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Corriere dei Ciechi

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Numero 2 del 2022

Titolo: ATTUALITÀ- Salviamo le nostre tradizioni

Autore: Cristina Minerva


Articolo:
L'orbetto in piazza - I nonni, i bisnonni e, ancora prima, i trisavoli, con tutta attendibilità, hanno destinato qualche porzione del proprio tempo infantile ad un gioco che si definiva sbrigativamente in una accezione dialettale: orbetto. Molti anziani lo ricordano nostalgicamente con molti aneddoti.
L'orbetto, letteralmente, significa "piccolo cieco", ma il nome, in dialetto, assume una connotazione particolare, fortemente comunicativa, a differenza della traduzione, che risulta poco esplicativa, se non addirittura scorretta. Succede spesso che il gergo dialettale contenga espressioni molto efficaci e incisive che, quando sono tramutate in lingua italiana, affievoliscono la propria capacità espressiva.
L'esperienza è piena di queste constatazioni e, purtroppo, dobbiamo osservare che gran parte del linguaggio corrente è una trasposizione approssimativa della potenziale ricchezza dialettale. Il termine orbetto conferma questa analisi.
Il fulcro dell'antico svago dell'orbetto era un bambino bendato che rappresentava un piccolo cieco e una filastrocca introduceva l'avvio della figurazione ludica:
Accompagnemmo l'orbetto in ciassa/ Pe accattà de l'insalatta./ Insalatta no ghe n'è,/ s'accatiemo quello che gh'è./ Gh'è dell'uga moscatella/ A trae palanche pe axinella:/ mì palanche no ghe n'ho,/ se spendiemo quello che gh'ho. (Accompagniamo il ciechino in piazza/ Per comprare l'insalata./ Insalata non ce n'è,/ ci compreremo quello che c'è./ C'è dell'uva moscatella/ A tre soldi all'acino:/ io soldi non ne ho,/ ci spenderemo quello che ho).
Il bambino bendato, nella sua condizione limitata, doveva cercare a tentoni di afferrare uno dei compagni di gioco per poi tentare di individuarne l'identità usando, come unico mezzo per il riconoscimento, il tatto. Avvenuta l'agnizione, si procedeva a successive fasi del gioco con il cambio dei ruoli fra i partecipanti; così il bambino scoperto diventava orbetto a sua volta. Nei ricordi degli anziani i luoghi preferiti per organizzare questo diletto erano le piazzette. Succedeva spesso che il gioco si connotasse con risate, urla e motteggi così da attirare imperiosi richiami e richieste di quiete da parte delle persone che dimoravano nelle immediate vicinanze.
Non era infrequente vedere i disturbati passare a vie di fatto, disperdendo i rumorosi occupanti con la loro voce autorevole o con qualche utensile domestico e, a questo punto, la combriccola vociante si trasferiva fra mura più protettive e tolleranti.
Oggi l'uso di questo intrattenimento ludico non è totalmente smarrito: anche i moderni fanciulli conoscono, seppur raramente praticato, questo gioco nella sua famosissima versione di moscacieca. In epoche remote, molto lontane dal nostro tempo, si possono comunque ritrovare precisi riferimenti a giochi molto simili, se non uguali a questo.
Nell'antica Grecia esisteva un "gioco delle marmitte" che si può considerare il prototipo di tutti i successivi svaghi con la presenza di un giocatore bendato. Non dimentichiamo tra le altre usanze l'abitudine di concludere il periodo del Carnevale con la tradizionale "Pentolaccia", dove bendati si deve colpire un contenitore sollevato in aria per poterlo infrangere e così far cadere l'ambìto contenuto costituito da dolciumi o altri premi vari.
Nei secoli passati la "moscacieca"era praticata anche dagli adulti.
La versione francese, chiamata colin maillard, era uno dei passatempi eleganti e favoriti con il quale si usava trascorrere ore allegre nella reggia e nei salotti non solo della Francia, ma pure nelle eleganti residenze di tutta l'Europa nobile.
In Inghilterra, il gioco era noto, fin nel lontano Medioevo, come blind man's buff (cappuccio del cieco).
Anche in Italia si ritrovano, nelle diverse zone, numerose varianti dello stesso divertimento. Si può addirittura affermare che ogni paese abbia una propria versione classica o recente del gioco, con modalità di esecuzione e regole raffrontabili.
Possiamo ammirare alcune originali rappresentazioni della moscacieca addirittura in alcune tele rococò di Jean Baptiste Pater (1695-1736) e di Nicolas Lancret (1690-1743) e, con diverso stile, in un famoso dipinto di Francisco Goya (1746-1828) esposto al Museo Prado di Madrid dal titolo "La gallina ciega" in cui si può cogliere l'espressione lieta di alcuni aristocratici spagnoli mentre si destreggiano in quel divertimento.
Il gioco si avvale di connotazioni sensoriali tattili e conferma la presenza di una sorta di sensualità. Nel mondo adulto non è certo il tatto il senso più praticato per i rapporti sociali, tutt'altro. La possibilità di toccarsi è riservata alla sfera familiare o intima ed è problematico accettare di essere sfiorati da persone estranee.
L'unico atteggiamento pubblico ammesso è la stretta di mano, che simboleggia l'accettazione, la stima e la fiducia nel prossimo, ora messo in discussione dalle norme sanitarie che ci impongono il distanziamento per la pandemia di cui siamo succubi. Per i bambini, naturalmente, la possibilità del contatto fisico è molto spontanea e fa parte di quel bagaglio di conoscenza essenziale all'essere umano per conoscere la realtà; contatto che purtroppo si va perdendo nel corso della crescita per convenzione o per coercizione, per riservarsi in modo quasi esclusivo al solo aspetto passionale.
Un gioco che si compone di poche regole ma di una lunga e intensa tradizione da non dimenticare.

