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Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Corriere dei Ciechi

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Numero 6 del 2012

Titolo: ITALIA- Essere mamma

Autore: Carmen Morrone


Articolo:
Due storie di mamme non vedenti
Donne non vedenti che hanno scelto di diventare mamme. Un'esperienza spesso sconsigliata perché la cecità è considerata inconciliabile con il ruolo di madre. Luciana e Laura dimostrano il contrario. Luciana Martinoli di Roma, mamma di Manuel e Cristian e Laura Morelli di Milano, mamma di Tiziana, raccontano le loro storie e lanciano un appello: "Mamme parliamoci, confrontiamoci". C'è da imparare. Per tutte. Le mamme Luciana Martinoli, 44 anni, è mamma di Manuel 16 anni e di Cristian 12 anni. Vive e lavora a Roma dove è centralinista alla Sovrintendenza archeologica del Lazio. La cecità arriva all'età di 18 anni con un intervento chirurgico per arginare la malattia reumatica che l'avrebbe comunque portata a non vedere più. Luciana all'età di 26 anni si è sposata con Alessandro, vedente. Laura Morelli, classe 1947, è mamma di Tiziana 37 anni e moglie di Lino, ipovedente grave. Vive a Milano dove ha lavorato come insegnante di sostegno. Non vede a causa della retinite pigmentosa. La decisione Luciana. "Ragiona, pensaci bene", mi diceva una dottoressa a cui avevo annunciato il mio matrimonio e il mio desiderio di diventare madre. Me lo diceva prima di conoscere gli esiti degli accertamenti clinici a cui volevo sottopormi per sapere se la mia disabilità potesse essere trasmessa ai figli. Sono affetta da una malattia reumatica e temevo che questa patologia potesse manifestarsi nella prole. I risultati degli esami medici escludevano una simile possibilità. E sono andata incontro alla maternità con grande gioia. Vivendo la gravidanza con speranza e serenità. Laura. "Lasciate perdere nelle vostre condizioni", dicevano i medici rivolgendosi a me e a mio marito. Io sono cieca e mio marito è ipovedente grave. Le "condizioni" di cui parlavano i medici si riferivano alla nostra disabilità. I test di laboratorio che avevamo effettuato davano molto alta la percentuale di avere un figlio vedente. E così è stato. Ma quanti ci incontravano erano scettici sulle nostre capacità di essere madre e padre. Il corso preparto Luciana. Nel gruppo di future mamme ero la sola non vedente. L'istruttrice spiegava non solo visivamente gli esercizi. E poi io chiedevo alle mie compagne di corso. Io chiedo aiuto ai vedenti. Penso che siamo noi ciechi a dover fare la prima mossa e cercare un dialogo con i vedenti che spesso sono ammutoliti di fronte alla nostra disabilità non per cattiveria o indifferenza, ma perché temono di offendere e di non essere all'altezza della situazione. Al corso sono stata fortunata di trovare mamme che, una volta rotto questo ghiaccio di timidezza, mi hanno sempre aiutata. Laura. Non sono riuscita a farlo perché gli istruttori non erano capaci di verbalizzare i gesti. Al cieco devi raccontare il gesto, e questo richiede proprietà di linguaggio. Non si richiede un linguaggio da manuale. Bastano indicazioni semplici, come sinistra-destra, basso-alto, avanti-indietro. Che capisco sia molto più facile mostrare che descrivere. Per non parlare del tatto. Il cieco impara il movimento toccando le diverse posizioni dell'arto. Nel corso preparto che frequentai nel 1973, l'insegnamento era solo visivo. Così che dovetti mio malgrado abbandonare. Il parto Luciana. È un momento di gioia immensa. Laura. L'ombra scura dei capelli che incorniciavano il volto di Tiziana è stata una delle ultime immagini prima che la retinite pigmentosa mi facesse vedere solo buio. In ospedale Luciana. Non mi hanno mai fatto sentire diversa. Medici e personale infermieristico mi trattavano come le altre. Avevo tante paure: pensavo che non mi avrebbero capito. Invece non mi hanno fatto mai pesare la