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Corriere dei Ciechi

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Numero 5 del 2017

Titolo: RUBRICHE- A lume di legge

Autore: a cura di Giulia Antonella Cannavale


Articolo:
Cos'è il mobbing?
Il "mobbing" è un fenomeno sociale che trova il suo epicentro nel mondo del lavoro, e più specificatamente nell'ambito delle molestie morali e delle persecuzioni psicologiche esercitate nel contesto di attività lavorative.
Nell'ambito della psicologia del lavoro vi sono diverse definizioni del mobbing, ma il punto di partenza è da ritenersi nella nozione che è stata data da Leymann, il quale, distingue tre gruppi di forme di comportamento: un gruppo di azioni verte sulla comunicazione con la persona attaccata, tendendo a portarla all'assurdo o alla sua interruzione; un altro gruppo di comportamenti punta sulla reputazione della persona, utilizzando strategie per distruggerla (pettegolezzi, offese, ridicolizzazioni per esempio su handicap fisici, derisioni pubbliche delle sue opinioni o idee, umiliazioni). Infine, le azioni del terzo gruppo tendono a manipolare la prestazione della persona, (non le viene dato alcun lavoro o le vengono affidati compiti senza senso, o umilianti); solo se queste azioni vengono compiute di proposito, frequentemente e per molto tempo, si possono chiamare mobbing.
Harald Ege, ricordando che "il mobbing non è una malattia, ma una situazione conflittuale che può divenire malattia", ha inquadrato il fenomeno come una "forma di terrore psicologico sul posto di lavoro, esercitata attraverso comportamenti aggressivi e vessatori ripetuti, da parte di colleghi o superiori".
In definitiva, con la parola "mobbing" si indica una forma di aggressione/prevaricazione ripetitiva e continuativa, realizzata nei confronti di uno o più lavoratori da parte di superiori, colleghi o dalla stessa azienda, che si snoda attraverso diversi comportamenti tutti riconducibili ad un medesimo quadro. Tutte le definizioni mettono in luce come il mobbing sia piuttosto aperto ed idoneo ad accogliere una pluralità di fattispecie, che variano sia per le condotte attuate per accerchiare la vittima, sia per i soggetti che sono di volta in volta parte attiva dell'azione mobbizzante.
La psicologia del lavoro ritiene essenziali, quali caratteristiche fondamentali del mobbing, sia la quantità delle azioni persecutorie (in altri termini la loro frequenza e ripetizione) e sia la durata nel tempo dell'azione mobbizzante, la sussistenza della quale, deve essere valutata caso per caso, ossia, confrontando il parametro del tempo con tutti gli altri tasselli che contribuiscono a qualificare una determinata condizione lavorativa come mobbing.
Le variabili del mobbing non sono solo quantitative (tempo e numero delle azioni vessatorie), ma anche qualitative: il tipo di condotte che si inseriscono nell'azione mobbizzante, il particolare percorso dinamico, attraverso il quale si snoda il mobbing, e gli obiettivi perseguiti dai persecutori sono tutti parametri di riferimento che caratterizzano il fenomeno in questione proprio dal punto di vista qualitativo, e che di fatto contribuiscono a spostare l'angolo visuale da un approccio squisitamente temporale.
Possono essere definiti comportamenti mobbizzanti tutti gli atti discriminatori o vessatori posti in essere nei confronti dei lavoratori dipendenti, pubblici o privati, da parte del datore o da soggetti posti in posizione sovraordinata (mobbing verticale) ovvero da altri colleghi non sovraordinati (mobbing orizzontale) che si caratterizzano come una vera e propria forma di persecuzione psicologica o di violenza morale. Va così delineandosi un quadro piuttosto ampio in cui, oltre agli atti tipici già individuati dalla giurisprudenza ossia demansionamento, dequalificazione, abuso del potere gerarchico, molestie, discriminazioni sessuali, di lingua e di religione, viene dato autonomo rilievo anche a comportamenti finalizzati, seppur in forma velata ed indiretta a intimorire o avvilire il lavoratore; possono essere compresi nella fattispecie mobbing ed essere sanzionati anche l'atteggiamento ostile, poco cooperativo nei confronti del dipendente, i maltrattamenti verbali e le offese personali, il discredito gettato nei suoi confronti.
Costituisce mobbing, inoltre, anche emarginare subdolamente il lavoratore, non mettendolo al corrente delle informazioni relative alla normale attività di lavoro o non facendolo partecipare alle attività formative e di riqualificazione del personale. Si tratta di tutti quei piccoli gesti quotidiani che, proprio perché non assumono un'autonoma rilevanza sotto il profilo della responsabilità possono venire impiegati dal datore di lavoro per "sfibrare" lentamente il lavoratore e convincerlo dell'opportunità di abbandonare il posto di lavoro.