Un posto per nascondersi
Gli anziani pieni di risorse, con un bagaglio notevole di ricordi e di esperienze, sanno comunicare utilizzando una espressività che spesso affascina, basta soffermarsi ad ascoltarli con attenzione. Raccontano, fra gli altri, un gioco che facevano molti anni prima della guerra e che, singolarmente, si è conservato sino ai nostri giorni ed è, anzi, fra tutte le più antiche occupazioni divertenti, quella che si è maggiormente mantenuta uguale nel tempo: il gioco del nascondino.
Il nascondino del tempo passato in molte zone liguri era conosciuto con il nome di scondillo, o scondillon termine che aveva una variante e una derivazione in ascondi lò, che significa "nascondi lupo". Il gioco aveva infatti nel suo intento la pretesa molto simbolica di nascondersi dal lupo, personificazione del male nell'immaginario infantile dei tempi andati.
Era necessaria una conta per sorteggiare il bambino che aveva, appunto, il ruolo dell'animale feroce. Il lò era lo spauracchio dei piccini di allora e nel gioco assumeva il senso di esorcizzare le paure inconsce.
Il ragazzino che impersonava il lupo dava il tempo ai compagni di nascondersi e, durante l'attesa, con le spalle rivolte ai compagni per non vederli, intonava con voce alta il suo ritornello intimidatorio: Ascondeive ben ben/ Che o lò o l'è chi ch'o ven!/ Ascondeive ma ma/ Che o lò o ve vegne a ciappà! (Nascondetevi bene bene/ Che il lupo è qui che viene!/ Nascondetevi male male/ Che il lupo vi viene a prendere!).
A questo punto iniziava la ricerca e il "lupo" doveva stanare le "prede", cercando di farle uscire dai vari nascondigli in cui si erano rifugiate. Il pericolo, però, era farsi scorgere ed essere chiamati per nome. In questo caso non c'era scampo: si era "presi"!
Il primo a essere trovato diventava il nuovo "lupo" e, a sua volta, ricominciava le azioni in sequenza.
Uno spasso particolare e un valore aggiunto erano quelli di poter sfruttare gli spazi destinati alle attività commerciali, e soprattutto alla vendita di prodotti nostrani della terra.
In tutti i paesi rivieraschi liguri e dell'entroterra era consuetudine utilizzare una piazza per le attività di mercato. I contadini delle vallate usavano arrivare ogni notte, alle prime luci dell'alba, con i propri prodotti, utilizzando come mezzo di trasporto per la loro merce le proprie spalle o, nei casi migliori, la groppa degli asini.
Uomini e animali non entravano in piazza sino a quando non scattava l'ora prevista per l'occupazione legale del suolo pubblico.
Il momento dell'assedio era cadenzato dai primi bagliori dell'aurora ed era proprio a quest'ora che, dopo aver legato gli asini agli anelli sporgenti dai muri, i "besagnini", ossia gli ortolani così chiamati per la loro provenienza più frequente dalla Val Bisagno, sulle sponde del fiume omonimo, cominciavano a circolare e a suddividersi la piazza.
I cerchi di ferro, destinati ai ciuchini, si possono vedere ancora oggi tra le pietre, che formano la struttura di qualche edificio antico, salvato da ristrutturazioni sconsiderate e da piani regolatori "pilotati".
Gli ortolani iniziavano prestissimo, in questo modo, il proprio commercio giornaliero.
I bambini della zona sentivano presto il ragliare acuto dei somari e le voci dei venditori e aspettavano con ansia di uscire di buon'ora di casa per iniziare la loro giornata spensierata. Proprio nella piazza i ragazzini avevano a disposizione un enorme teatro per i loro giochi e, in effetti, lo utilizzavano con grande fantasia movendosi tra le ceste ricolme dei prodotti della terra.