mia disabilità, pur aiutandomi quando proprio non riuscivo. Mi ricordo che quando mi portavano il bambino e lui piangeva, il personale mi diceva "Signora faccia qualcosa per suo figlio", così come lo dicevano bonariamente a tutte le neomamme. Laura. La degenza in ospedale nel 1973 non è stata facile. Già il fatto di essere una mamma cieca era una cosa straordinaria e il personale non era preparato. A sua difesa devo ammettere che chi ha la retinite pigmentosa non ha lo sguardo da cieco, così io venivo invitata a sbrigarmi a raggiungere la sala dei neonati per allattare. Senza considerare che il mio passo era cauto per evitare carrelli e persone in corridoio. Non c'era neppure il bagno in camera. Come dicevo non è stato facile. Mi fa piacere sentire dalle neomamme che ora, nella stragrande maggioranza dei casi, c'è un approccio diverso. A casa Luciana. A casa non doveva esserci nessuno al di fuori di noi. È stata una decisione presa di comune accordo fra me e mio marito. Niente nonni e parenti ad accoglierci. Ci avrebbero fatto visita qualche giorno più tardi. Volevamo vivere quel momento da soli per testare subito le nostre capacità. Personalmente volevo fare tutto da sola. O meglio capire cosa potevo fare. In questi casi le persone vedenti, in buona fede, vogliono aiutare e un loro intervento preclude il nostro. E così non avrei mai preso le misure dei miei limiti o meglio delle mie abilità. Laura. Mia suocera cominciò a ripetere che la cecità non mi avrebbe permesso di rendermi conto di una serie di cose fondamentali per la salute della bambina. Detto chiaramente ho rischiato che mia suocera mi portasse via la bambina. Non l'ha fatto perché le ho dimostrato di esser capace. Di sapere affrontare tante cose. Anche con una certa ironia. Quando cominciò il tormentone «Ma come fai a sapere se si scarica bene, io le risposi «Assaggio!». Pappe e… Luciana. Nessun problema. Laura. Adesso so che le mamme hanno a disposizione molta tecnologia: la bilancia parlante, indicatori di misura sonori. Noi avevamo strumenti più semplici. E con quelli ho sempre preparato le pappe. …pannolini Luciana. Ricordo la prima lezione di pannolino. Eravamo un gruppetto di mezza dozzina, le infermiere ci misero in mano un pannolino e ci dissero: «Oggi fate voi il cambio». Strinsi poco gli adesivi, ma tutto sommato me la cavai. Laura. Per qualche tempo utilizzai quelli di cotone, che si chiamavano ciripà, poi passai a quelli con la mutandina. Fu Tina, mia amica non vedente a insegnarmi le manovre per cambiare i pannolini. Una volta imparato, è tutto semplice. Anche se si cambia marca di pannolino, il meccanismo è sempre lo stesso. Medicine Luciana. Posso contare su mio marito Alessandro. Ma spesso sono autonoma grazie a misurini e misuratori. Laura. Come per le pappe, oggi la tecnologia aiuta. Anche per le medicine avevo dei sistemi artigianali. Le gocce ad esempio le contavo facendole cadere sul dito. Supervisore vedente Luciana. Non sono un'eroina. Non voglio celebrarmi, ma i miei figli li ho allevati io. Non mi sono mai sentita impotente. Ovviamente mio marito è stato di grande aiuto. Laura. Ho cresciuto Tiziana con l'aiuto di mio marito e di alcune persone. Anche vedenti. Penso sia necessaria la presenza di una persona che faccia da supervisore e capace di intervenire in maniera discreta e su richiesta della mamma, che deve mantenere la gestione della maternità. Asilo e scuola Luciana. Partecipo a tutte le attività rivolte ai genitori, ma noto che gli altri si rivolgono a me come una persona da aiutare e non come una persona che può dare un contributo. Ho più volte osservato che c'è una cautela nel chiedermi di fare qualcosa. Ma chiedete, non c'è problema, se non posso ve lo dico, sottolineo io. Laura. Sono luoghi di socializzazione. Non solo per i bambini. Anche per i loro familiari. I genitori sono infatti coinvolti in riunioni, incontri, feste e gite. Ricordo con quanta