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Corriere dei Ciechi

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Numero 2 del 2012

Titolo: RUBRICHE- A lume di legge

Autore: a cura di Paolo Colombo


Articolo:
A lume di legge
a cura dell’avv. Paolo Colombo coordinatore del Centro di Documentazione Giuridica

Le novità del contenzioso previdenziale Il d.l. 6 luglio 2011 n. 98 ha apportato notevoli novità in materia di contenzioso previdenziale. Tali novità sono senz'altro da valutare negativamente in quanto, più che eliminare gli abusi, sembrano impedire l'esercizio dei diritti e risentono fortemente del clima di caccia alle streghe che ad arte è stato costruito in Italia negli ultimi anni. Le principali innovazioni per la materia che ci occupa sono state introdotte dall'art. 38 del d.l. n. 98. Innanzitutto, nel rispetto delle finalità di deflazione del contenzioso previdenziale, si è dichiarata l'estinzione, a favore del ricorrente, dei processi pendenti in primo grado al 31.12.2010, in cui l'INPS è parte in causa per l'erogazione di prestazioni di valore non superiore a 500 €. L'estinzione opera di diritto, anche d'ufficio, con decreto del giudice e con riconoscimento della pretesa economica in favore del ricorrente. Le spese di giudizio saranno poste a carico della parte che le ha anticipate a norma dell'art. 310 c. 4 c.p.c. L'art. 38 del d.l. n. 98, inoltre, introduce nel Codice di procedura civile l'art. 445 bis, che disciplina l'accertamento tecnico preventivo obbligatorio per le controversie in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, nonché di pensione di inabilità e di assegno di invalidità. In pratica, prima di avviare una causa per ottenere le citate prestazioni, l'interessato dovrà presentare al giudice l'istanza di accertamento tecnico per la verifica preventiva delle condizioni sanitarie che fondano la domanda. La richiesta di espletamento dell'accertamento tecnico preventivo interrompe la prescrizione. Il giudice procede a norma dell'art. 696 bis c.p.c., in quanto compatibile, nonché secondo le previsioni inerenti l'accertamento peritale di cui all'art. 10 del d.l. 203/05. Terminate le operazioni peritali, il giudice fissa con decreto un termine, massimo di 30 giorni, entro il quale le parti dovranno manifestare la volontà di contestarne le conclusioni. In assenza di contestazione, il giudice, con decreto omologa l'accertamento del requisito sanitario secondo le risultanze probatorie indicate nella relazione tecnica del consulente tecnico d'ufficio provvedendo sulle spese. Il decreto, non impugnabile né modificabile, è notificato agli enti competenti, che provvedono, subordinatamente alla verifica di tutti gli ulteriori requisiti richiesti previsti dalla normativa vigente, al pagamento delle relative prestazioni nel termine di 120 giorni. La disposizione, che prevede l'inappellabilità del decreto di omologazione, appare del tutto illegittima, in quanto palesemente contraria al principio dei tre gradi di giurisdizione proprio del nostro ordinamento giuridico. Viceversa, nel caso in cui la parte si opponga alle risultanze dell'A.T.P., deve depositare il ricorso introduttivo del giudizio specificando, a pena di inammissibilità, i motivi della contestazione. Infine, anche il processo per controversie di previdenza e assistenza obbligatorie sarà assoggettato a contributo unificato nella misura fissa di 37 euro, ma solo se la parte è titolare di un reddito imponibile Irpef non inferiore al triplo dell'importo previsto dall'art. 76 del D.P.R. n. 115/02 per l'ammissione al patrocinio dello Stato. Il contributo, pertanto, non è dovuto se il reddito della parte in causa non supera i 31.884,48 euro. Nel rispetto della suddetta soglia reddituale, il contributo unificato è dovuto anche per i processi relativi a controversie di lavoro o concernenti rapporti di pubblico impiego, nella misura del 50% dei valori aggiornati dall'art. 13 del T.U. Il contributo, inoltre, sarà aumentato della metà qualora il difensore non indichi il proprio indirizzo di posta elettronica certificata, il numero di fax o il codice fiscale del ricorrente nell'atto introduttivo del giudizio.
I diritti del familiare del portatore di handicap in materia di scelta della sede di lavoro non possono essere fatti valere qualora il loro esercizio leda in misura consistente le esigenze economiche e organizzative dell'azienda In base alla legge n. 104 del 1992 L'art. 33, comma quinto, legge n. 104 del 1992, stabilendo che il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato, con lui convivente, ha diritto di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede, attribuisce un diritto che, in virtù dell'inciso secondo il quale esso può essere esercitato "ove possibile", ed in applicazione del principio del bilanciamento degli interessi, non può essere fatto valere qualora il suo esercizio leda in misura consistente le esigenze economiche ed organizzative dell'azienda ed implica che l'handicap sia grave o, comunque, richieda un'assistenza continuativa. Inoltre, poiché le agevolazioni previste da tale norma costituiscono forme di intervento assistenziale riconosciute ai portatori di handicap sub specie di agevolazioni concesse a favore di coloro che si occupano dei predetti, la sussistenza dell'handicap deve essere accertata dalle unità sanitarie locali, mediante le commissioni mediche di cui all'art. 4, legge n. 104 del 1992, non essendo consentita la sua dimostrazione mediante documentazione medica di diversa provenienza.



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