Il gioco dello scondillo era praticato dunque in molte aree delle piazze del mercato e quando si poteva accedere la festa poteva attivarsi.
Nel pomeriggio, quando il piazzale si svuotava dei suoi inquilini adulti, rimanevano solo i bambini a riempire di grida argentine gli spazi che, nel frattempo, si erano progressivamente liberati.
Il nascondino offriva talmente tanti posti dove sottrarsi alla vista che il risultato era spesso di "trovarsi con difficoltà".
Il gusto essenziale del gioco era propriamente quello di "farsi scorgere" più che "rimanere nascosti"; quindi lo scopo non era quello di celarsi completamente, ma quello di riuscire, alla fine, a trovarsi.
Insieme a questo, molti altri racconti di altri numerosi nonni hanno indicato tutti i luoghi possibili, dal mare alla collina, in cui collocare il ricordo del loro scondillo.
Oggi, in tutti i rari luoghi che ancora lo consentono, i bambini riescono a giocare, in qualche modo, a nascondino, accontentandosi di una porta o di un albero, di una panchina o di un muretto, ma con spasso simile a quello provato un tempo dai loro antenati.
Non ci sono molti momenti per dedicarsi a questo gioco nella odierna giornata superorganizzata dei nostri bimbi; questo, però, rappresenta una sicura perdita.
Lo scondillo, chiamato ciatta in altre città liguri, assume nomi diversi nelle varie zone locali e regionali: nascondersi, rimpiattino, nascondarella, scondlegor, e tanti altri.
Con le diverse denominazioni si possono indicare varianti più o meno accentuate, ma con una comune finalità: quella di rimanere insieme e di dividere la gioia di tante piccole emozioni.
Come la maggior parte dei giochi da bambini tradizionali, nascondino è noto in molti paesi e secondo una grande quantità di varianti. In alcune regioni italiane, una variante principale di nascondino è sardina o nascondino al contrario, così chiamato perché, al termine del turno, i giocatori saranno tutti nascosti in un unico luogo, stretti appunto come sardine, oppure perché, passando molto tempo, l'ultimo giocatore perdente diventerà la cosiddetta "sardina lezza".
Il gioco si perde addirittura però ancora più indietro nel tempo. L'oratore Polluce, intorno al II secolo racconta di un gioco all'aperto della Magna Grecia chiamato apodidraskinda, dal greco dialettale apodrason-skaso-kripdo = fuggire, scappare, nascondersi, mentre in alcune zone europee lo si utilizzava come rituale nei boschi per propiziare l'inizio della primavera. Il gioco attuale, è comunque un'eredità del XVII secolo, quando lo si giocava con altre varianti, assieme alla moscacieca, tra le classi nobili, che potevano destinare con molta più facilità il tempo a svaghi futili per riempire le loro molte ore di inattività, come una delle poche forme di socializzazione e di corteggiamento tra giovani aristocratici, diffuso inizialmente in Italia, Francia e Spagna, quindi in tutta Europa.
Una curiosità che riguarda questo notissimo gioco è rappresentata dalla nuova usanza di praticare un Campionato Mondiale di nascondino a Bergamo, a partire dal 2010.
Una ulteriore conferma della diffusione di tale divertimento possiamo riscontrarla addirittura in Tanzania con la pratica del Kombolela, che prende le sembianze del gioco del nascondino, che tutti noi ben conosciamo e che sicuramente abbiamo esercitato nei momenti gioiosi della nostra infanzia.



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