Il mobbing come malattia professionale
Il mobbing riconosciuto come malattia professionale, nelle cd "malattie non tabellate", è indennizzato dall’INAIL.
La Circolare n. 71 del 17 dicembre 2003 dell’INAIL prevede, in materia di disturbi psichici da costrittività organizzativa sul lavoro e conseguente diagnosi di malattia professionale, un elenco di situazioni di "costrittività organizzativa" più ricorrenti tra le cui voci si rileva:
a) ripetuti trasferimenti ingiustificati;
b) esercizio esasperato ed eccessivo di forme di controllo.
Il nuovo elenco delle malattie professionali di cui al D.M. 27/04/04 indica tre liste di malattia di probabile origine lavorativa e nella lista II si evidenzia al punto 4 la voce Disfunzioni della organizzazione del lavoro: malattie psichiche e psicosomatiche derivanti da costrittività organizzativa quali disturbo dell'adattamento cronico e stress.
La posizione assunta dall'INAIL sul tema delle patologie psichiche determinate dalle condizioni organizzativo/ambientali di lavoro trova il suo fondamento giuridico nella Sentenza della Corte Costituzionale n. 179/1988 e nel Decreto Legislativo n. 38/2000 (art. 10, comma 4), in base ai quali sono malattie professionali, non solo quelle elencate nelle apposite Tabelle di legge, ma anche tutte le altre di cui sia dimostrata la causa lavorativa. La nozione di causa lavorativa consente di ricomprendere non solo la nocività delle lavorazioni in cui si sviluppa il ciclo produttivo aziendale (siano esse tabellate o non) ma anche quella riconducibile all’organizzazione aziendale delle attività lavorative.
I disturbi psichici possono essere considerati di origine professionale solo se sono causati, o concausati in modo prevalente, da specifiche e particolari condizioni dell'attività e della organizzazione del lavoro. Si ritiene che tali condizioni ricorrano esclusivamente in presenza di situazioni di incongruenza delle scelte in ambito organizzativo, cd "costrittività organizzativa".
Le situazioni di "costrittività organizzativa" più ricorrenti sono:
- marginalizzazione dell’attività lavorativa;
- svuotamento delle mansioni;
- mancata assegnazione dei compiti lavorativi, con inattività forzata;
- mancata assegnazione degli strumenti di lavoro;
- ripetuti trasferimenti ingiustificati;
- prolungata attribuzione di compiti dequalificanti rispetto al profilo professionale posseduto;
- prolungata attribuzione di compiti esorbitanti o eccessivi anche in relazione a eventuali condizioni di handicap psico-fisici;
- impedimento sistematico e strutturale all'accesso a notizie;
- inadeguatezza strutturale e sistematica delle informazioni inerenti l’ordinaria attività di lavoro;
- esclusione reiterata del lavoratore rispetto ad iniziative formative, di riqualificazione e aggiornamento professionale;
- esercizio esasperato ed eccessivo di forme di controllo.
Va precisato che le azioni finalizzate ad allontanare o emarginare il lavoratore rivestono rilevanza assicurativa solo se si concretizzano in una delle situazioni di "costrittività organizzativa" di cui all'elenco sopra riportato o in altre ad esse assimilabili.
Le incongruenze organizzative, inoltre, devono avere caratteristiche strutturali, durature ed oggettive e, come tali, verificabili e documentabili tramite riscontri altrettanto oggettivi e non suscettibili di discrezionalità interpretativa.
Come per tutte le altre malattie non tabellate, l'assicurato ha l'obbligo di produrre la documentazione idonea a supportare la propria richiesta per quanto concerne sia il rischio sia la malattia. L'Istituto, da parte sua, ha il potere-dovere di verificare l'esistenza dei presupposti dell'asserito diritto, anche mediante l'impegno partecipativo nella ricostruzione degli elementi probatori del nesso eziologico.
L'art. 2087 c.c. è la vera e propria norma chiave del sistema di tutela della sicurezza del lavoratore che per il suo ampio contenuto e per le finalità perseguite offre un solido punto di appoggio alla configurazione del mobbing come illecito e per la sua repressione.
Secondo il succitato articolo il datore di lavoro è tenuto ad adottare misure che, avuto riguardo alla particolarità del lavoro, all'esperienza e alla tecnica, risultano idonee a proteggere l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. Ne discende la necessità di adottare una definizione flessibile e dall'altro lato l'esigenza di non dimenticare che al centro del sistema risarcitorio si pone il lavoratore molestato che deve dimostrare la violazione della clausola generale di responsabilità ex art. 2087 c.c.



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