naturalezza i compagni di classe di Tiziana frequentassero casa nostra. E come si fidassero i loro genitori a lasciarci i loro figli. Compiti e lezioni Luciana. Mio marito ha sempre aiutato i bambini. Con me riuscivano a farla franca. Me ne accorgevo, ma era difficile. Ad esempio leggevano solo una parte del testo e mi assicuravano che fosse finito. Laura. Tiziana è sempre stata una bambina responsabile. Per i compiti non abbiamo mai avuto problemi. Tiziana, come tutti i figli di ciechi, aveva capito subito come rapportarsi con noi. Quando, ancora piccola, voleva condividere con noi la lettura o la visone di un libro, a me prendeva la mano e la guidava sulle figure del libro. Al papà invece metteva il libro sul naso così poteva vedere qualche cosa. Sottocontrollo Luciana. Le nostre orecchie sono i nostri occhi e io ho affinato bene l'udito. Quando cominciano a gattonare è una fase delicata perché possono mettere in bocca qualche piccolo oggetto. Allora stavo loro vicino il più possibile. Laura. Quando Tiziana era piccola cercavo di starle sempre accanto, di giocare con lei in modo da controllare meglio i suoi movimenti. Senza mai metterle il ciondolino campanello. Monelli Luciana. I miei figli non mi hanno mai fatto sentire una mamma diversa dalle altre. Scherzi compresi. In punta di piedi cercavano di andarsene dalla stanza dove stavano facendo i compiti, sempre in punta di piedi tentavano di recuperare cioccolata, merendine e altre golosità. Peccato che me ne accorgevo sempre. Laura. «Mamma c'è un serpente sul pavimento», un giorno urlava Tiziana che aveva cominciato da poco a parlare. Era il periodo in cui non vedevo più, ma riuscivo ancora a percepire i contrasti fra chiaro e scuro. Così avvicinandomi intravedevo una forma effettivamente serpeggiante scura sulle piastrelle chiare. Mi sono fatta coraggio e l'ho toccata. Scoprendo che era il nastro delle vecchie audiocassette. «Mamma ti ho fatto uno scherzo», rideva Tiziana. Le domande che non ti aspetti Luciana. I miei bambini non mi hanno mai chiesto nulla sulla mia cecità. Per loro era ed è normale. Le domande che a un certo punto hanno cominciato a rivolgermi erano quelle che gli facevano i compagni di classe. Ma chi ti cucina, chi ti accompagna a scuola, e così via. Loro rispondevano la mia mamma. Con naturalezza, ma lo raccontavano a casa. Laura. Tiziana non ha mai chiesto perché mamma e papà non ci vedevano. A un certo punto ha cominciato a notare stili di vita diversi rispetto ai compagni di classe. E allora faceva domande del tipo: noi non abbiamo l'automobile perché siete ciechi? Abbiamo affrontato subito e senza reticenze l'argomento. Ci abbiamo ragionato tutti e tre insieme. È vero, non andiamo in auto, prendiamo il pullman, il treno, l'aereo. Non guidiamo un'automobile ma raggiungiamo lo stesso molti luoghi. Andiamo in montagna, al mare. Visitiamo città d'arte. Abbiamo coinvolto Tiziana in queste osservazioni. Il nostro obiettivo, da genitori, era quello di far capire che la nostra disabilità non stava impedendo, a lei vedente, di fare le cose che facevano i suoi compagni di classe. Non doveva sentirsi diversa, sminuita. E c'erano fatti non parole a dimostrare che aveva le stesse opportunità degli altri. «Anzi, andiamo in giro di più», un giorno commentò Tiziana. Mamme in rete Luciana. Non si parla molto delle mamme non vedenti. Oppure lo si fa per casi eccezionali dove la mamma è dipinta come un'eroina. Personalmente conosco una cinquantina di mamme non vedenti. Sarebbe utile mettersi in contatto. Internet facilita questo tipo di rapporto. Laura. Una rete di mamme non vedenti che dialogano, che si confrontano sarebbe il modo per scambiarsi esperienze e soprattutto consigli. E per dare spunti alle istituzioni, agli amministratori locali che si occupano di servizi alle donne-mamme. Ci siamo anche noi e siamo mamme al 100%.



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