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Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Gennariello

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Numero 6 del 2002

Titolo: La canzone del cancello

Autore: Gianni Rodari


Articolo:
(Einaudi Ragazzi)
Un bambino tornava dalla scuola sempre per la stessa strada. Ancora non ne conosceva un'altra. Ancora aveva paura a cercare strade nuove. Ma un giorno cambiò strada. Ben presto gli apparve un grande parco, che una lunga inferriata divideva dal suo marciapiede.
«Bello», disse il bambino. E fece quello che novantanove bambini su cento avrebbero fatto al suo posto: estrasse dalla cartella il righello e lo fece scorrere sulle sbarre di ferro, fin che il pilastro di pietra di un cancello interruppe la sua corsa. Allora tornò indietro. Le sbarre rispondevano al rapido tocco del righello, emettendo note allegre e saltellanti. Quando il bambino correva in un senso, le note formavano una scala in salita, su su dalle note basse fino alle più alte e sottili. Correndo nell'altro senso, il bambino udiva una scala in discesa, giù giù da un acuto «dlìn dlìn» fino a un profondo «dlòn», a un più oscuro «dlùn dlùn».
Al bambino non era mai capitato, prima, di fare quel gioco, perciò lo ripeté più volte, su e giù per il marciapiede, da un capo all'altro dell'inferriata, su e giù per le sbarre sonore. Poi si fermò a riprendere fiato. Quando ricominciò, non correva più; camminava a piccoli passi e batteva il righello sulle sbarre a colpi ben separati, ne saltava qualcuna, tornava indietro a colpirne di nuovo una che aveva reso un suono particolare. Forse si può dire che già non giocava più, ma suonava l'inferriata, come si può suonare uno xilofono o un pianoforte, cercando i tasti giusti per costruire una melodia.
«Bello», disse ancora il bambino. Questa volta gli era riuscita una strana canzone.
«La chiamerò la canzone del cancello».
Il campanile non lontano batté le ore. Il bambino le contò, si accorse che era tardi e si ricordò che a casa lo stavano aspettando.
«Tornerò domani», disse, accarezzando per l'ultima volta l'inferriata con il suo righello.
Tornò il giorno dopo e molti altri giorni ancora. Ormai percorreva sempre la strada nuova e ogni volta si fermava a suonare l'inferriata. Inventava sempre nuove canzoni, battendo a tempo sulle sbarre. Inventò una canzone per ciascuno degli alberi che vedeva nel parco: il pino, l'abete, il cedro del Libano, lo snello cipresso puntato come un dito a far solletico alle nuvole. Inventò una canzone per il viale che saliva verso la villa, per i sentieri che si addentravano nelle verdi gallerie sotto gli alberi, per i cespugli e per le aiuole fiorite. Ma né ai suoi genitori, né alla maestra, né ai compagni disse nulla della sua scoperta. L'inferriata musicale era il suo strumento segreto. Ognuno ha il diritto di avere qualche segreto.
Un giorno, mentre stava provando sulle sbarre una nuova canzone, scese dalla villa una voce irritata: «Ragazzo, la smetti? E' un'ora che mi rompi le orecchie con quello stupido giochetto».
Il bambino alzò gli occhi. Le finestre della villa erano aperte e la cosa, per contrasto, gli fece ricordare che prima erano state sempre chiuse. Forse i padroni erano stati via ed ora erano tornati. Su un balcone c'era un vecchio signore in vestaglia. In mano teneva un libro, nell'altra un paio di occhiali, che agitava minacciosamente.
«Hai fatto abbastanza chiasso, impedendomi di leggere. Ora vattene a casa e non ci riprovare mai più o avvertirò la guardia».
Il bambino non si provò nemmeno a difendersi, a spiegare che non stava facendo chiasso, ma inventando canzoni su quelle sbarre meravigliose. Infilò il righello nella cartella e corse via spaventato, mentre il vecchio signore lo inseguiva con la sua voce secca e ostile: «Non ti far rivedere, capito?».
Nei giorni seguenti il bambino, camminando per prudenza sul marciapiede opposto, passò e ripassò davanti alla villa, ma sempre c'era qualche finestra aperta, o addirittura il vecchio signore che passeggiava nel parco, o un cane accucciato presso il cancello. Il bambino doveva accontentarsi di guardare amorosamente le sbarre proibite e si affrettava verso casa, sospirando. Ma quante cose disse, mentalmente, a quell'odioso signore: «Davvero mi meraviglio che a una persona istruita come lei, che legge in continuazione grossi libri rilegati in nero, non piaccia la musica. E perché non suona lei sull'inferriata, per cavarne nuove melodie e canzoni? Perché è così sciocco? Perché odia i ragazzi?».
In quel periodo la madre del bambino conobbe una signora che suonava il pianoforte. Il bambino, accompagnando la madre in visita, vide quello straordinario strumento, ebbe perfino il permesso di toccare con le dita i suoi tasti miracolosi. Toccò qua e là a caso, cercando di combinare i suoni tra loro, mentre il cuore gli batteva in petto come un tamburo.
«Mi pare che questo bambino abbia disposizione per la musica», disse la signora. «Perché non me lo manda qualche volta? Mi piacerebbe dargli qualche lezione, così, per prova».
Ma la signora parlava solo per mostrarsi gentile. Del resto il giorno dopo doveva partire per Parigi. Se ne sarebbe parlato al suo ritorno. Ma



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