione basato su un codice tattile che riproduceva parole in suoni, di difficile interpretazione però da parte di persone comuni.
Da qui, Braille prese spunto per sviluppare il proprio codice, ideando un alfabeto basato su sei punti combinati tra loro, estendendolo poi anche al sistema matematico (noto con il nome di Nemeth Braille) e alla musica (Codice musicale Braille). Pubblicò tale sistema nel 1829 in un saggio intitolato "Procedimento per scrivere le parole, la musica e il canto corale per mezzo di punti in rilievo ad uso dei ciechi ed ideato per loro".
Sfortunatamente, la tubercolosi privò il francese della possibilità di vedere il suo alfabeto usato in tutto il mondo. La prima opera in Braille stampata fuori dalla sua scuola fu realizzata in Brasile nel 1850.
Oggi il Braille è accettato in tutto il mondo come lo strumento fondamentale di cui i ciechi possono servirsi per leggere e scrivere. Anzi, è quasi diventato il simbolo della avvenuta emancipazione e della conquistata autonomia di chi non vede nella società di tutti. Non a caso le spoglie di Louis Braille giacciono nel Pantheon di Parigi insieme agli altri grandi di Francia.



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